Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52726 del 28/09/2017


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 52726 Anno 2017
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Moretti Gigino, nato il 30/06/1976 a Comacchio
avverso la sentenza del 31/03/2016 della Corte d’appello di Venezia

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandra Bassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberto
Aniello, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato ; ( 14 w V’

44 N

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Venezia ha
confermato la sentenza del 26 gennaio 2012, con la quale il Tribunale di Padova
ha condannato Gigino Moretti per i reati di calunnia e simulazione di reato, per
avere falsamente denunciato, in modo implicito, Fulvio Tofful di avere presentato
una falsa denuncia di furto del veicolo Fiat Ducato nonché per avere simulato lo
smarrimento della carta di circolazione e del certificato di proprietà del
medesimo veicolo.

Data Udienza: 28/09/2017

2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso Gigino Moretti, a mezzo
del difensore di fiducia Avv. Vittorio Manfio, e ne ha chiesto l’annullamento per i
seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge processuale in relazione agli artt. 178, lett. c), 179,
157, 161, commi 1 e 4, 416, 419, 420, 420-bis, 420-quater, 429, comma 4,
484, comma 2-bis, cod. proc. pen. Il ricorrente evidenzia di essere stato
erroneamente giudicato in contumacia, atteso che, il 7 aprile 2008, in sede di
redazione del verbale di identificazione (che non faceva menzione di alcun

Vanzetti e dichiarava di eleggere il domicilio in Albignasego, via casa comunale
3; che, nel verbale del 17 aprile 2008, in relazione al procedimento n. 709/08
della Procura di Gorizia in ordine al reato di cui all’art. 392 c.p., l’indagato
nominava il difensore di fiducia Avv. Fabio Gaudenzi ed eleggeva il domicilio
presso lo studio di quest’ultimo; che, in data 26 maggio 2008, la Procura di
Gorizia stralciava da detto procedimento quello concernente il delitto di calunnia,
che trasmetteva per competenza alla procura di Padova, che iscriveva il fatto con
il n. 9952/08 (id est quello del procedimento sub iudice), mentre il procedimento
n. 709/08 veniva archiviato; che le notifiche ex art. 415-bis cod. proc. pen. e
quelle successive venivano effettuate presso il domicilio eletto nello studio
dell’Avv. Gaudenzi, il quale rinunciava al mandato difensivo; che, in data 5
ottobre 2009, il Gip di Padova nominava l’Avv. Michele Longo quale difensore
d’ufficio, presso il quale venivano compiute tutte le successive notifiche. L’A.G.
avrebbe dovuto procedere alle notificazioni presso lo studio dell’Avv. Gaudenzi,
ove Moretti aveva eletto il domicilio, non potendosi ritenere la rinuncia al
mandato idonea ad invalidare l’elezione.
2.2. Violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione agli artt.
368 e 367 cod. pen., 51 cod. pen. e 24 Cost., per avere la Corte d’appello
ritenuto integrato il reato di calunnia sia pure in assenza di un’accusa esplicita,
essendo contenuta l’ipotizzata accusa implicita in un verbale di s.i.t. non
utilizzabile in quanto assunto senza le garanzie di legge, essendo Moretti
indagato del reato di cui all’art. 392 cod. pen. Ad ogni modo, Moretti si era
limitato ad esercitare il suo diritto di difesa. Infine, la Corte aveva errato nel
ritenere integrato il reato di cui all’art. 367 cod. pen. anziché quello di cui all’art.
483 cod. pen.
2.3. Mancata assunzione di una prova decisiva – in relazione alla
testimonianza della figlia di Sergio Tofful – e mancanza di motivazione sul punto.
2.4. Vizio di motivazione in relazione alla denegata applicazione delle
circostanze attenuanti in prevalenza sulla contestata recidiva ed alla
determinazione della pena.
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procedimento penale), il ricorrente nominava quale difensore l’Avv. Cesare

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato in relazione a tutte le deduzioni mosse e deve
pertanto essere rigettato.

2. E’ destituito di fondamento il primo motivo in rito col quale il ricorrente
deduce la nullità della dichiarazione di contumacia dell’imputato.
2.1. Da quanto si evince dall’incartamento processuale, contrariamente a

non si limitava a rinunciare il mandato, ma esprimeva espressamente il suo
rifiuto a ricevere le notifica degli atti indirizzati all’imputato. Ciò emerge per
tabulas anche dal verbale dell’udienza del 23 settembre 2010, nel quale il
Tribunale – nel pronunciare l’ordinanza con cui rigettava l’eccezione di nullità
della notifica sollevata dalla difesa e dichiarava la contumacia del Moretti – dava
conto del rifiuto del patrono a ricevere le notificazioni del cliente “come da
missiva all’affoliazione 26 dell’Avv. Gaudenzi”.
In ossequio al principio più volte affermato da questa Corte, il rifiuto della
persona indicata quale domiciliataria di ricevere l’atto rende l’elezione inidonea a
perseguire lo scopo cui essa era finalizzata e legittima, pertanto, il ricorso alla
procedura notificatoria mediante consegna dell’atto al difensore, sia esso di
fiducia o d’ufficio, a norma dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen. (Sez. 1, n.
22973 del 09/04/2013, Perrone, Rv. 256082; Sez. 1, n. 4783 del 25/01/2012,
Roman, Rv. 251863; Sez. 4, n. 31658 del 20/05/2010 – dep. 11/08/2010, Rei,
Rv. 248099).
Pertanto, del tutto ritualmente, il giudice del dibattimento – rilevata,
all’udienza del 3 giugno 2010, l’inidoneità del domicilio eletto presso l’Avv.
Gaudenzi – disponeva la nuova notifica all’imputato del decreto che dispone il
giudizio presso il difensore d’ufficio Avv. Longo, ex art. 161, comma 4, c.p.p.
2.2. A ciò si aggiunga che, nella richiesta di ammissione al patrocinio a
spese dello Stato, Moretti eleggeva domicilio proprio presso lo studio del
difensore d’ufficio Avv. Longo, così facendo propria la domiciliazione ex lege ai
sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen. Con tale dichiarazione di volontà
avente valore negoziai-processuale, il ricorrente palesava, non solo di avere
compiuta notizia del processo celebrando a suo carico, ma anche – e soprattutto
– di avere in atto una relazione di comunicazione effettiva con il soggetto presso
il cui studio volontariamente aveva eletto il proprio domicilio per le notificazioni.
Deve invero ritenersi che, dalla elezione di domicilio presso lo studio del
difensore di ufficio, derivi una presunzione di conoscenza del processo a suo

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quanto dedotto dal ricorrente, l’Avv. Gaudenzi nominato di fiducia dal Moretti

carico. L’art. 420-bis, commi 2 e 3, cod. proc. pen., prevede, infatti, che, salvi i
casi di legittimo impedimento a comparire previsti dal successivo art. 420-ter, il
giudice procede in assenza dell’imputato, non solo quando quest’ultimo, pur se
impedito, ha espressamente rinunciato ad assistere all’udienza (comma primo),
ma anche nel caso in cui “nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto
domicilio (…)” (comma 2), stabilendo, altresì, che “nei casi di cui ai commi 1 e 2,
l’imputato è rappresentato dal difensore” (comma 3).
La presunzione di conoscenza del processo derivante dall’elezione di

anche a pronunciare una sentenza di condanna idonea a passare in giudicato,
contro la quale il condannato potrà far valere l’eventuale mancata conoscenza
della celebrazione del giudizio a suo carico solo nei limiti previsti dall’art. 625ter, cod. proc. pen., gravando su quest’ultimo l’onere di provare che il difetto di
informazione non dipenda da una causa allo stesso imputato ascrivibile a titolo di
colpa.
Sarebbe stato, pertanto, onere dell’imputato, rispondente ad un criterio di
ordinaria diligenza, attivarsi autonomamente per mantenere con il difensore
d’ufficio i contatti periodici essenziali per essere informato dello sviluppo del
procedimento, il cui mancato adempimento configura un’ipotesi di colpa nella
mancata conoscenza della celebrazione del processo (Sez. 6, n. 15932 del
01/04/2015, Della Nave, Rv. 263084; Sez. 3, n. 38513 del 22/06/2016,
Buonaiuto, Rv. 267947).
2.3. D’altra parte, è pacifico che l’elezione di domicilio contenuta nell’istanza
di ammissione al patrocinio a spese dello Stato operi anche nel procedimento
principale per cui il beneficio è richiesto, a nulla rilevando l’espressa volontà
dell’imputato di limitarne gli effetti esclusivamente ai fini della suddetta
pronuncia incidentale, in quanto, ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen., non sono
consentite parcellizzazioni degli effetti delle dichiarazioni di domicilio effettuate
nell’ambito di uno stesso procedimento (Sez. 5, n. 29695 del 13/05/2016,
Chielli, Rv. 267501).

3. Non coglie nel segno il secondo motivo di doglianza, col quale il ricorrente
ha eccepito l’insussistenza dei presupposti dei contestati delitti di cui agli artt.
368 e 367 cod. pen., per essere state rese le dichiarazioni integranti reato in un
verbale di s.i.t. non utilizzabile, in quanto Moretti avrebbe dovuto essere sentito
con le garanzie di legge quale indagato del reato di cui all’art. 392 cod. pen.
3.1. Come bene ricostruito dai giudici del merito in perfetta aderenza alle
risultanze degli atti contenuti nel fascicolo processuale ed in linea con la
fattispecie concreta oggetto di contestazione, Moretti rendeva le dichiarazioni in
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domicilio legittima, pertanto, il giudice a procedere in assenza dell’imputato ed

ipotesi calunniose il 7 aprile 2008 allorquando veniva sentito quale semplice
persona informata dei fatti, tanto che la verbalizzazione veniva interrotta non
appena egli rendeva le dichiarazioni incriminate, a norma dell’art. 63, comma 1,
cod. proc. pen.
3.2. D’altra parte, non può sottacersi che – trattandosi di procedimento per
il delitto di calunnia in ipotesi commesso proprio nel rendere tali sommarie
informazioni – il verbale che le raccoglie costituisce corpo di tale reato, da
acquisire al fascicolo del dibattimento in base al combinato disposto degli artt.

230501; nella specie, si trattava del verbale di sommarie informazioni rese ai
carabinieri in un procedimento per falsa testimonianza; conf. Sez. 3, n. 31415
del 15/01/2016, Ganzer e altri, Rv. 267513).

4. Non v’è materia per ritenere le condotte delittuose scriminate dalla causa
di giustificazione connessa al diritto di difesa.
4.1. Mette conto di rammentare al riguardo come, secondo l’insegnamento
di questa Corte, l’esercizio legittimo dello ius defendendi non possa spingersi
sino alla consapevole accusa di una persona, che si sappia innocente, della
commissione di un reato. In particolare, si è affermato che integra il delitto di
calunnia la condotta dell’imputato che non si limiti a ribadire l’insussistenza delle
accuse a suo carico, ma rivolga all’accusatore, di cui conosca l’innocenza, accuse
specifiche, circostanziate e determinata di un fatto concreto e dunque idonee a
determinare la possibilità dell’inizio di un’indagine penale nei suoi confronti,
atteso che, in tale ipotesi, non ricorrono le condizioni richieste perché si configuri
il legittimo esercizio del diritto di difesa e quindi la causa di giustificazione di cui
all’art. 51 cod. pen. (Sez. 6, n. 18755 del 16/04/2015, P.O. in proc. Scagnelli,
Rv. 263550; Sez. 2, n. 28620 del 01/07/2009, Ostuni, Rv. 244730). Ricorrono
dunque gli estremi del reato di calunnia quando l’imputato, travalicando il
rigoroso rapporto funzionale tra la sua condotta e la confutazione
dell’imputazione, non si limiti a ribadire la insussistenza delle accuse a suo
carico, ma assuma ulteriori iniziative dirette a coinvolgere altri, di cui conosce
l’innocenza, nella incolpazione, specifica e circostanziata, di un fatto concreto e
da ciò derivi la possibilità di inizio di un’indagine penale da parte dell’autorità
(Sez. 6, n. 5574 del 19/03/1998, Ruggeri, Rv. 210652).
4.2. Di tali consolidati principi ha fatto buon governo il Collegio di merito
allorchè ha escluso la ravvisabilità nella specie della scriminante del diritto di
difesa, in considerazione del fatto che Moretti non si limitava a difendersi, ma rendendo le dichiarazioni alla P.G. – accusava, sia pure implicitamente, un
innocente di un reato che non aveva commesso.
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235 e 431, lett. f, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 43193 del 30/09/2004, Floridia, Rv.

5. Extra devolutum, in quanto non fatta oggetto di un motivo d’appello, è la
censura concernente la qualificazione giuridica del reato di cui al capo B)
nell’ipotesi di cui all’art. 367 cod. pen., anziché quella di cui all’art. 483 cod. pen.
5.1. Va, ad ogni modo, notato che se non è revocabile in dubbio che la falsa
denuncia dello smarrimento della carta di circolazione e del certificato di
proprietà di un’autovettura sia suscettibile di integrare il reato di falso ideologico
commesso dal privato in atto pubblico ex art. 483 cod. pen. (Sez. 5, n. 36642

condotta deve essere sussunta in quella di cui all’art. 367 cod. pen. allorquando
la falsa denuncia di smarrimento dei documenti di un automezzo sostanzi una
simulazione di reato. Ciò è accaduto nel caso di specie, nel quale l’imputato
denunciava lo smarrimento della carta di circolazione e del certificato di proprietà
di un autocarro – che invece si trovavano nella disponibilità del Tofful – e
contestualmente sporgeva denuncia implicita a carico del medesimo di avere
presentato una denuncia calunniosa in relazione al veicolo cui detti documenti si
riferivano.

6. E’ destituita di fondamento anche la deduzione oggetto del terzo motivo,
col quale il ricorrente ha dedotto l’erroneità dell’omessa rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale con riguardo alle dichiarazioni della figlia di Sergio
Tofful.
6.1. Giova premettere come, alla stregua del chiaro disposto dell’art. 603,
commi 1 e 2, cod. proc. pen., l’assunzione di nuove prove in appello sia
subordinata alla valutazione del giudicante di non essere in grado di decidere allo
stato degli atti, salvo che non si tratti di prove sopravvenute o scoperte dopo il
giudizio di primo grado, nel quale caso il giudice dispone la rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale nei limiti previsti dall’art. 495, comma 1, cod. proc.
pen. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, nel giudizio d’appello,
la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, prevista dall’art. 603, comma 1,
cod. proc. pen., è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine
dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter
decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale
accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in
sede di legittimità se correttamente motivata (In applicazione del principio, la
Corte ha annullato la sentenza di appello in ragione della mancata acquisizione di
una prova documentale in astratto fondamentale per valutare se la condotta
abusiva posta in essere da un pubblico ufficiale per conseguire una somma di
denaro da un privato implicasse comunque la successiva realizzazione di un
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del 20/09/2005, P.G. in proc. Cialoni, Rv. 232378), nondimeno, detta stessa

indebito tornaconto per quest’ultimo, e quindi se fosse ravvisabile un fatto di
concussione o, invece, di induzione indebita) (Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015,
Leoni, Rv. 26262001; Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003, Rv. 229666). Ancora, in
tema di rinnovazione, in appello, della istruzione dibattimentale, mentre la
decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificatamente motivata,
occorrendo dar conto dell’uso del potere discrezionale, derivante dalla acquisita
consapevolezza della rilevanza dell’acquisizione probatoria, nella ipotesi di
rigetto, viceversa, la decisione può essere sorretta anche da una motivazione

merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in
ordine alla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare
il dibattimento (Cass. Sez. 6, n.5782 del 18/12/2006, Rv. 236064).
6.2. Di tali regulae iuris ha tenuto conto la Corte territoriale, là dove ha
respinto la richiesta di escutere la Tofful, evidenziando – con considerazioni
puntuali e scevre da irragionevolezza – le ragioni per le quali la sollecitata
testimonianza risultasse non necessaria ai fini della decisione, in conformità al
disposto del citato art. 603 cod. proc. pen.

7. Infine, quanto all’ultimo motivo, la Corte ha dato conto con motivazione
sintetica ma adeguata delle ragioni per le quali la pena debba ritenersi
adeguatamente determinata, in ossequio ai criteri fissati nell’art. 133 cod. proc.
pen.
7.1. D’altronde, secondo il costante insegnamento di questa Corte, la
graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la
esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati
negli artt. 132 e 133 cod. pen., di tal che è inammissibile la censura che, nel
giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena
la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e
sia sorretta da sufficiente motivazione

(ex plurimis,

Sez. 5, n. 5582 del

30/09/2013, Ferrario Rv. 259142).

8. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 28 settembre 2017

implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di

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