Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52652 del 26/09/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 52652 Anno 2017
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: CERRONI CLAUDIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Pignatelli Sabino, nato a Barletta il 25/02/1966

avverso l’ordinanza del 09/02/2017 del Tribunale di Trani

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Pasquale Fimiani, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 9 febbraio 2017 il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Trani, in odio a Sabino Pignatelli indagato per il reato di cui all’art. 2
d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ha ordinato il sequestro di denaro ovvero di beni
mobili e immobili di valore corrispondente all’imposta evasa pari ad euro
3.698.200,43.
2. Avverso il predetto provvedimento l’interessato, tramite il difensore, ha
proposto ricorso per cassazione con due articolati motivi d’impugnazione.

Data Udienza: 26/09/2017

2.1. Col primo motivo è stata dedotta violazione di legge quanto alle norme
di cui all’art. 322-ter cod. pen., in relazione all’art. 1, comma 143 della legge 24
dicembre 2007, n. 244 ed all’art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
In particolare, al ricorrente sarebbe stata contestata la sola condotta volta
all’evasione delle imposte sui redditi, a fronte di operazioni soggettivamente
inesistenti, laddove al contrario l’unico profitto che avrebbe potuto essere preso
in considerazione era rappresentato dal risparmio di Ires nella qualità di
utilizzatore delle fatture ritenute soggettivamente inesistenti, ma a fronte

fronte del pagamento del corrispettivo, riceveva beni e servizi utilizzati
nell’esercizio dell’impresa, con la conseguente inerenza del costo nell’attività
d’impresa.
In proposito, il provvedimento impugnato aveva invece individuato nell’Iva
evasa il profitto confiscabile, benché vi fosse stata appunto contestazione,
nell’imputazione provvisoria, della finalità di evasione delle sole imposte sui
redditi e non dell’Iva. Né rilevava la diversa imputazione rivolta agli emittenti
delle fatture contestate, stante la non configurabilità del concorso reciproco tra
chi emette le fatture e chi se ne avvale.
2.2. Col secondo motivo era contestata l’assenza di motivazione in ordine
all’entità del profitto presuntivamente conseguito dall’indagato, laddove l’entità
dell’imposta evasa avrebbe dovuto essere determinata con esattezza. In specie
andava invece registrato, secondo il ricorrente, l’assente’ iter motivazionale del
Giudice nella valutazione delle operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, al
fine di valutare il rispetto del principio di proporzionalità tra il credito garantito
ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare. La violazione era ancor più
evidente laddove l’imputazione provvisoria contestata al ricorrente conteneva il
riferimento all’evasione delle imposte sui redditi, mentre lo schema allegato
indicava invece l’Iva in tesi evasa.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del
ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è infondato.
4.1. Vero è, come ha osservato il ricorrente, che nell’impugnato decreto di
sequestro preventivo lo stesso Pignatelli risulta indagato “del delitto di cui all’art.
2 del d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 perché, in qualità di titolare della ditta
individuale.. al fine di evadere le imposte sui redditi ha indicato.., elementi passivi
ecc.”.

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dell’effettiva realizzazione delle prestazioni. Tanto più che il contribuente, a

In proposito, peraltro, e contrariamente a quanto viene evidenziato a pag. 6
del ricorso (dove vi è solo riferimento alle imposte dirette), nel provvedimento
impugnato (pag. 2) è contestato ai responsabili delle pretese società cartiere di
avere così operato “al fine di consentire alla ditta individuale SA.PI.PLAST di
Pignatelli Sabino l’evasione dell’imposta sul valore aggiunto”. Del pari, dopo
avere accennato all’avvio delle indagini stante il coinvolgimento del Pignatelli “in
ulteriore e più complesso sistema di frode Iva” (pagg. 4-5 del provvedimento
impugnato), ad es. a pag. 7, ibidem, è richiamata la condotta tenuta dalla ditta

infine in ogni caso il Giudice tranese, traendo palese, analitico e completo spunto
dalle indagini di polizia giudiziaria svolte, ha quantificato l’imposta evasa in euro
3.698.200,43, con esclusivo riferimento all’imposta sul valore aggiunto.
In definitiva, quindi, se è stato ad es. affermato che in sede di riesame
dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, al fine di controllare la gravità
degli indizi e la conformità della contestazione allo schema legale della
fattispecie, il Tribunale può prendere in considerazione tutti gli elementi fattuali
desumibili dalla motivazione del provvedimento impugnato, quando la condotta
criminosa contestata all’indagato, pur commessa entro un lasso temporale non
formalmente ricompreso nella data del provvisorio capo di imputazione, sia stata
oggetto di valutazione nella motivazione dell’ordinanza cautelare (Sez. 2, n.
21423 del 20/04/2011, Staiano, Rv. 250508), in specie già il provvedimento
impugnato contiene, ben al di là del capo d’imputazione siccome formalmente
reso, plurimi riferimenti a comportamenti dell’indagato astrattamente valutati
come finalizzati all’evasione dell’imposta sul valore aggiunto. Va da sé quindi che
il provvedimento impugnato risulta avere concretamente considerato, nella
valutazione della condotta dell’odierno ricorrente, l’attività complessivamente
svolta dal ricorrente quantomeno anche ai fini dell’evasione delle imposte
indirette (finalità tra l’altro alternativa e comunque sempre prevista dalla norma
di cui all’art. 2 cit.).
In materia di misure cautelari reali, infatti, il giudizio di legittimità della
Corte risulta circoscritto, poiché esso cade in un momento processuale – quello
delle indagini preliminari – caratterizzato dalla sommarietà e provvisorietà delle
imputazioni. Non è pertanto consentito in tale sede verificare la sussistenza del
fatto reato ma soltanto accertare se il fatto contestato sia configurabile quale
fattispecie astratta di reato. Ne consegue che la Corte deve operare un controllo
sulla compatibilità fra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante
una delibazione prioritaria dell’antigiuridicità penale del fatto (Sez. 5, n. 6252 del
19/11/1998, dep. 1999, Pansini, Rv. 212511). Né, alla stregua dei rilievi che
precedono, la finalità di evasione delle imposte indirette si poneva in termini di
estraneità rispetto alla contestazione.

3

individuale del ricorrente “per continuare a perpetrare la frode dell’Iva”, mentre

4.2. L’infondatezza del primo motivo di ricorso, quantunque l’impugnazione
trovi parziale giustificazione nella non perspicua redazione dell’imputazione
provvisoria, si ripercuote anche nell’esame del secondo profilo di censura.
Vero è, infatti, che la censura prende le mosse dalla mancata
determinazione dell’imposta diretta evasa, laddove al contrario l’indagine ha
rilievo anche, se non addirittura esclusivamente, ai fini dell’evasione indiretta,
come si evince plasticamente dalla motivazione del provvedimento impugnato

Ciò posto, in tema di omesso versamento Iva è legittimo il sequestro
preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, dell’importo corrispondente
all’imposta evasa nella sua totalità (e non alla sola parte che eccede la soglia di
punibilità prevista dalla legge), in quanto il profitto del reato si identifica
nell’intero ammontare del tributo non versato (Sez. 3, n. 18308 del 06/02/2014,
De Filippis, Rv. 261501; conf. Sez. 6, n. 6705 del 16/12/2014, dep. 2015,
Libertone, Rv. 262394).
Va da sé che, in ogni caso, la censura è riferibile alla mancata, in tesi,
quantificazione dell’imposta diretta evasa, laddove al contrario il profitto risulta
essere stata ricollegato nel provvedimento all’evasione dell’imposta indiretta. Al
riguardo, invece, anche la memoria contenente motivi aggiunti al ricorso si
muove sull’errato presupposto che la contestazione dell’elemento soggettivo
specifico sia riferibile alla sola evasione delle imposte dirette.
A quest’ultimo proposito, e per completezza, va infine ricordato che mentre,
con riguardo alle imposte dirette, l’effettiva esistenza dell’operazione e del
conseguente esborso economico, corrispondente a quanto dichiarato, esclude il
carattere fittizio degli elementi passivi indicati nella dichiarazione, a nulla
rilevando in linea di massima che il destinatario degli stessi sia un soggetto
diverso da quello reale, con riguardo invece all’Iva la detrazione è ammessa solo
in presenza di fatture provenienti dal soggetto che ha effettuato la prestazione,
giacché tutto il sistema del pagamento e del recupero della imposta (artt. 17 e
18 del d.P.R. n. 633 del 1972) si basa sul presupposto che la stessa sia versata a
chi ha effettuato prestazioni imponibili mentre il versamento dell’imposta ad un
soggetto non operativo o diverso da quello effettivo consentirebbe un recupero
indebito dell’Iva stessa (cfr. Sez. 3, n. 37562 del 04/07/2013, Paregiani e altri,
non massimata). Di qui, dunque, la conseguenza che l’evasione Iva può essere
configurata anche in presenza di costi effettivamente sostenuti.
5. In considerazione di quanto precede, quindi, il ricorso va dichiarato
complessivamente infondato, con la conseguente condanna del ricorrente alla
rifusione altresì delle spese processuali.

4

(v. supra) e dai prospetti di calcolo ivi operati.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso in Roma il 26/09/2017

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