Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52728 del 28/09/2017


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 52728 Anno 2017
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Guccio Calogero Salvatore, nato il 09/06/1967 a Catania
avverso la sentenza del 31/03/2016 della Corte d’appello di Caltanissetta

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandra Bassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto
Aniello, che ha concluso chiedendo che il fatto sia riqualificato ai sensi dell’art.
594 cod. pen. perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato;
udito il difensore, Avv. Francesco Azzolina, che ha concluso riportandosi ai motivi
dedotti nel ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Caltanissetta, in
parziale riforma dell’appellata sentenza del 3 maggio 2012 del Tribunale di Enna,
confermata l’assoluzione di Calogero Salvatore Guccio per il reato di cui all’art.
340 cod. pen., ha assolto il medesimo dal reato di oltraggio a pubblico ufficiale
perché non punibile per la particolare tenuità del fatto.

Data Udienza: 28/09/2017

2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del
suo difensore di fiducia Avv. Francesco Azzolina, e ne ha chiesto l’annullamento
per i seguenti motivi:
2.1. violazione di legge penale e processuale in relazione agli artt. 341-bis
cod. pen. e 191 e 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione per travisamento
della prova (segnatamente la testimonianza del teste Giarrizzo), per avere la
Corte d’appello ribaltato la sentenza assolutoria di primo grado in relazione al
reato di cui al capo A), nonostante l’assenza dell’elemento oggettivo della

parole in ipotesi oltraggiose venivano profferite in aperta campagna in presenza
dei soli pubblici ufficiali cui erano rivolte;
2.2. violazione di legge penale e processuale in relazione agli artt. 341-bis
cod. pen. e 191 e 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione, per avere la Corte
ritenuto integrato il reato sebbene le espressioni usate dal Guccio non fossero
dirette ad offendere l’onore ed il prestigio dei vigili provinciali bensì soltanto a
protestare contro le contestazioni elevategli.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato e che la sentenza impugnata
debba essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

2. Giova preliminarmente rilevare come la Corte territoriale sia pervenuta
alla riforma del giudizio assolutorio reso dal giudice di primo grado nei confronti
di Guccio in ordine al reato di oltraggio a pubblico ufficiale di cui al capo A), sia
pure pervenendo ad una pronuncia latu sensu liberatoria in applicazione della
causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto. Non è revocabile in
dubbio che detta pronuncia si sia tradotta in un ribaltamento del giudizio
pienamente assolutorio di primo grado, là dove l’applicazione dell’istituto
previsto dall’art. 131-bis cod. pen. presuppone comunque il riconoscimento della
penale responsabilità dell’imputato. Ne discende altresì l’interesse del Guccio a
coltivare il ricorso.

3. Tanto premesso, occorre evidenziare come, secondo gli approdi di questa
Corte di legittimità, debba ormai ritenersi pacifico che la riforma in appello del
giudizio assolutorio di primo grado – nel postulare un giudizio di colpevolezza
conforme al parametro dell'”a/ di là di ogni ragionevole dubbio” suscettibile di
scardinare il pronunciamento liberatorio – imponga al giudice del gravame il
rispetto di due regulae iuris: per un verso, il ribaltamento deve poggiare su una
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pubblicità dell’offesa, là dove – come dichiarato dal teste Alfonso Giarrizzo -, le

motivazione c.d. rafforzata; per altro verso, qualora scaturisca da un diversa
valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, la riforma presuppone la
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, e ciò anche quando si tratti – come
appunto nel caso di specie – di sentenza resa all’esito del giudizio abbreviato.
3.1. In particolare, quanto al primo profilo, le Sezioni Unite hanno affermato
che il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha
l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento
probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della

incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento
impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679). Ancora,
questa Corte ha successivamente ribadito che la sentenza di appello di riforma
totale del giudizio assolutorio di primo grado deve confutare specificamente,
pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a
sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l’insostenibilità
sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo
grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel
giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che,
sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle
scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova
diversi o diversamente valutati (Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, Aglieri, Rv.
233083; Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, Rastegar, Rv. 254638).
In altri termini, il Collegio del gravame che condanni l’imputato assolto in
primo grado ha l’obbligo di dimostrare specificamente l’insostenibilità sul piano
logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza del primo giudice,
con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente
motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, dia
ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad
elementi di prova diversi o diversamente valutati. Allorchè riconosca la
responsabilità penale dell’imputato negata in primo grado, in ossequio al
principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, il decidente di secondo grado non
può dunque limitarsi ad una mera rilettura dello stesso materiale probatorio ed
alla sostituzione delle valutazioni sottese alla decisione impugnata con le proprie,
ma – ponendosi in diretto confronto con i passaggi argomentativi sviluppati nel
provvedimento gravato – deve evidenziare gli errori in diritto in cui sia incorso il
primo giudice e/o i vizi logico argomentativi del ragionamento da questi seguito
ed esplicitare le ragioni per le quali non siano sostenibili ipotesi dotate di
razionalità e plausibilità diverse da quella recepita nel proprio pronunciamento,
improntando le proprie diverse valutazioni al rigoroso rispetto del principio
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motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa

codificato nel comma 1 dell’art. 533 cod. proc. pen. (introdotto con L. n. 46 del
2006), alla stregua del quale “il giudice pronuncia sentenza di condanna se
l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole
dubbio”.

3.2. Quanto al secondo profilo, il più ampio consesso di questa Corte ha
affermato che è affetta da vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen., per mancato rispetto del canone di giudizio “al di là di ogni
ragionevole dubbio”, di cui all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., la sentenza di

dell’imputato, in riforma di una sentenza assolutoria, operando una diversa
valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata
disposta la rinnovazione a norma dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen.; ne
deriva che, al di fuori dei casi di inammissibilità del ricorso, qualora il ricorrente
abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla
valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza fare specifico
riferimento al principio contenuto nell’art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la
Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata (Sez. U, n.
27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267492).
In una successiva decisione, le Sezioni Unite hanno ribadito il medesimo
principio con riguardo allo specifico caso – che appunto viene qui in rilievo – della
riforma in appello della sentenza di assoluzione disposta all’esito del giudizio
abbreviato non condizionato (Sez. U., n. 18620 del 19/01/2017, ric. Patalano).
Il ragionamento svolto dalle Sezioni Unite in tale ultimo arresto prende le
mosse dalla considerazione che, ai fini della riforma del giudizio assolutorio di
primo grado, la Corte d’appello è tenuta non solo a svolgere una motivazione
c.d. “rafforzata” – cioè dotata di una forza persuasiva superiore a quella della
sentenza “ribaltata” -, ma anche a rinnovare l’esame delle fonti di prova
dichiarativa ritenute decisive, come discende dalla costituzionalizzazione del
giusto processo e, quindi, dal canone di giudizio delro/tre ogni ragionevole
dubbio”,

elaborato dalla giurisprudenza di legittimità già prima della sua

codificazione nell’art. 533, comma 1, c.p.p. (ad opera della legge n. 46 del 20
febbraio 2006), in quanto “criterio generalissimo” del processo penale,
direttamente collegato alla presunzione d’innocenza. Si è dunque sottolineato
come la (ri)valutazione meramente cartolare del materiale probatorio già
valutato dal primo giudice non potrebbe non risultare distonica rispetto al canone
dell’art. 533, comma 1, essendo insito nell’avvenuta adozione di decisioni
contrastanti il “dubbio ragionevole”. In risposta all’osservazione della Sezione
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appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità

remittente – secondo la quale, con la richiesta di giudizio abbreviato, lo stesso
imputato chiede di essere giudicato “allo stato degli atti” -, le Sezioni Unite
hanno rimarcato che la revisione del giudizio liberatorio espresso in primo grado,
implicando il superamento di ogni dubbio sull’innocenza dell’imputato, postula il
ricorso al “metodo migliore per la formazione della prova”, id est all’oralità ed
all’immediatezza mediante l’esame diretto delle fonti dichiarative. Siffatta regola
non può non valere anche in caso di rovesciamento in appello della decisione
assolutoria ex art. 438 c.p.p., risultando l’opzione per il giudizio allo stato degli

epistemologicamente più appagante. In altri termini, il principio secondo il quale
il ribaltamento del giudizio assolutorio impone il metodo orale nella formazione
della prova (purchè “decisiva”) ha valenza generale, in quanto corollario della
regola di giudizio dell'”al di là di ogni ragionevole dubbio”, espressione dei valori
costituzionali del giusto processo e della presunzione d’innocenza, e, pertanto,
non può non valere anche nel caso in cui la decisione da ribaltare sia stata resa
all’esito del giudizio “negoziale”, “a prova contratta”.
Nell’ultimo paragrafo della motivazione, le Sezioni Unite si sono nondimeno
preoccupate di tracciare gli esatti confini di operatività del principio di diritto
affermato, evidenziando come la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale sia
indispensabile soltanto nel caso di valutazione “differente”, e non di mero
“travisamento”, della prova dichiarativa, dunque nell’ipotesi in cui la difformità
cada sul significante (il documento) e non sul significato (il documentato) “per
omissione, invenzione o falsificazione”, caso – quest’ultimo – in cui il giudice
d’appello può dunque pervenire ad un giudizio di colpevolezza senza necessità di
rinnovare le prove dichiarative. Precisazione quanto mai opportuna, che fa luce
su di un aspetto indubbiamente problematico, non affrontato nella sentenza
Dasgupta (che si era soffermata soltanto sulla necessaria “decisività” della prova
da rinnovare), di portata all’evidenza generale e da tenere pertanto presente
anche in caso di rovesciamento della sentenza liberatoria pronunciata all’esito
del giudizio ordinario. La Corte d’appello potrà così prescindere
dall’interlocuzione diretta con la fonte di prova in tutti i casi in cui riscontri che il
primo giudice di merito sia pervenuto all’assoluzione incorrendo in errore
nell’estrazione dell’informazione dal contributo narrativo – traendovi un fatto
inesistente o palesemente diverso da quello riferito dal teste (ad esempio,
l’affermazione di nero per bianco) -, mentre dovrà procedere alla rinnovazione
della prova dichiarativa là dove il diverso epilogo decisorio scaturisca da una
differente valutazione o interpretazione del dato conoscitivo (Sez. 6, n. 35899
del 30/05/2017 -, Fori, Rv. 270546).

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atti recessiva rispetto all’esigenza di riassumere le prove attraverso il metodo

4. Giudica il Collegio che la Corte d’appello di Caltanissetta non abbia fatto
corretta applicazione dei sopra delineati capisaldi ermeneutici.
4.1. Ed invero, la Corte territoriale, nel pervenire al c.d. ribaltamento, non si
è confrontata con i passaggi argomentativi del primo giudice dimostrandone
l’erroneità e la non conformità al criterio dell’oltre ragionevole dubbio, ma si è
limitata a sovrapporre la propria valutazione della vicenda sui due aspetti su cui
il Tribunale aveva poggiato il giudizio liberatorio, id est la mancata integrazione
del requisito della pubblicità dell’offesa e l’assenza del dolo, limitandosi a rilevare

avrebbe potuto ascoltarle”. Per altro verso, non ha comunque proceduto ad
escutere nuovamente i testi che avevano riferito in ordine ai soggetti presenti al
momento dei fatti.
4.2. La decisione impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio.
Ribadito che, ai fini della configurabilità del reato di oltraggio di cui all’art.
341-bis cod. pen., è sufficiente che le espressioni offensive rivolte al pubblico
ufficiale possano essere udite dai presenti, poichè già questa potenzialità
costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione,
disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire
condizioni avverse, per lui e per la P.A. di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle
ordinarie (v. da ultimo Sez. 6, n. 19010 del 28/03/2017, Trombetta, Rv.
269828), il necessario requisito della pubblicità postula imprescindibilmente che
le condizioni di tempo e di luogo delineino una “concreta possibilità” che le frasi
oltraggiose siano udite da soggetti terzi rispetto ai pubblici ufficiali attinti dalle
offese. Concreta possibilità che all’evidenza non sussiste allorquando l’azione si
svolga in aperta campagna e nessun soggetto diverso dai pubblici ufficiali si trovi
nei paraggi.
4.3. Tenuto conto degli elementi probatori acquisiti ed acquisendi nonchè
delle convincenti argomentazioni svolte dal Tribunale di Enna in ordine
all’assenza di altre persone oltre ai operanti di P.G. – non contrastate da alcun
elemento obbiettivo o persuasivo argomento contrario da parte della Corte
d’appello -, ritiene il Collegio che il dubbio circa l’integrazione del requisito della
pubblicità dell’offesa non possa essere superato nell’ambito di un eventuale
giudizio di rinvio.
La soluzione pienamente liberatoria nel merito dell’accusa deve pertanto
prevalere sull’accertato vizio di ordine processuale (Sez. U, n. 45276 del
30/10/2003, P.G., Andreotti e altro, Rv. 226099; Sez. U n. 28954 del – dep.
09/06/2017, Iannelli, Rv. 269810) e la sentenza impugnata deve, in
conseguenza, essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

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che “le frasi sono state pronunciate in luogo aperto al pubblico e chiunque

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Così deciso il 28 settembre 2017

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