Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52770 del 07/11/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 52770 Anno 2017
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: APRILE STEFANO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NASTO ANIELLO nato il 29/04/1975 a TORRE ANNUNZIATA
ONDA UMBERTO nato il 08/02/1972 a TORRE ANNUNZIATA

avverso la sentenza del 31/05/2016 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO APRILE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI
che ha concluso per l’inammissibiltà dei ricorsi.
Udito il difensore avvocato (D’UFFICIO) POVIA MARIATERESA ELENA del foro di
ROMA in difesa di NASTO ANIELLO che si riporta ai motivi di ricorso;
dato atto dell’assenza del difensore di ONDA.

Data Udienza: 07/11/2017

RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d’assise d’appello di Napoli ha
confermato la sentenza pronunciata dalla Corte d’assise di Napoli in data 21
gennaio 2015 con la quale Aniello Nasto e Onda Umberto (oltre a Michele
Palumbo – non ricorrente) sono stati riconosciuti responsabili di vari episodi di
omicidio e dei connessi reati in materia di armi, previo riconoscimento a favore di
Nasto della circostanza di cui all’articolo 8 legge n. 203 del 1991.
Alla stregua delle indicate decisioni:

commesso in danno di Ciro Bianco (artt. 110, 575, 577, comma primo, n. 3 e n.
4, in relazione all’art. 61, comma primo, n. 1 cod. pen., 7 I. n. 203\1991 – Capo
a)), dell’omicidio pluriaggravato commesso in danno di Domenico Savarese (artt.
110, 575, 577, comma primo, n. 3 e n. 4, in relazione all’art. 61, comma primo,
n. 1 cod. pen., 7 I. n. 203\1991 – Capo b)) e dei connessi reati in materia di
armi (artt. 110, 61, comma primo, n. 2 cod. pen., 2, 4 e 7 I. n. 896/1967, 7 I. n.
203\1991 – Capi c) e d)), dell’omicidio aggravato commesso (in concorso tra
l’altro con Palumbo) in danno di Liberato Ascione (artt. 110, 575, 577, comma
primo, n. 3 e n. 4, in relazione all’art. 61, comma primo, n. 1 cod. pen., 7 I. n.
203\1991 – Capo e)) e dei connessi reati in materia di armi (artt. 110, 61,
comma primo, n. 2 cod. pen., 2, 4 e 7 I. n. 896/1967, 7 I. n. 203\1991 – Capi f)
e g)),
– Aniello Nasto e Umberto Onda sono stati ritenuti responsabili del duplice
omicidio pluriaggravato commesso in danno di Carlo Balzano e Angelo Scoppetta
(artt. 110, 575, 577, comma primo, n. 3 e n. 4, in relazione all’art. 61, comma
primo, n. 1 cod. pen., 7 I. n. 203\1991 – Capo h)) e dei connessi reati in materia
di armi (artt. 110, 61, comma primo, n. 2 cod. pen., 2, 4 e 7 I. n. 896/1967, 7 I.
n. 203\1991 – Capi i) e I));
– Umberto Onda è stato ritenuto responsabile dell’omicidio pluriaggravato
commesso (in concorso tra l’altro con Palumbo) in danno di Domenico Scoppetta
(artt. 110, 575, 577, comma primo, n. 3 e n. 4, in relazione all’art. 61, comma
primo, n. 1 cod. pen., 7 I. n. 203\1991 – Capo m)) e dei connessi reati in
materia di armi (artt. 110, 61, comma primo, n. 2 cod. pen., 2, 4 e 7 I. n.
896/1967, 7 I. n. 203\1991 – Capi n) e o)).
1.1. Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito, i sopra
ricordati fatti delittuosi sono stati riferiti alla falda esistente tra il clan Gionta e
quello denominato Vangone-Limelli, nella cui orbita gravitavano o avevano
gravitato in passato le vittime dei singoli delitti.
In particolare, Carlo Balzano, che aveva cominciato la sua attività criminale
nel gruppo Vangone-Limelli, era transitato nelle file dei Gionta quando venne
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– Aniello Nasto è stato ritenuto responsabile dell’omicidio pluriaggravato

ucciso dai suoi stessi sodali (nella circostanza trovava la morte, ancorché non
programmata, Angelo Scoppetta).
Sorte non dissimile è quella toccata a Ciro Bianco, ucciso da appartenenti al
clan Gionta dopo il suo passaggio dalle fila dei Vangone-Limelli.
Il comune movente degli episodi è stato individuato nel desiderio di

devianti.
Nel primo grado di giudizio l’affermazione della penale responsabilità degli
imputati è stata incentrata sulle convergenti e (ritenute) attendibili dichiarazioni
dei collaboratori di giustizia Aniello Nasto (imputato nel procedimento) e
Vincenzo Saurro, dichiarazioni che, oltre a trovare reciproco riscontro, sono
risultate confermate dalle prove di generica.
Nel corso del giudizio di appello sopraggiungeva la dichiarazione del
coimputato Michele Palumbo che, dopo la sentenza di primo grado, aveva
avviato un percorso di collaborazione.
Anche le dichiarazioni di Palumbo venivano giudicate credibili e attendibili,
nonché particolarmente rilevanti perché dotate di uno specifico grado di
autonomia rispetto a quelle degli altri collaboratori di giustizia.

2. Ricorrono Aniello Nasto e Umberto Onda con distinti ricorsi.

2.1. Aniello Nasto, a mezzo del difensore avv. Sergio Mazzone, chiede
l’annullamento della sentenza impugnata, denunciando il difetto di motivazione
in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e al
trattamento sanzionatorio, censurando la decisione impugnata nella parte in cui,
oltre a errare nell’applicazione delle norme attinenti alla determinazione della
pena e a fornire una motivazione insufficiente sui parametri legali, esclude la
concedibilità delle circostanze attenuanti generiche a causa del riconoscimento
della circostanza attenuante di cui all’articolo 8 legge n. 203 del 1991.

2.2. Umberto Onda, a mezzo del difensore avv. Elio D’Aquino, chiede
l’annullamento della sentenza impugnata, formulando tre motivi di ricorso.
2.2.1. Con il primo motivo viene denunciata la violazione di legge, in
riferimento all’articolo 192 cod. proc. pen., e il vizio della motivazione con
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affermare la primazia dell’organizzazione e di punire i comportamenti ritenuti

riguardo alla valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia nell’ambito della vicenda concernente l’omicidio di Liberato Ascione (pur
estranea ai fatti contestati al ricorrente).
In particolare, dato atto che l’episodio in questione non è contestato al
ricorrente, si denuncia la contraddittorietà delle narrazioni dei collaboratori di

delittuoso, avendo il primo affermato di non avere preso parte all’esecuzione
dell’omicidio, mentre il secondo ha riferito di aver eseguito il delitto in concorso
con il primo. Sul punto la motivazione sarebbe viziata nella parte in cui non ha
ritenuto tali divergenze rilevanti benché concernenti il nucleo centrale delle
dichiarazioni.
Con riguardo al medesimo omicidio le dichiarazioni del collaboratore
Palumbo sarebbero inattendibili essendo il medesimo incorso in contraddizioni in
ordine al calibro dell’arma impiegata.
2.2.2. Con il secondo motivo, attinente al duplice omicidio BalzanoScoppetta, viene denunciata la violazione di legge, in riferimento agli artt. 192,
546 e 533 cod. proc. pen., e il vizio della motivazione con riguardo alla
attendibilità del collaboratore Saurro, il narrato del quale sarebbe lacunoso e
meramente deduttivo, sicché la Corte di secondo grado, pur avendo negato il
valore di riscontro di dette dichiarazioni alle propalazioni del chiamante in
correità Nasto, sarebbe illegittimamente giunta ad affermare la responsabilità del
ricorrente senza avvedersi della insufficienza del quadro indiziario.
La contraddittorietà e illogicità risulterebbe manifesta anche con riguardo
alla valorizzazione delle dichiarazioni di Palumbo, che non partecipò direttamente
all’azione, della quale il dichiarante ebbe conoscenza unicamente de relato da
Onda, sicché l’unico riscontro alla chiamata effettuata da Nasto sarebbe
costituito dalle inattendibili dichiarazioni di Saurro.
Le dichiarazioni di quest’ultimo sarebbero, poi, totalmente discordanti
rispetto a quelle di Nasto per quello che concerne le motociclette utilizzate e la
presenza di caschi protettivi, tanto che il nucleo essenziale della narrazione ne
risulta compromesso.
Lo stesso narrato di Palumbo, infine, non potrebbe costituire riscontro alle
dichiarazioni di Nasto, poiché il primo avrebbe affermato che l’azione omicida fu
repentinamente modificata, rispetto all’originaria programmazione che
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giustizia Palurnbo e Nasto emerse nell’ambito della ricostruzione di detto episodio

prevedeva la sua diretta partecipazione, mentre il secondo non ha mai riferito
tale circostanza.
2.2.3. Con il terzo motivo, attinente all’omicidio Scoppetta, viene denunciata
la violazione di legge, in riferimento agli artt. 192, 546 e 533 cod. proc. pen., e il
vizio della motivazione con riguardo alla attendibilità del collaboratore Palumbo,

però in contrasto con le fonti accusatorie, costituite dalle dichiarazioni di Saurro
e Nasto, su cui si era basata la decisione di primo grado.
In particolare, tenuto presente che le dichiarazioni di Nasto costituiscono
fonte de relato, perché promanante dal racconto di Palumbo, esse non collimano
nel nucleo essenziale laddove il primo collaboratore riferisce dell’inseguimento
della vittima operato dai sicari anche mediante un secondo ciclomotore condotto
da Onda, mentre Palumbo descrive una dinamica diversa.
Sarebbero, infine, prive di contenuto rafforzativo le dichiarazioni rese da
Saurro, il quale ha riferito di avere appreso direttamente unicamente le fasi
precedenti e successive al delitto, avendo appreso

de relato da Palumbo le

notizie circa lo svolgimento dei fatti, sicché le stesse non potevano essere
ritenute confermative delle dichiarazioni di Palumbo.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il ricorso proposto nell’interesse di Aniello Nasto è
inammissibile, mentre quello nell’interesse di Umberto Onda è infondato.

2. Sarà esaminato per primo il ricorso proposto nell’interesse di Aniello
Nasto.
Non è controversa la materiale del fatto e la responsabilità dell’imputato.
In ordine ai rapporti tra la circostanza a effetto speciale di cui all’art. 8 I. n.
203 del 1991 e le circostanze attenuanti generiche, è il caso di evidenziare che la
giurisprudenza di legittimità si è, ormai, orientata nel senso di ritenere che in
tema di reati di criminalità organizzata, il riconoscimento della circostanza
attenuante di cui all’art. 8, decreto-legge n. 152/1991 non implica
necessariamente, data la diversità dei relativi presupposti, il riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche (Sez. 5, Sentenza n. 1703 del 24/10/2013 dep.
2014, Sapienza, Rv. 258958).
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il narrato del quale ha arricchito il processo soltanto in secondo grado ponendosi

2.1. Il ricorso, che censura il difetto di motivazione esclusivamente per
quello che riguarda la mancata concessione delle circostanze attenuanti
generiche e l’entità della pena, deve essere dichiarato inammissibile in quanto il
giudice di merito, che non era affatto tenuto a valutare d’ufficio la concessione di
dette attenuanti (l’applicazione della norma necessita di un substrato cognitivo e

generico potere discrezionale del giudice di riduzione dei limiti legali della
sanzione, dovendo di contro apprezzarsi e valorizzarsi un «aspetto» del fatto o
della personalità risultante dagli atti del giudizio; tra le molte: Sez. VI 28.5.1999
n. 8668), non ha affatto omesso di motivare sul punto, avendo valorizzato,
anche ai fini dell’art. 133 cod. pen., le caratteristiche del fatto e la personalità
del soggetto.
Dal complesso della motivazione, in ogni caso, emergono motivate
valutazioni negative in ordine alla personalità dell’imputato.
La Corte di merito, con motivazione ampia, congruente, logica e non
contraddittoria, ha esposto gli elementi in forza dei quali ha esercitato i propri
poteri di quantificazione della pena.
È, in particolare, inammissibile perché risolventesi in censure su valutazioni
di merito, insuscettibili, come tali, di aver seguito nel presente giudizio di
legittimità, il motivo di ricorso concernente la misura della pena giacché la
motivazione della impugnata sentenza, pure su tali punti conforme a quella del
primo giudice, si sottrae a ogni sindacato per avere adeguatamente valorizzato
la gravità della condotta e dei precedenti penali e giudiziari – elementi
sicuramente rilevanti ai sensi dell’art. 133 cod. pen. – nonché per le connotazioni
di complessiva coerenza dei suoi contenuti nell’apprezzamento della gravità dei
fatti.
2.2. All’inammissibilità del ricorso di Aniello Nasto consegue, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura
che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro
1.500,00.

3. Il ricorso di Umberto Onda è infondato.
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di una adeguata motivazione, nel senso che è da escludersi l’esistenza di un

Va premesso, innanzitutto, che si versa in un caso di doppia decisione
conforme, dotata però di una particolare capacità di resistere alle critiche
difensive poiché il, già ritenuto sufficiente, panorama probatorio si è arricchito
nel corso del giudizio di secondo grado mediante la parziale rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale incentrata sull’esame del coimputato Michele

3.1. Ai fini della corretta valutazione della chiamata in reità o in correità, la
metodologia a cui il giudice di merito deve conformarsi non può che essere
quella indicata da Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992 dep. 1993, Marino, Rv.
192465, come precisata, con specifico riferimento alla dichiarazione de relato, da
Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012 dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145.
In particolare, si è affermato che la chiamata in correità o in reità de relato,
anche se non asseverata dalla fonte diretta, il cui esame risulti impossibile, può
avere come unico riscontro, ai fini della prova di responsabilità penale
dell’accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore.
Per il conseguimento del fine precisato si richiede: a) la valutazione positiva
della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità intrinseca di
ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della
costanza, della spontaneità; b) l’accertamento dei rapporti personali tra il
dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza
al vero di quanto dalla seconda confidato al primo; c) la convergenza delle varie
chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante in
relazione a circostanze rilevanti del thema probandum; d) l’indipendenza delle
chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese
fraudolente; e) l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro
derivazione da fonti d’informazione diverse.
La procedura di verifica delle dichiarazioni eteroaccusatorie dei coimputati o
degli imputati in procedimento connesso o collegato deve essere più attenta e
rigorosa nei casi di conoscenza

de auditu.

Il giudizio di attendibilità del

chiamante (c.d. attendibilità intrinseca soggettiva) e della specifica dichiarazione
da costui resa (c.d. attendibilità intrinseca oggettiva) impone un’indagine molto
attenta anche sulla causa scientiae del dichiarante, la cui conoscenza, traendo
origine dalla trasmissione di informazioni ad opera di un altro soggetto, può
essere esposta a maggiori rischi di errore. La chiamata de relato, presentando
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Palumbo, divenuto nel frattempo collaboratore di giustizia.

una struttura analoga alla testimonianza indiretta, mutua da questa, almeno per
quanto attiene alla valutazione dell’attendibilità intrinseca, il metodo di verifica,
che implica necessariamente uno sdoppiamento della valutazione: occorre
verificare non soltanto l’attendibilità intrinseca soggettiva e oggettiva del
dichiarante in relazione al fatto storico della narrazione percepita, ma anche

che integra l’elemento di prova più significativo del fatto sub iudice.
Con specifico riferimento alla chiamata de auditu, non asseverata dalla fonte
primaria, la valutazione della credibilità intrinseca delle relative dichiarazioni
impone di apprezzarne la spontaneità, la coerenza, la costanza e la precisione,
indagando, in particolare, proprio per il maggiore rigore valutativo imposto dalla
peculiarità del caso, sulle circostanze concrete di tempo e di luogo in cui avvenne
il colloquio tra il loquens e il soggetto di riferimento nonché sulla natura dei
rapporti (di frequentazione e di familiarità) tra i due, così da giustificare le
confidenze, di tenore certamente compromettente, ricevute dal primo.
Nella specifica situazione risulta più complesso saggiare l’attendibilità
intrinseca del soggetto di riferimento il racconto del quale proviene dalla fonte de
relato. Se questa, però, non avendo avuto un ruolo diretto nei fatti delittuosi in
contestazione, fornisce particolari precisi, compatibili col quadro probatorio già
acquisito e non contraddetti, per averli appresi dalla fonte primaria, con la quale
intratteneva rapporti di frequentazione e di confidenza, e se non sussistono
ragioni sintomatiche di una comunicazione di notizie false, può agevolmente
ritenersi, per consequenzialità logica e in base a una consolidata massima di
esperienza, la corrispondenza al vero della confidenza extraprocessuale
proveniente dal soggetto di riferimento, anche se dal medesimo non asseverata
in sede processuale.
Dunque, l’operazione logica di verifica giudiziale della chiamata de relato,
perché la stessa possa assurgere al rango di prova idonea a giustificare
un’affermazione di responsabilità, necessita, inoltre, di «convergenti e
individualizzanti riscontri esterni in relazione al fatto che forma oggetto
dell’accusa e alla specifica condotta criminosa dell’incolpato, essendo necessario,
per la natura indiretta dell’accusa, un più rigoroso e approfondito controllo del
contenuto narrativo della stessa e della sua efficacia dimostrativa» (Sez. U, n.
45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226090).
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l’attendibilità della fonte primaria di conoscenza e la genuinità del suo narrato,

Quanto alla tipologia e all’oggetto dei riscontri, la genericità dell’espressione
«altri elementi di prova» utilizzata dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.,
legittima l’interpretazione secondo cui vige il principio della «libertà dei
riscontri», nel senso che questi, non essendo predeterminati nella specie e nella
qualità, possono essere di qualsiasi tipo e natura e ricomprendere non soltanto le

legittimamente acquisito al processo e idoneo, anche sul piano della mera
consequenzialità logica, a corroborare nell’ambito di una valutazione probatoria
unitaria il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma. È, poi, fin
troppo ovvio precisare che non si richiede che il riscontro integri la prova del
fatto, giacché, se così fosse, perderebbe la sua funzione «gregaria» e sarebbe da
solo sufficiente a sostenere il convincimento del giudice, sicché verrebbe meno la
necessità di far leva anche sulla prova principale, ritenuta da sola non
sufficiente.
Il riscontro estrinseco alla chiamata in correità o in reità

de auditu può,

dunque, essere offerto dalle dichiarazioni di analoga natura rese da uno o più
degli altri soggetti indicati nella richiamata norma. Qualunque elemento
probatorio, diretto o indiretto che sia, purché estraneo alle dichiarazioni da
riscontrare, può essere legittimamente utilizzato a conferma dell’attendibilità
delle stesse.
Poiché non può escludersi che la tecnica della mutual corroboration possa
consentire l’ingresso nel processo del mendacio concordato e finalizzato a
incolpare una persona estranea ai fatti, al giudice di merito è affidato il compito
di verificare l’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione e, quindi,
l’attitudine di una o più di esse a fungere da riscontro estrinseco di quella o di
quelle che lo stesso giudice ritenga di porre a fondamento, con valenza primaria
o paritaria rispetto alle prime, della propria decisione.
3.2. Poste le indicate premesse, è opportuno evidenziare che il ricorso non
contesta la credibilità intrinseca dei collaboratori di giustizia, muovendo critiche
alla attendibilità estrinseca delle narrazioni degli stessi in ordine agli episodi
delittuosi per cui si procede.
Per quanto concerne le specifiche argomentazioni e censure mosse dalla
difesa è opportuno evidenziare quanto segue.
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prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio anche indiretto

4. È del tutto infondata, e perciò è ai limiti della inammissibilità, la questione
posta con il primo motivo di ricorso di Onda relativa all’asserito contrasto delle
dichiarazioni di Palumbo e Nasto in ordine alla partecipazione dei medesimi
all’omicidio di Ascione.
Il ricorso, infatti, muove da asserzioni che non trovano alcun riscontro negli

ordine alla partecipazione di entrambi all’omicidio.
I giudici di merito hanno ampiamente valorizzato la coincidenza sul nucleo
essenziale della dichiarazione, che riguarda la partecipazione di entrambi
all’azione esecutiva, sicché è stata logicamente e correttamente valutata come
semplice imprecisione la narrazione di Nasto, che riferisce dell’ingresso anche del
coimputato Palumbo all’interno dell’autosalone della vittima, mentre quest’ultimo
afferma di averlo atteso all’esterno a bordo della motocicletta, come pure è
confermato dai testi oculari.
Peraltro, la responsabilità di Nasto e Palumbo per detto omicidio, nel quale
non è coinvolto il ricorrente Onda, trova ampio sostegno probatorio nelle due
convergenti dichiarazioni ammissive di entrambi i protagonisti della vicenda,
sicché la credibilità di costoro trova reciproco riscontro.
Anche la questione concernente l’asserita contraddittorietà delle dichiarazioni
di Palumbo in ordine al calibro dell’arma utilizzata, oltre a essere stata
logicamente spiegata e chiarita dei giudici di merito, appare del tutto irrilevante,
come correttamente affermato dai medesimi, in relazione alla credibilità della
dichiarazione, posto che in ogni caso si trattava di una pistola calibro 9.
Infine, ma in ogni caso, la censura attiene a una vicenda alla quale è
estraneo il ricorrente, sicché l’esistenza di eventuali (non riscontrate) discrasie in
ordine alla ricostruzione di detto episodio sulla base delle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia, è del tutto irrilevante con riguardo alla posizione di
Onda.
4.1. Il secondo motivo di ricorso di Onda, attinente al duplice omicidio
Balzano-Scoppetta, è infondato poiché non è in grado di contrastare le logiche e
coerenti conclusioni cui è giunta la sentenza impugnata.
A fondamento della responsabilità dell’imputato Onda sono stati posti i
concordanti contributi dichiarativi dei tre collaboratori di giustizia Saurro, Nasto e
Palumbo i quali hanno concordato nella descrizione, sia della fase deliberativa
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atti, non risultando che i due collaboratori abbiano fornito dichiarazioni diverse in

(che non prevedeva l’uccisione di Scoppetta), anche con riguardo al movente, sia
della fase esecutiva, con particolare riferimento alla repentina modificazione del
gruppo di fuoco che ha portato all’esclusione di Nasto e al coinvolgimento di
Onda, sia della fase successiva al duplice omicidio.
I giudici di merito hanno, innanzitutto, posto in evidenza la coincidenza delle

collaboratori separatamente appreso, dai vertici e dai sodali, della deliberazione
omicida assunta, in quanto componenti dell’organizzazione camorristica (con
riguardo alla natura di patrimonio di conoscenza comune delle notizie apprese
dagli associati in merito all’attività propria della cosca, si veda, ex multiis, Sez.
1, n. 23242 del 06/05/2010, Ribisi, Rv. 247585).
Saurro ha, poi, riferito – per averlo appreso mediante diretta osservazione della partecipazione di Onda alla fase preparatoria (lo aveva visto prepararsi e
partire per commettere l’omicidio) e a quella successiva all’omicidio, nonché per averlo appreso dal vertice associativo – della materiale partecipazione del
ridetto Onda alla fase esecutiva.
Sempre con riguardo alla fase esecutiva, Nasto ha riferito di essere stato
repentinamente sostituito da Onda nel gruppo di fuoco, ma di essere stato
presente ai fatti perché incaricato di intrattenere la vittima in attesa del
sopraggiungere degli sparatori.
Palumbo, che ha riferito di essere stato originariamente incaricato di
partecipare alla fase esecutiva, ha poi riferito di avere appreso i dettagli dei fatti
dalle persone direttamente coinvolte dell’azione. In particolare, ha riferito di
avere appreso direttamente da Onda, al quale aveva manifestato il proprio
disappunto per non avere preso parte all’esecuzione, che questi aveva composto
il gruppo di fuoco, così ulteriormente confortando le conoscenze già apprese in
proposito nell’ambito dell’organizzazione di appartenenza.
I giudici di merito hanno, quindi, correttamente valorizzato la concordanza
delle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia Nasto e Palumbo in ordine alla
repentina modificazione della composizione del gruppo di fuoco, sottolineando
come, in una prospettiva di verifica generale dell’attendibilità dei racconti, essi,
pur muovendo da inizi diversi e dopo avere percorso strade diverse, finiscono per
convergere inequivocabilmente in un unico fine che non può ritenersi, in ragione
dell’assoluta indipendenza delle due versioni, frutto di un preventivo accordo,
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propalazioni con riguardo alla fase deliberativa e al movente, avendo i tre

sicché il contributo dichiarativo di Palumbo, sopraggiunto nel corso del giudizio di
secondo grado, costituisce un ulteriore riscontro a quanto già accertato dai
giudici di primo grado che hanno affermato la partecipazione all’agguato con
compiti esecutivi proprio di Onda, la cui partecipazione, come si è detto, trova
ulteriore conferma nelle dichiarazioni di Nasto e Saurro.

che, potendo godere di una visione diretta delle fasi esecutive dell’omicidio in
quanto presente sul posto al momento dell’arrivo dei sicari, ha avuto modo di
vedere gli assassini a breve distanza e, pur egli stesso confermando la presenza
dei caschi, riconoscerli in ragione della pregressa e consolidata conoscenza,
risultando l’ulteriore circostanza, relativa alla conduzione della seconda
motocicletta che, secondo Saurro (non presente ai fatti) avrebbe dovuto essere
guidata da Nappo Ciro, del tutto irrilevante poiché derivante da una deduzione
compiuta dal detto collaboratore (che aveva visto Onda partire per commettere
l’omicidio e dirigersi con la moto verso l’abitazione di Nappo ed essendo a
conoscenza della ragione di inopportunità, per come stabilita dal vertice
dell’organizzazione, della partecipazione di Iapicca – che risulta invece il
conducente del mezzo).
4.2. È infondato anche il terzo motivo di ricorso di Onda attinente
all’omicidio Scoppetta.
Va, innanzitutto, evidenziato che Palumbo si è autoaccusato dell’omicidio e
ha chiamato in correità Onda. Tale accusa era stata già acquisita nel corso del
processo di primo grado per mezzo delle dichiarazioni dell’altro collaboratore
Nasto che aveva, in effetti, accusato della partecipazione il ricorrente Onda sulla
base delle confidenze dallo stesso raccolte proprio da Palumbo.
Anzi, come correttamente evidenziato dai giudici di merito, la circostanza
che Palumbo avesse riferito il fatto quando ancora non aveva iniziato la
collaborazione, costituisce un ulteriore elemento a favore della credibilità
estrinseca del dichiarante.
Nel corso del giudizio di primo grado le dichiarazioni di Nasto erano state
giudicate riscontrate da quelle di Saurro che aveva assistito alla preparazione
(avendo fornito il materiale necessario a proteggere i sicari) e a una parte
dell’azione di fuoco, osservandola da presso.
12

In proposito, i giudici di merito hanno valorizzato le dichiarazioni di Nasto

Non sussiste, perciò, la denunciata discrasia tra le dichiarazioni di Nasto e
quelle di Palumbo, con riguardo all’inseguimento della vittima operato dai sicari,
posto che è risultato confermato, sulla base di una coerente e logica
motivazione, che la vittima tentò la fuga, sicché fu colpita alle spalle e poi finita
mentre si trovava a terra proprio da Onda che era sopraggiunto a rafforzare

È infondata anche la residua censura, secondo la quale le dichiarazioni rese
da Saurro sarebbero prive di contenuto rafforzativo del narrato di Palumbo,
poiché il primo avrebbe appreso

de relato dal secondo le notizie circa lo

svolgimento dei fatti, in quanto la componente rafforzativa è stata logicamente e
coerentemente individuata nell’apporto conoscitivo fornito dal primo in ordine
alla fase preparatoria ed esecutiva dell’azione, cui il collaboratore ha assistito
personalmente, vendendo anche i due sicari (Palumbo e Onda) indossare i
giubbotti antiproiettile e partire con le motociclette per commettere l’omicidio.
4.3. Al rigetto del ricorso di Umberto Onda consegue, ai sensi dell’art. 616
cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso di Umberto Onda e dichiara inammissibile il ricorso di
Aniello Nasto e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, il
Nasto al versamento della somma di euro 2.000 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 7 novembre 2017.

Palumbo.

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