Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52751 del 27/10/2017


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 52751 Anno 2017
Presidente: SABEONE GERARDO
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SOLA MANUEL nato il 22/10/1987 a MODENA

avverso la sentenza del 08/07/2016 della CORTE APPELLO di TRENTO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROBERTO AMATORE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIETTA
PICARDI
che ha concluso per
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’
Udito il difensore
l’avvocato CANESTRINI NICOLA, si riporta ai motivi.

Data Udienza: 27/10/2017

RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Trento, in parziale riforma della sentenza di
condanna anche dell’odierno ricorrente applicata dal Tribunale di Rovereto per i reati di cui agli
artt. 222, 217, comma 1, n. 4 I. fall. ( capo a della rubrica ) e di cui agli artt. 222, 216, comma
1, n. 1 I. fall., ha escluso la recidiva contestata al solo Sola Manuel, confermando, nel resto, la
predetta condanna.
Avverso la predetta sentenza ricorre l’imputato Sola Manuel, per mezzo del suo difensore,

1.1 Denunzia il ricorrente, con il primo motivo ed ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. e,
cod. proc. pen., difetto di motivazione e comunque violazione di legge in relazione all’art. 217,
comma 1, n. 4 I. fall.. Si evidenzia la natura errata e tautologica della motivazione in punto di
gravità della condotta giacché la colpa grave era stata dedotta dalla Corte di merito solo ed
esclusivamente dall’accertata circostanza dei prelevamenti di liquidità effettuati dagli imputati
dai conti della fallita allorquando quest’ultima versava già in una situazione di insolvenza,
senza corrispondentemente apprezzare da parte del giudice di appello le ulteriori circostanze
del mantenimento dei rapporti con le banche e dei versamenti effettuati nel corso del 2012 dai
medesimi soci per fornire ulteriore liquidità alla società debitrice attraverso risorse personali
acquisite con la vendita della abitazione dell’amministratore, e ciò al fine di favorire una ripresa
della debitrice.
Si evidenzia ancora la natura implicita della motivazione – resa sempre in punto di valutazione
sulla gravità della colpa nell’aggravamento del fallimento – nella valorizzazione argomentativa
della parziale restituzione delle risorse oggetto di apprensione da parte dei soci. Si evidenzia,
inoltre, che, secondo gli insegnamenti della Corte di legittimità, la colpa grave nella ritardata
dichiarazione di fallimento non può mai considerarsi presunta nel detto ritardo, ma deve essere
provata attraverso indici esterni di valutazione indiziaria che, nel caso di specie, erano
insussistenti o comunque non adeguatamente motivati anche in relazione alla confutazione di
quelle circostanze allegate dalla difesa ( come il versamento di liquidità nel corso del 2012 e la
vendita dell’abitazione dell’amministrazione per far fronte ai debiti sociali ) che avrebbero
dovuto, invece, condurre alla declaratoria di assoluzione per la insussistenza dell’elemento
soggettivo del reato.
1.2 Con il secondo motivo si denunzia sempre vizio argomentativo e vizio di violazione di legge
in relazione all’art. 216, primo comma, n. 1, I. fall..
Si evidenzia che la motivazione impugnata era carente argomentativamente in relazione
all’approfondimento motivatorio relativo alla consapevolezza dell’imputato del dissesto
finanziario della società poi fallita, e ciò anche in considerazione della circostanza che sarebbe
stato inverosimile sul piano probatorio tale conoscenza se confrontata con la vendita
dell’abitazione proprio per ripianare i debiti della società in un momento così prossimo al
fallimento.

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affidando la sua impugnativa a due motivi di doglianza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è infondato.
2.1 Già in primo motivo di ricorso è infondato.
Non è rintracciabile né il lamentato vizio argomentativo né tanto meno il denunziato vizio di
violazione di legge.
2.1.1 Orbene, nel reato di bancarotta semplice per mancata tempestiva richiesta di fallimento,
oggetto di punizione è l’aggravamento del dissesto dipendente dal semplice ritardo

anche, Sez. 5, Sentenza n. 13318 del 14/02/2013 Ud. (dep. 21/03/2013 ) Rv. 254986).
Ed invero, la fattispecie di mancata tempestiva richiesta di fallimento prevista dalla L. Fall., art.
217, n. 4, mira ad evitare che l’esercizio dell’impresa possa prolungare lo stato di perdita.
Sul punto, va tuttavia precisato che nel reato di bancarotta semplice, la condotta della
mancata tempestiva richiesta di dichiarazione del proprio fallimento è punibile se caratterizzata
da

colpa

grave

(Sez. 5, Sentenza n. 43414 del 25/09/2013 Ud. (dep. 24/10/2013 )

Rv. 257533 ).
La fattispecie incriminatrice contestata è descritta dalla L. Fall., art. 217, comma 1, n. 4, nella
condotta dell’imprenditore che “ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la
dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa”.
Sul punto, si discute in dottrina se la funzione del riferimento alla “colpa grave” si esaurisca in
quella di dato identificativo delle predette condotte, che si aggiungerebbe a quello della loro
causalità orientata all’aggravamento del dissesto; ovvero se la colpa grave connoti in realtà il
complesso dei fatti riconducibili alla previsione incriminatrice in esame, investendo pertanto
anche la condotta di omessa o ritardata richiesta di fallimento.
La questione – evidentemente innescata dalla presenza nella norma dell’attributo “altra” determina la colpa grave immediatamente dopo la descrizione della condotta appena indicata.
Tanto può astrattamente significare, come si è sostenuto, che il legislatore abbia considerato
come intrinsecamente ed inderogabilmente grave la colpa di chi ometta di richiedere
tempestivamente il proprio fallimento, ponendo tale comportamento quale parametro del
livello di colpa da ricercarsi, invece, di volta in volta nelle diverse condotte contestate alla
stregua della stessa incriminazione; ma può significare altresì, come pure è stato prospettato,
che in quanto coefficiente psicologico comune a tutte le condotte riconducibili alla norma in
esame, la colpa grave debba essere accertata anche nell’ipotesi del ritardato fallimento.
Il punto in discussione non è, a ben guardare, se la colpa grave sia elemento psicologico che
caratterizza l’intera fattispecie incriminatrice; conclusione sulla quale le opinioni riportate
finiscono per convergere.
Il quesito è, invece, se la gravità della colpa debba o meno ritenersi “presunta” laddove il
fallimento non sia tempestivamente richiesto dall’imprenditore in stato di insolvenza.
Orbene, la soluzione affermativa di una siffatta presunzione appare per un verso priva di
ragionevolezza, e per altro non essere l’unica autorizzata dal testo normativo.
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e

nell’instaurare la concorsualità, non essendo richiesti ulteriori comportamenti concorrenti ( cfr.

Per il primo aspetto, non è difficile comprendere come il ritardo nell’adozione della senza
dubbio grave decisione dell’imprenditore di richiedere il proprio fallimento possa essere
ricollegato ad una vasta gamma di dinamiche gestionali; che si estende dall’estremo
dell’assoluta noncuranza per gli effetti del possibile aggravamento del dissesto a quello
dell’opinabile valutazione sull’efficacia di mezzi ritenuti idonei a procurare nuove risorse.
L’eterogeneità di queste situazioni rende improponibile una loro automatica sussunzione nella
più intensa dimensione della “colpa” ( cfr. sent. n. 43414/2013, cit. supra ).

generico perché dallo stesso possa farsi derivare una presunzione assoluta di colpa grave,
dipendendo, invero, tale carattere dalle scelte che lo hanno determinato.
Per il secondo profilo, il fatto che la norma qualifichi nel segno della “altra grave colpa” le
condotte diverse da quella di ritardato fallimento non implica necessariamente che quest’ultima
sia intesa da legislatore come manifestazione tipica di colpa grave (cfr., sempre,
sent. n. 43414/2013, cit. supra ).
È, altresì, percorribile una lettura che sottintenda tale condotta come punibile in quanto in
concreto connotata da colpa grave, al pari di altri comportamenti non tipicizzati altrimenti che
per la loro efficienza causale rispetto all’aggravamento del dissesto e per la quale, in altri
termini, la tardiva richiesta di fallimento assuma la consistenza di un’omissione penalmente
rilevante, ove oggetto di una scelta caratterizzata da colpa di livello grave.
Questa opzione interpretativa, non incorrendo nei difetti di ragionevolezza rilevabili nella tesi
per la quale la gravità della colpa sarebbe assolutamente presunta nell’ipotesi in esame, deve
pertanto essere privilegiata laddove, per quanto appena detto, non incompatibile con il dato
letterale.
Nè la stessa contrasta con l’orientamento, anche ribadito da questa Corte ( cfr., supra ), per il
quale la norma incriminatrice non richiede comportamenti ulteriori che concorrano con la
mancata richiesta di fallimento ed il conseguente aggravamento del dissesto, anche solo per
effetto del mero proseguimento dell’attività di impresa (Sez. 5, n. 13318 del 14/02/2013,
Viale, Rv. 254986, cit. supra ).
Qui non si vuotsostenere, in realtà, che comportamenti del genere siano necessari, ma che la
scelta di ritardare la dichiarazione di fallimento in proprio debba essere in sè stessa
determinata da un atteggiamento gravemente colposo.
2.1.2 Ciò posto, osserva la Corte come la motivazione resa dal giudice di appello sia – sul
punto qui da ultimo in discussione ( sul tema, cioè, della qualificazione della condotta in
termini di “gravità colposa” ) – corretta e rispettosa dei principi sopra riaffermati, atteso che la
Corte di merito ha qualificato e rintracciato tale gravità della condotta dell’imprenditore nella
evidenza dello stato di conclamata insolvenza della società debitrice già nell’esercizio 2011 e
nella irragionevole continuazione dell’attività imprenditoriale nonostante le altrettanti evidenti
e pesanti perdite economiche discendenti dalla predetta continuazione, colorando con ciò la
condotta del ricorrente nei richiesti termini di gravità.
4
‘<72— Detto altrimenti, il dato oggettivo del ritardo nella dichiarazione di fallimento è ancora troppo Peraltro, osserva ulteriormente la Corte come, in realtà, i continui prelievi di liquidità connotassero anche le condotte qui in esame nei termini di una spregiudicatezza e di una illiceità (e ciò in relazione alla contestata bancarotta distrattiva ) che non poteva non ridondare negativamente per la posizione soggettiva del ricorrente in ordine qualificazione della condotta di aggravamento del dissesto nei termini di "gravità colposa". Né può soccorrere, per una diversa valutazione della questio iuris rispetto a quella qui accolta, la circostanza del versamento di euro 67.350 da parte dell'imputato nelle casse sociali, posto rappresentava solo una restituzione parziale delle liquidate sottratte, non potendo incidere, pertanto, tale circostanza fattuale sul giudizio di gravità delle condotte che, anzi, ne usciva invece rafforzato. Del resto, seguire oltre il ricorrente nelle valutazioni della questio facti sottese al giudizio di gravità delle condotte significherebbe addentrarsi sul terreno della valutazione di merito della fattispecie concreta che è rimessa allo scrutinio del solo giudice del merito e sul cui giudizio la Corte di legittimità può subentrare solo nel ristretto crinale della valutazione del vizio argomentativo. Ne discende il rigetto del primo motivo di doglianza. 3. Anche il secondo motivo di censura, articolato dal ricorrente in punto di sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è infondato, lambendo, invero, l'area della inammissibilità. 3.1 Sul punto, è utile richiamare la costante e stratificata giurisprudenza di questa Corte secondo cui l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte ( cfr., da ultimo, Sez. U, Sentenza n. 22474 del 31/03/2016 Ud. (dep. 27/05/2016) Rv. 266805 ). Ne consegue che, alla stregua del principio ora riaffermato, le questioni prospettate dal ricorrente in punto di non consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa ovvero di pregiudizio recato ai creditori ovvero ancora in tema di nesso causale non rivestono rilevanza alcuna, riguardando l'oggetto del dolo la mera consapevolezza e volontà di imprimere al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte. Anche qui, la circostanza del versamento di euro 67.350, cui sopra si è ugualmente accennato, risulta del tutto irrilevante, stante la valenza di restituzione solo parziale delle liquidità sottratte. Nel resto, le censure avanzate dalla difesa del ricorrente sono versate in fatto e come tali irricevibili in questo giudizio di legittimità. 5 che - come correttamente rilevato anche dalla Corte territoriale - il detto versamento P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 27.10.2017

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