Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52755 del 20/09/2017


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 52755 Anno 2017
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: RICCARDI GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BIANCHI TIZIANA nato il 24/09/1971 a ISOLA DEL LIRI
parte offesa nel procedimento c/
CHIOCCI GIAN MARCO nato il 06/04/1964 a ROMA
CIMMARUSTI IVAN nato il 12/08/1978 a ISOLA DEL LIRI

avverso il decreto del 04/03/2016 del GIP TRIBUNALE di ROMA

sentita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE RICCARDI;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Franca Zacco, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Bianchi Tiziana ricorre per cassazione avverso il decreto di archiviazione
emesso il 04/03/2016 dal Gip del Tribunale di Roma nei confronti di Chiocci Gian
Marco e Cimmarusti Ivan, in relazione al reato di diffamazione, deducendo
l’omessa fissazione dell’udienza camerale, e lamentando l’omessa valutazione
dell’opposizione proposta nei confronti della richiesta di archiviazione del P.M.;
sostiene, in particolare, che con l’atto di opposizione avesse richiesto la
formulazione dell’imputazione coatta, e, in subordine, la prosecuzione delle
indagini, mediante esame della persona offesa e approfondimento del punto 3

Data Udienza: 20/09/2017

delle delega disposta dal P.M., e che, in ogni caso, il provvedimento non si sia
pronunciato sul contenuto diffamatorio del primo articolo, del 23/11/2015,
concernente il presunto coinvolgimento della Bianchi nella ricerca di una
copertura politica allo scandalo Soa.
Con motivi aggiunti depositati il 05/09/2017 ribadisce le proprie doglianze,
evidenziando che il decreto di archiviazione ha ritenuto inammissibile
l’opposizione non già per tardività, come dedotto nella requisitoria del P.G., bensì
per il “difetto di qualsivoglia investigazione suppletiva”; peraltro, il termine di 10

2. Con memoria depositata il 14/09/2017 i difensori degli indagati hanno
chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Con riferimento alla questione della tardività dell’opposizione, dedotta
nella requisitoria del P.G., va registrato un contrasto giurisprudenziale tra
l’orientamento che sostiene la natura meramente ordinatoria del termine di dieci
giorni per la proposizione dell’opposizione

(ex multis,

Sez. 6, n. 39778 del

27/05/2014, Ignoti, Rv. 260459) e l’orientamento che, al contrario, afferma la
tardività dell’opposizione proposta oltre il decimo giorno (Sez. 6, n. 1574 del
29/03/2000, De Gennaro, Rv. 217131: “L’atto di opposizione alla richiesta di
archiviazione proposto dalla persona offesa oltre il decimo giorno dalla notifica
dell’avviso di cui all’art. 408, comma 2, cod. proc. pen., è irrimediabilmente
tardivo. Legittimamente, pertanto, il gip non lo prende in considerazione e
pronuncia decreto “de plano”).
Secondo il primo indirizzo, infatti, è illegittimo il provvedimento con il quale
il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di archiviazione,
dichiari l’inammissibilità dell’opposizione proposta dalla persona offesa per
violazione del termine di dieci giorni di cui all’art. 408, comma terzo, cod. proc.
pen. (Sez. 2, n. 33882 del 16/06/2010, Solighetto, Rv. 248120);la proposizione
dell’opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione oltre il termine
di dieci giorni dalla notificazione dell’avviso della richiesta non ne determina
l’inammissibilità, e non esonera il giudice, che nel frattempo non abbia già
provveduto all’archiviazione, dalla valutazione dell’opposizione stessa in vista dei
conseguenti adempimenti (Sez. 2, n. 35169 del 03/07/2008, Sperb, Rv.
241117).

2

giorni è meramente ordinatorio,

Il secondo orientamento, invece, sul presupposto che l’opposizione alla
richiesta di archiviazione non abbia natura di impugnazione (Sez. 6, n. 38944 del
18/09/2003, Stara, Rv. 228329), bensì, analogamente all’opposizione ai
provvedimenti del giudice dell’esecuzione, di istanza diretta al giudice allo scopo
di ottenere una decisione in contraddittorio (Sez. U, n. 3026 del 28/11/2001,
dep. 2002, Caspar Hawke, Rv. 220577), afferma la tardività dell’atto proposto
oltre il termine di dieci giorni (Sez. 6, n. 38944 del 18/09/2003, Stara, Rv.
228329, cit.), mutuando la medesima natura perentoria di termine di decadenza

667, comma 4, e 676, comma 1, cod. proc. pen. affermata dalla richiamata
sentenza delle Sezioni Unite del 2001.
La rilevanza degli argomenti richiamati a sostegno degli opposti
orientamenti, tuttavia, non consente, nel caso di specie, la rimessione del ricorso
alle Sezioni Unite per la composizione del contrasto, in quanto la ratio decidench
del provvedimento impugnato è fondata non già sulla tardività dell’opposizione,
che, invero, è stata valutata quale memoria ai sensi dell’art. 90 cod. proc.
quanto sul “difetto di qualsivoglia indicazione di investigazioni suppletive”.
1.2. Tanto premesso, il ricorso è manifestamente infondato, in quanto
l’opposizione proposta è stata formulata con una richiesta di ‘imputazione
coatta’, fondata su una diffusa contestazione delle valutazioni contenute nella
richiesta di archiviazione del P.M. (in parte riproposte anche nel presente giudizio
di legittimità); solo in subordine, l’atto conteneva una generica richiesta

di

proseguire le indagini, mediante esame della persona offesa e approfondimento
del punto 3 della delega disposta dal P.M. il 10/04/2015.
Al riguardo, la disciplina contenuta nell’art. 410, comma primo, cod. proc.
pen., considera come condizione di ammissibilità dell’opposizione l’indicazione
dell’oggetto dell’investigazione suppletiva e dei relativi mezzi di prova.
Tuttavia, l’opposizione deve contenere l’indicazione di investigazioni
suppletive ed elementi di prova, che non deve essere generica o apparente o
assolutamente irrilevante (Sez. 6, n. 2056 del 27/05/1996, D’Angelo, Rv.
205662), di un preciso tipo di investigazione, suppletiva rispetto a quella
espletata dal pubblico ministero, oltre che concreta e specifica (Sez. 1, n. 3870
del 30/06/1998, Franchino, Rv. 211293, che ha escluso che avesse tali
caratteristiche un’opposizione contenente la generica richiesta della parte offesa
di essere sentita per fornire ulteriori elementi di indagine e di ascoltare un teste,
senza la precisazione delle circostanze su cui l’audizione avrebbe dovuto
vertere).
Nel caso in esame, l’indicazione delle investigazioni suppletive è stata del
tutto stereotipata, meramente apparente, risolvendosi in una richiesta generica

3

dell’opposizione ai provvedimenti del giudice dell’esecuzione prevista dagli artt.

di esame della persona offesa, senza la precisazione delle circostanze sulle quali
l’audizione avrebbe dovuto vertere, ed in una omnicomprensiva richiesta di
approfondimento, formulata

per relationem

alla delega di indagini disposta dal

P.M., senza l’indicazione neppure dei temi di prova suscettibili di indagine
ulteriore rispetto a quella già espletata, e della astratta idoneità ad influire sulle
determinazioni concernenti l’invocato esercizio dell’azione penale.

2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al

in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in
Euro 2.000,00 ciascuno: infatti, l’art. 616 cod. proc. pen. non distingue tra le
varie cause di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento
della sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di
inammissibilità dichiarata ex art. 606 cod. proc. pen., comma 3, sia nelle ipotesi
di inammissibilità pronunciata ex art. 591 cod. proc. pen. ,

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di C 2.000,00 a favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma il 20/09/2017

pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro

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