Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52775 del 09/03/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 52775 Anno 2017
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: SARACENO ROSA ANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SPIRITO FERDINANDO N. IL 25/04/1966
avverso l’ordinanza n. 63/2015 TRIBUNALE di NAPOLI, del
20/04/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA ANNA
SARACENO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 09/03/2017

Lette le conclusioni del P.G., in persona del dott. Aurelio Galasso, che ha
chiesto il rigetto del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Napoli, giudice della esecuzione,
rigettava la richiesta avanzata, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., da Spirito
Ferdinando, volta ad ottenere la declaratoria della continuazione tra i reati

14.11.2005, irr. il 23.1.2006, per i reati di cui all’art. 629 cod. pen. e di cui alla
L. n. 639 del 1941, 171 bis e 171 ter, tutti aggravati ex L. n. 203 del 1991, art.
7 e commessi dal settembre 2003 all’aprile 2004; (2) Corte di appello di Napoli
dell’1.12.2008, irrev. il 2.3.2009, per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen,
accertato nel 2004 con condotta perdurante; (3) Tribunale di Napoli del
7.5.2008, irr. 1’11.3.2010 per il reato di tentato omicidio premeditato, aggravato
ex L. n. 203 del 1991, art. 7, e strumentali violazioni in materia di armi, fatti
commessi il 25.8.2003.
A ragione della decisione osservava che non erano enucleabili elementi dai
quali desumere l’esistenza di un originario unitario disegno affasciante tutte le
violazioni, che si era in presenza di reati eterogenei, commessi in un lungo arco
temporale compreso tra l’anno 2003 e l’anno 2009; che la documentazione
medica prodotta dalla difesa attestava che Spirito era stato sottoposto a cicli di
terapia con somministrazione di metadone sino all’anno 2004, ma nulla
specificava sullo stato di dipendenza dell’istante.
2.

Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione

l’interessato a mezzo del difensore, avvocato Antonio Abet, svolgendo le
seguenti deduzioni: a) lo stato di tossicodipendenza era stato evidenziato
soltanto per rimarcare le motivazioni che avevano spinto il ricorrente ad
intraprendere una determinata scelta di vita e ai soli fini della valutazione della
sua incidenza sulle condotte illecite; b) tra i reati giudicati con le sentenze sub 1
e 2 era stata già riconosciuta la continuazione in sede di cognizione; 3) la
richiesta aveva ad oggetto fatti temporalmente prossimi e commessi al fine di
agevolare e rafforzare la consorteria di appartenenza; 4) anche il reato di
tentato omicidio era inquadrabile nella inveterata logica associativa di
predominio territoriale; 5) erroneamente era stato ritenuto necessario che le
linee essenziali del reato- fine fossero programmate, con sufficiente specificità,
fin dal momento della costituzione del sodalizio o dell’adesione ad esso, non
potendosi negare continuità temporale e volizione congiunta tra delitto

e

f(

1

giudicati con le seguenti sentenze di condanna: (1) Corte di appello di Napoli del

associativo (permanente) e reato-fine posto in essere in costanza del primo e
funzionale al mantenimento in vita e al rafforzamento del sodalizio.
Con memoria depositata il 3 marzo 2017 il ricorrente ha replicato alla
requisitoria scritta del P.G., illustrando le ragioni di opposizione alle rassegnate
conclusioni.

Considerato in diritto

1. L’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione del consolidato
principio, secondo il quale l’unicità del disegno criminoso, postulato dall’istituto
della continuazione, esige, anche in sede esecutiva, la prova che i reati
separatamente giudicati costituiscano la realizzazione di un medesimo
programma ideato e delineato fin dall’inizio, nelle sue linee essenziali, nella
mente del soggetto, nel senso che, fin dal momento della commissione della
prima violazione, le altre devono essere già state deliberate, per cui le singole
manifestazioni della volontà violatrice della norma o delle norme penali
esprimono l’attuazione, sia pure dilazionata nel tempo, di un’unica, originaria e
riconoscibile determinazione intellettiva, della quale costituiscono parte
integrante.
Si tratta di un principio che non ammette deroghe e che trova applicazione
anche nel caso in cui il riconoscimento della continuazione sia stato chiesto
dall’interessato tra reato associativo e reati fine, essendo la continuazione
configurabile esclusivamente quando questi ultimi siano stati programmati nelle
loro linee essenziali sin dal momento della costituzione del sodalizio criminoso
ovvero dell’adesione ad esso (tra le altre: Sez. 1 n. 40318 del 4/07/2013,
Corigliano, Rv. 257253); deve, pertanto, escludersi che una tale antecedente
programmazione unitaria possa essere desunta sulla base del contesto in cui i
singoli propositi criminosi siano maturati ovvero sulla base della riconducibilità
dei fatti illeciti al programma della consorteria o della loro proiezione teleologica
al rafforzamento dell’organismo, non bastando il mero rapporto di strumentalità
del reato-fine a ritenere applicabile l’istituto della continuazione, che va provato
nei suoi concreti elementi fondativi, restando escluso ogni automatismo (Sez. 1,
n. 13609 del 22/03/2011, Bosti, Rv. 249930; Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013,
Amato e altri, Rv. 259481). Questa Corte, difatti, ha avuto modo ripetutamente
di chiarire che, ai fini del riconoscimento del disegno unitario, devono essere
sussistenti, sin dalla costituzione del vincolo, i necessari elementi, ideativo e
volitivo, di quel singolo fatto e non di qualunque fatto di quel tipo e di quella
categoria rientrante nel più ampio ambito di attività associativa.
2
!

Osserva il Collegio che il ricorso appare quanto meno infondato.

2. Tanto precisato, consegue la piena correttezza della motivazione
dell’ordinanza impugnata e di contro l’erroneità dei motivi proposti con il ricorso,
essendosi la prima uniformata agli anzidetti principi e con motivazione compiuta,
ancorché concisa, avendo dato adeguatamente conto delle ragioni del rigetto
della richiesta, annotando che le violazioni eterogenee ed estemporanee non
potevano essere oggetto di concreta e specifica previsione prima del loro
verificarsi.
Del resto, avuto riguardo alle precisazioni rese nel ricorso, nel quale si

continuazione in sede di cognizione, le censure si appuntano sulla negata
riconducibilità alla comune matrice ideativa anche del tentato omicidio,
inquadrabile nella logica del controllo da parte del clan sulle attività illecite
realizzate nel contesto territoriale di riferimento e che aveva rappresentato la
reazione alla violazione delle regole interne da parte della vittima, per aver
smerciato stupefacenti in autonomia senza il consenso dei vertici del sodalizio
(v. p. 5 del ricorso). Ma siffatte precisazioni corroborano, confermandone la
correttezza, il negativo scrutinio operato dal giudice dell’esecuzione, in quanto
postulano che la deliberazione del tentato omicidio (ancorché aggravato ai sensi
dell’art. 7 L. n. 203 del 1991) risalga non già al momento dell’adesione del
condannato alla consorteria, ma al momento in cui le regole interne erano state
infrante dal recalcitrante sodale, così restando confermata la matrice occasionale
del fatto di sangue. Basterà qui ribadire che l’eliminazione fisica degli avversari
interni o esterni che ostacolino l’esistenza e l’attività del sodalizio criminoso
costituisce una semplice mera eventualità prevedibile, cioè possibile, che tuttavia
raggiunge un minimo grado di concretezza soltanto allorché divenga attuale la
condotta oppositiva dell’avversario e si renda necessario procedere alla sua
neutralizzazione. Prima di un tale momento non può parlarsi di un reato, sia pure
genericamente delineato, ma solo di un reato ipotetico e virtuale, di guisa che,
alla stregua dei dati di natura storico-fattuale ben evidenziati dallo stesso
ricorrente, non può in alcun modo disquisirsi di una effettiva anticipata
previsione della commissione dell’omicidio che sia inscrivibile in una unitaria
progettualità antigiuridica sussumibile nella categoria della continuazione
criminosa. In conclusione il ricorso va rigettato con ogni conseguenza di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Coi deciso in Roma, il 9 marzo 2017
Il C nsigliere

afferma che tra i reati di cui alle due prime sentenze già era stata riconosciuta la

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