Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52774 del 27/10/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 52774 Anno 2017
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Mazzarella Errico nato a Napoli il 17/03/1974

avverso la ordinanza del 24/06/2016 del Tribunale di Napoli

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Angela Tardio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stefano
Tocci, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore del ricorrente avv. Nicola Garofalo, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 24 giugno 2016 il Tribunale di Napoli, costituito ai sensi
dell’art. 310 cod. proc. pen., ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da

Data Udienza: 27/10/2016

Errico Mazzarella avverso l’ordinanza del 30 maggio 2016 del Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Napoli, che aveva rigettato la sua richiesta di
revoca della custodia cautelare o di sostituzione della stessa con una misura
meno afflittiva.
1.1. Il Tribunale premetteva che l’appellante era sottoposto alla misura della
custodia cautelare in carcere, disposta con ordinanza del 15 gennaio 2016,
perché gravemente indiziato del reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod.
pen., 2, 4 e 7 legge n. 897 del 1967 (capo A), del reato di cui all’art. 628 cod.

colpire al capo Daniele Di Paola, procurandogli lesioni (capo C), e del reato di cui
agli artt. 56-575 e 576, primo comma, n. 1, cod. pen., commesso con minaccia
consistita nel puntare la pistola di ordinanza al volto della persona offesa (capo
D).
1.2. Richiamate, quindi, le ragioni della richiesta, dell’ordinanza del Giudice
per le indagini preliminari e dell’appello cautelare, il Tribunale rilevava, a ragione
della decisione, che:

la difesa non aveva rispettato la procedura prevista, a pena

d’inammissibilità, dall’art. 299, commi 2-bis, 3 e

4-bis, cod. proc. pen. nei

procedimenti aventi a oggetto delitti commessi con violenza alla persona;
– con il d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito con modificazioni dalla legge
15 ottobre 2013, n. 119, si era, in particolare introdotta, modificandosi ovvero
integrandosi le indicate norme, una forma obbligatoria di interlocuzione con la
persona offesa di alcuni reati, da applicarsi sia nella fase delle indagini
preliminari sia successivamente alla loro chiusura;
– in ordine alla esatta individuazione del catalogo dei reati, per i quali
andava applicata la nuova normativa, all’orientamento minoritario della
giurisprudenza di legittimità che aveva seguito una interpretazione restrittiva,
alla cui stregua l’obbligo di informare la persona offesa si applicava solo ai reati
commessi in ambito familiare o affettivo, qualificati da una relazione molto
stretta e non occasionale tra autore e vittima del reato (Sez. 2, n. 43343 del
14/10/2015), si contrapponeva altra tesi, che, richiamata la

ratio

della

innovazione legislativa e il contenuto di convenzioni internazionali con essa
recepite (Sez. 6, n. 6717 del 05/02/2015; Sez. 1, n. 14831 del 21/12/2015;
Sez. 2, n. 19704 del 01/04/2016), aveva ritenuto non consentita una operazione
ermeneutica restrittiva della nozione di violenza alle persone (Sez. 1, n. 49339
del 29/10/2015);
– tale ultima condivisa interpretazione aveva trovato conferma nel d.lgs. 15
dicembre 2015, n. 212, entrato in vigore il 20 gennaio 2016, che aveva recepito
la direttiva 212/29/UE, recante «norme minime in materia di diritti, assistenza e

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pen. (capo B), commesso con minaccia di morte e con violenza consistita nel

protezione delle vittime del reato», modificando il codice di rito per rafforzare i
diritti di informazione delle persone offese dei delitti commessi con violenza alla
persona e, tra l’altro, prevedendo l’immediata comunicazione alla persona offesa,
che ne facesse richiesta, di specifici provvedimenti afferenti alla materia
cautelare e in genere di libertà;
– nella specie, tra i reati contestati vi erano la rapina e il tentato omicidio
commessi con violenza alla persona e doveva, pertanto, procedersi alla notifica
prevista dall’art. 299 cod. proc. pen., che invece non risultava fatta perchè, sì

non aveva nominato un difensore di fiducia e non aveva eletto domicilio, alla luce
di un orientamento di legittimità pure affermato;
– secondo il diverso maggioritario orientamento, invece, l’onere di notifica
della richiesta di modifica dello stato cautelare, da adempiersi dall’istante nei
confronti del difensore della persona offesa o, in sua mancanza, a quest’ultima,
non era condizionato alla dichiarazione o elezione di domicilio (da ultimo, Sez. 2,
n. 19704 del 01/04/2016);

tale orientamento, pure criticamente ripercorso, era motivatamente

condiviso in correlazione con il necessario contemperamento delle contrapposte
esigenze di tutela della vittima del reato, commesso con violenza alla persona, e
di aspirazione dell’indagato alla celere decisione sulla istanza di modifica dello
stato cautelare, e alla luce dei ripercorsi principi normativi e della più recedente
modifica introdotta con d.lgs. n. 212 del 2015, nonché della elaborazione
giurisprudenziale in tema di dichiarazione/elezione di domicilio;
– dagli atti della procedura di riesame, allegati a quella di appello, risultava
che la persona offesa Daniele Di Paola in più atti (verbali di denuncia e
integrazione di denuncia, di individuazione di persona e di restituzione di pistola)
aveva indicato di risiedere ad Afragola e di prestare servizio presso la Questura
di Napoli – Commissariato di Secondigliano, e tali atti erano conoscibili
dall’istante che, colpevolmente, non aveva notificato l’istanza alla stessa.
1.3. La causa d’inammissibilità prevista dalla legge, verificatasi nella
procedura, era rilevabile ai sensi dell’art. 591 cod. proc. pen., in ogni stato e
grado del procedimento, in coerenza con già affermati principi di diritto.

2. Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione, per mezzo del suo
difensore avv. Nicola Garofalo, l’interessato Mazzarella, che ne chiede
l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale denuncia, ai sensi dell’art.
606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., violazione degli artt. 591 e 299,
comma 3, cod. proc. pen., e palese illogicità e contraddittorietà della

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come rappresentato nella stessa istanza originaria, la vittima era occasionale,

motivazione, ove non del tutto mancante, per omesso esercizio del potere
officioso di decidere comunque in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari.
2.1. Il ricorrente, che illustra preliminarmente la vicenda processuale, pone
il tema relativo alla possibilità per il Tribunale di dichiarare inammissibile non la
istanza originaria ma il proposto appello retto dal principio devolutivo, rilevando
che il giudice dell’appello cautelare, in forza di tale principio, deve attenersi ai
temi proposti dalla parte appellante e applicare le norme sulle impugnazioni in
quanto compatibili, e rappresentando che l’art. 591 cod. proc. pen., nel

impugnazione non comprende il caso in esame, riguardo al quale
l’inammissibilità riguarderebbe l’istanza e non l’impugnazione.
Il principio della possibilità di dichiarare inammissibile in via preliminare
l’istanza di revoca della misura, e non l’appello, è affermato anche dalla
giurisprudenza che ha riaffermato il principio dell’obbligo di notifica della istanza
di revoca della misura solo alla persona offesa che abbia un difensore o che
abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio, richiamate nella stessa
ordinanza impugnata, e a essa consegue che, dichiarata detta inammissibilità in
via preliminare, rimane integro il potere officioso del Giudice di affrontare il
merito soprattutto quando si tratta, come nella specie, di questioni di salute.
2.2. Premesso, poi, che l’espressione «violenza alla persona» deve essere
intesa alla luce del concetto di violenza di genere, sì come affermato dalle
Sezioni Unite con sentenza n. 10959 del 16 marzo 2016, deve tenersi conto, ad
avviso del ricorrente, della più recente giurisprudenza, che si è attestata su un
principio di diritto che, aderente alla lettera della norma e allo spirito della legge
che l’ha riformata, individua la ‘parte offesa notiziabile’ in quella che ha
provveduto a nominare un difensore ovvero a dichiarare o eleggere domicilio.
Solo a detta parte, che, munendosi di difensore o dichiarando/eleggendo
domicilio, ha inteso partecipare a eventuali evoluzioni cautelari nel
procedimento, è dovuta la notifica della istanza di revoca della misura alla luce
dei ripercorsi richiami al testo riformato e senza trascurare i principi
dell’ordinamento, tra i quali esemplificativamte il disposto dell’art. 408 cod. proc.
pen., che non prevede un obbligo di informativa della richiesta di archiviazione
per la parte offesa che non lo abbia chiesto.
2.3. Il Tribunale del riesame ha conclusivamente emesso un’ordinanza
viziata che deve essere annullata.
Ove dovesse ritenersi ancora attuale un contrasto giurisprudenziale in punto
di ‘persona offesa notiziabile’, il ricorso andrebbe assegnato alle Sezioni Unite
penali.

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prevedere le tassative ipotesi di declaratoria d’inammissibilità della

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, infondato, deve essere rigettato, con conferma dell’ordinanza
nei termini che saranno precisati.

2. Si premette in diritto che, secondo la nuova formulazione dell’art. 299,
comma 3, cod. proc. pen., la richiesta di revoca o di sostituzione di una misura
cautelare (tra quelle previste dagli artt. 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286

con violenza alla persona e non sia stata proposta in sede di interrogatorio di
garanzia, deve essere «contestualmente notificata, a cura della parte richiedente
ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in
mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest’ultimo caso essa non
abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio».
2.1. La obbligatoria interlocuzione con la persona offesa dal reato, che a
norma del successivo comma 4-bis si applica anche alla fase successiva alla
chiusura delle indagini preliminari, è stata introdotta dal d.l. 14 agosto 2013, n.
93, convertito con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, che,
integrando ovvero sostituendo il pregresso testo normativo, ha previsto una
causa d’inammissibilità, conseguente alla mancata notifica della richiesta, che
investe sia la corretta formazione dell’iter procedimentale di tipo cautelare sia la
legittimità del provvedimento de libertate, tanto da essersene rimarcata la sua
deducibilità e rilevabilità di ufficio in ogni stato e grado del processo cautelare
(tra le altre, Sez. 2, n. 33576 del 14/07/2016, Fassih, Rv. 267500; Sez. 6,
n. 6717 del 05/02/2015, P.C. in proc. D., Rv. 262272; Sez. 2, n. 29045 del
20/06/2014, P.G. in proc. Isoldi, Rv. 259984).
Si è, in particolare, affermato che l’indicata sanzione ha la funzione di
garantire, anche dopo la chiusura delle indagini preliminari, l’adeguata
informazione della vittima del reato circa l’evoluzione del regime cautelare in
atto e, quindi, la possibilità per la stessa di fornire eventuali elementi ulteriori al
giudice procedente, attivando un contraddittorio cartolare mediante la
presentazione, nei due giorni successivi alla notifica, di una memoria ai sensi
dell’art. 121 del codice di rito.
2.2. Sotto concorrente profilo si è anche sottolineato che la predetta
disposizione si inserisce -in linea con la ratio dell’istituto- in un più ampio
ventaglio di misure, adottate con il medesimo intervento normativo e volte ad
assicurare, in una prospettiva di progressivo allargamento, il diritto partecipativo
della persona offesa (in tal senso, Sez. 1, n. 14631 del 21/12/2015, dep. 2016,
Massidda, n.m., che ha segnatamente annotato le disposte modifiche degli artt.

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cod. proc. pen.), che attenga ai procedimenti aventi a oggetto delitti commessi

101, comma 1, 408 e 415-bis cod. proc. pen.), e si è rappresentato, nel reiterare
gli obblighi informativi funzionali a tale diritto partecipativo, che con la novella si
è attuata in parte la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2012/29/UE
del 25 ottobre 2012 (recante norme minime in materia di diritti, assistenza e
protezione delle vittime del reato) e la convenzione di Istanbul del maggio 2011,
sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la
violenza domestica, ratificata dall’Italia con legge del 27 giugno 2013, n. 77 (in
tal senso, Sez. 1, n. 14631 del 21/12/2015, citata, che ha ripercorso i contenuti

3. Il Tribunale, dando preliminare conto della procedura prevista, a pena
d’inammissibilità, nei procedimenti aventi a oggetto delitti commessi con
violenza alla persona dalle suddette disposizioni normative, che ha
specificamente ripercorso, ha coerentemente segnalato, come sintetizzato sub
1.1. del ‘ritenuto in fatto’, gli orientamenti registrati, nella giurisprudenza di
legittimità, in punto di individuazione del catalogo dei reati per i quali deve
essere applicata la nuova normativa, e con argomenti logici, criticamente volti
all’orientamento minoritario (tra le altre, Sez. 2, n. 43353 del 14/10/2015, Rv.
265094), ha correttamente rimarcato, la condivisibilità del principio, alla cui
stregua -e sulla base di argomenti correlati al testo e alla ratio della novella
legislativa, oltre che alla lettura delle fonti sovranazionali, e ritenuti confermati
dal d.lgs. 15/12/2015, n. 212, entrato in vigore il 20 gennaio 2016, che ha dato
attuazione alla direttiva 2012/29/UE- l’espressione “violenza alla persona”,
escluso il presupposto aggiuntivo di un profilo relazionale-affettivo tra autore e
vittima del reato, deve essere intesa in senso ampio, comprensiva non solo delle
aggressioni fisiche ma anche morali o psicologiche, avendo riguardo al concreto
atteggiarsi delle modalità commissive dell’azione delittuosa (tra le altre, Sez. 1,
n. 49339 del 29/10/2015, Galliani, Rv. 265732; Sez. 1, n. 14831 del
21/12/2015, citata).
3.1. L’ordinanza, con ulteriore passaggio argomentativo, ragionevolmente
ritenuti i reati ascritti all’appellante Mazzarella ai capi B) e D) della imputazione
provvisoria, consistiti in rapina e tentato omicidio, estrinsecazione concreta, per
lo stadio raggiunto, di atti di violenza in danno della persona offesa, ha replicato
alle obiezioni difensive, fondate, nell’ammessa omessa notifica della istanza
originaria avanzata ex art. 299 cod. proc. pen., sull’essere la vittima occasionale
e sul non avere la stessa nominato un difensore di fiducia né eletto domicilio,
giudicandole infondate.
Il Tribunale, senza prescindere dal confronto con l’orientamento di
legittimità che sosteneva tali obiezioni (tra le altre, Sez. 2, n. 12325 del

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di detti strumenti sovranazionali).

03/02/2016, Spada, Rv. 266435; Sez. 1, n. 34132 del 13/07/2015, Santos,
n.m.), ha illustrato il diverso orientamento, volto a valorizzare l’assenza di un
condizionamento dell’onere di notifica alla persona offesa -a carico
dell’interessato- della richiesta di modifica dello

status

cautelare alla

dichiarazione o elezione di domicilio (tra le altre, Sez. 2, n. 52127 del
19/11/2014, Damian Petru, n.m.), ovvero a escludere la decadenza della
persona offesa dal diritto alla informazione de libertate ove (nella mancata
nomina del difensore di fiducia e nella omessa indicazione del domicilio da parte

altre, Sez. 2, n. 19704 del 01/04/2016, Machì), ovvero a correlare
l’inammissibilità della richiesta alla incolpevolezza/scusabilità della omessa
notifica alla persona offesa e alla connessa verifica della rilevabilità del dato di
ricerca dagli atti accessibili al richiedente (Sez. 2, n. 21070 del 14/04/2016,
Arpino; Sez. 2, n. 25135 del 25/05/2016, Grosso).
Il Tribunale ha, quindi, rappresentato, con pertinenti riferimenti normativi
(esplicati con richiami agli artt. 101, 154 e 155 cod. proc. pen. e 33 disp. att.
cod. proc. pen., relativi alla nomina del difensore e alle notificazioni alla persona
offesa; all’art. 90-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 1 d.lgs. n. 212 del
2015, relativo alle informazioni da darsi alla persona offesa, e alla differenza tra
gli istituti della dichiarazione e della elezione di domicilio) e con riferimenti
giurisprudenziali (tra le altre, Sez. 3, n. 22844 del 26/03/2003, Barbiera,
Rv. 224870), che la dichiarazione di domicilio della persona offesa, avuto
riguardo alla sua natura meramente dichiarativa e al rapporto che essa prevede
tra la persona e il luogo di notificazione degli atti, è parificabile alla indicazione
della residenza della stessa comunque ricavabile dagli atti del procedimento.
3.2. La corretta affermazione, costituente l’epilogo dello sviluppo decisionale
sul punto, che non sono richieste nella sostanza formule sacramentali per la
dichiarazione di domicilio e che la notifica, prevista dal richiamato art. 299 cod.
proc. pen., è sempre dovuta, salva l’ipotesi della omessa indicazione in alcun
modo da parte della persona offesa dei propri dati anagrafici, che imporrebbe
ricerche a opera dell’indagato e/o imputato non compatibili con le esigenze
sottese alle richieste di modifica dello status cautelare, è stata accompagnata dal
congruente dato fattuale della sussistenza in atti di ripetute indicazioni della
persona offesa circa la sua residenza e il luogo di prestazione del suo servizio
(Commissariato P.S. di Secondigliano – Napoli), che, del tutto conoscibili
all’istante, hanno reso colpevole l’omessa notifica della istanza di modifica della
misura della custodia cautelare in carcere, con la conseguente inammissibilità
prevista dall’art. 299 cod. proc. pen.

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della stessa) i suoi dati identificativi emergessero dal fascicolo processuale (tra le

4. Emerge all’evidenza dallo sviluppo motivazionale dell’ordinanza il ripetuto
e corretto riferimento alla inammissibilità dell’istanza, e quindi dell’atto
introduttivo del sub-procedimento cautelare, preso in considerazione dall’art.
299 cod. proc. pen. e dalla giurisprudenza ampiamente evocata nel contesto
argomentativo e anche laddove, in via conclusiva, nell’apprezzamento dello
spazio temporale del possibile rilievo della causa d’inammissibilità, si è ribadito
che «l’inammissibilità dell’istanza […] è rilevabile d’ufficio e non può essere
sanata fino al formarsi del giudicato».

proc. pen., e segnatamente al suo quarto comma, alla cui stregua
«l’inammissibilità […] può essere dichiarata in ogni stato e grado del
procedimento», a fondamento della operata dichiarazione d’inammissibilità, per
applicazione analogica, dell’appello cautelare.
4.1. Al rilievo della erronea declaratoria di inammissibilità dell’appello ai
sensi dell’art. 591 cod. proc. pen., correttamente denunciata dal ricorrente, non
segue tuttavia come eccepito l’esame del merito della vicenda cautelare, poiché
la non contestata rilevabilità della inammissibilità della istanza in ogni stato e
grado del procedimento e la non contestata confluenza su tale inammissibilità
degli argomenti, in diritto e in fatto, valorizzati nella ordinanza, rendono palese
l’errore materiale in cui è incorso il Tribunale nel dichiarare inammissibile
l’appello in luogo della istanza e, per conseguenza, dell’appello.
4.2. Tale errore, palesemente materiale, emergendo la volontà del giudice in
maniera chiara ed evidente dal testo del documento senza implicare profili di
merito non valutabili in sede di legittimità ovvero profili di diritto non già
esplicati, è emendabile, alla luce di consolidati principi (tra le tante, da ultimo,
Sez. 4, n. 26172 del 19/05/2016, Ferlito, Rv. 267153), secondo la

procedura

prevista dall’art. 619 cod. proc. pen.
Per l’effetto, l’ordinanza impugnata va rettificata nel senso che, laddove è
dichiarato inammissibile l’appello, deve intendersi dichiarata inammissibile
l’istanza, e, per conseguenza, l’appello.

5.

Il ricorso -le cui deduzioni ulteriori, relative alla definizione della

espressione ‘violenza alla persona’ e al significato della ‘parte offesa notiziabile’
sono soccombenti rispetto alla corretta disamina svolta nell’ordinanza
impugnata, non incisa dal richiamato intervento delle Sezioni Unite (Sez. U,
n. 10959 del 29/01/2016, P.O. in proc. C., Rv. 265893), riferito specificamente
alle ipotesi criminose previste dagli artt. 612-bis e 572 cod. pen., senza
l’evidenza di contrasti in atto giustificativi dell’intervento regolatore delle Sezioni
Unite- deve essere, conclusivamente, rigettato.

8

In tale contesto è erroneo il richiamo fatto dal Tribunale all’art. 591 cod.

Segue ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

6. La Cancelleria dovrà provvedere alle incombenze di cui all’art. 625,
comma 3, cod. proc. pen. e all’adempimento di cui all’art. 94, comma

1-bis,

disp. att. cod. proc. pen.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Rettifica l’ordinanza impugnata nel senso che, laddove si dichiara
inammissibile l’appello, si intende fare riferimento all’istanza e, per l’effetto,
all’appello.
Manda la Cancelleria per le incombenze di cui all’art. 625, comma 3, cod.
proc. pen.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente
provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma

1-bis, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 27/10/2016

P.Q.M.

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