Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52640 del 26/09/2017


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 52640 Anno 2017
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: SOCCI ANGELO MATTEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GREPPI GIOVANNANTONIO MARIA nato il 14/08/1942 a MILANO

avverso la sentenza del 30/11/2016 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO MATTEO SOCCI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI CUOMO,
che ha concluso per: «Inammissibilità del ricorso».
Udito il difensore, Avv. cesare Flavio Cicorella, che ha concluso per:
«Accoglimento del ricorso».

Data Udienza: 26/09/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza della Corte di appello di Milano, del 30 novembre
2016, è stata confermata la decisione del Tribunale di Milano del 28
ottobre 2014, che aveva condannato Greppi Giovannantonio Maria alla
pena di mesi 5 di reclusione relativamente al reato di cui all’art. 10 ter,

commesso il 27 dicembre 2010, anno di imposta 2009.
2. L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, tramite
difensore, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente
necessari per la motivazione, come disposto dall’art 173, comma 1, disp.
att., cod. proc. pen.
2. 1. Violazione di legge, art. 13, comma 3, d. Igs. 74/2000, art.
2, cod. pen. e 3. Costituzione; vizio di motivazione sul punto della
retroattività della legge più favorevole.
Secondo l’accordo di rateizzazione stabilito con l’agenzia delle
entrate (in data antecedente la modifica dell’art. 13, d. Igs. 74/2000) il
debito tributario sarà estinto mediante pagamento dell’ultima rata il 31
maggio 2017. La Corte di appello rigettava l’istanza di rinvio proposta ex
art. 13, comma 3, d. Igs. 74/2000 ritenendo che la causa di non punibilità
del pagamento riguardava solo coloro che estinguevano il debito, prima
dell’apertura del dibattimento; normativa quindi non applicabile, per la
Corte di appello, ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del
d. Igs. 158/2015.
Il pagamento esclude la rilevanza penale della condotta, e quindi
il pagamento incide sulla necessità stessa di irrogare una sanzione, non
solo sul quantum della sanzione. Il pagamento elimina l’offensività. La
non applicabilità della norma ai processi in corso, alla data di entrata in
vigore della norma, lederebbe il principio di uguaglianza (Cass. sez. 3, 28
settembre 2016, 40314).
L’art. 13, nella sua nuova formulazione è entrato in vigore tra il
giudizio di primo grado e quello di appello, quando il contribuente aveva

d.lgs. 74/2000 (omesso versamento IVA per €337.517,00); reato

già fatto domanda di rateizzazione, mediante l’accordo con l’agenzia delle
entrate.
La legge più favorevole deve essere applicata retroattivamente.
2. 2. Violazione di legge, art. 27, Costituzione e 10 ter, d. Igs.
74/2000; motivazione contraddittoria ed illogica sull’elemento soggettivo
del reato.

stato omesso il pagamento; emerge dal dibattimento che dal 2008 la
ditta del ricorrente versava in una difficile situazione di dissesto
economico e finanziario, anche per un rifiuto degli istituti di credito di un
affidamento di circa un milione di euro. Il ricorrente si trovò a scegliere
se pagare i fornitori o adempiere il debito tributario. Si pagarono i
fornitori, per consentire la sopravvivenza dell’azienda. Il versamento
dell’IVA avrebbe condotto al fallimento dell’azienda. Con il rinvio degli
adempimenti tributari l’azienda non è fallita.
Manca pertanto il dolo nella condotta del ricorrente.
Ha chiesto pertanto l’annullamento della decisione impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.

Il ricorso è fondato, relativamente al primo motivo;

inammissibile nel resto, per manifesta infondatezza e genericità.
In tema di reati tributari, la causa di non punibilità contemplata
dall’art. 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall’art. 11 del
D.Lgs. n. 158 del 2015 – per la quale i reati di cui agli articoli 10-bis, 10ter e 10-quater del decreto 74 del 2000 non sono punibili se, prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti
tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti
mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è applicabile ai
procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d. Igs. n. 158 del

2

A fronte di una obiettiva e comprovata carenza di liquidità è

2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il
dibattimento. (In applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto
ammissibile la rilevabilità della suddetta causa di non punibilità anche nel
giudizio di legittimità, rinviando al giudice di merito per la valutazione
circa la sussistenza in concreto delle condizioni previste dall’art. 13 del
D.Lgs. n.74 del 2000). (Sez. 3, n. 15237 del 01/02/2017 – dep.
28/03/2017, Volanti, Rv. 26965301; vedi anche Sez. 3, n. 40314 del

L’art. 11 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, sostituendo il
previgente art. 13 d.lgs. 74 del 2000, ha attribuito all’integrale
pagamento dei debiti tributari, nel caso dei reati di cui agli artt. 10 bis,
10 ter e 10 quater, comma 1, d. Igs. 74 del 2000, efficacia estintiva, e
non più soltanto attenuante. Pur indicando nella dichiarazione di apertura
del dibattimento il limite di rilevanza della causa estintiva, nel senso che,
per aversi estinzione dei reati, l’integrale pagamento degli importi dovuti
deve avvenire prima dell’inizio del giudizio penale, va rilevato però che la
diversa natura giuridica e l’efficacia estintiva del reato implica, nei
procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore del d.lgs.
158/2015, la necessità di una parificazione degli effetti della causa di non
punibilità, anche nei casi in cui sia stata superata la preclusione della
dichiarazione di apertura del dibattimento. La trasformazione della
fattispecie attenuante in fattispecie estintiva implica che l’integrale
pagamento del debito tributario non assuma più rilevanza normativa in
termini di minore gravità del reato o di indice della capacità a delinquere
del soggetto; il riconoscimento di una efficacia estintiva del reato, infatti,
va inquadrata nel diverso fenomeno della degradazione dell’illecito penale
in ragione di condotte susseguenti al reato, nel caso di specie di carattere
restitutorio, che rispondono alla differente logica incentivante e premiale;
il nuovo istituto, ancorché espressione evidente di esigenze di deflazione
del processo penale, costituisce il frutto di una valutazione legislativa
sull’opportunità di punire l’autore di un fatto antigiuridico colpevole a
fronte di una condotta reintegrativa ex post del bene giuridico leso. In
una analisi costituzionale, la condotta restitutoria (l’integrale pagamento
di debito, interessi e sanzioni) assume rilievo nell’esclusione della finalità
rieducativa (o risocializzante) assegnata alla sanzione penale dalla
3

30/03/2016 – dep. 28/09/2016, Fregolent, Rv. 26780701).

Costituzione (art. 27, comma 3, Cost.). La pena astrattamente prevista
non ha più ragione di essere applicata allorquando la condotta restitutoria
susseguente implichi il venir meno della funzione rieducativa ad essa
assegnata. La diversa natura assegnata al pagamento del debito
tributario, quale comportamento che non riguarda più soltanto
l’attenuazione del trattamento sanzionatorio, ma la stessa punibilità,
comporta che nei procedimenti in corso, anche se sia stato oltrepassato il

essere considerato nelle medesime condizioni fondanti l’efficacia della
causa estintiva; il principio di uguaglianza, che vieta trattamenti differenti
per situazioni uguali, impone, infatti, di ritenere che, sotto il profilo
sostanziale, il pagamento del debito tributario assuma la medesima
efficacia estintiva, sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura
del dibattimento, sia, nei procedimenti in corso alla data di entrata in
vigore del d.lgs. 158 del 2015, che avvenga dopo tale limite, purchè
prima del giudicato. La preclusione assegnata, in maniera non
irragionevole, ad un momento della scansione processuale, non può
operare allorquando, in applicazione del principio del favor rei, la più
favorevole disciplina – introdotta in pendenza del procedimento, ed
allorquando la scansione era stata già superata – debba essere applicata
agli imputati che hanno provveduto al pagamento integrale del debito
tributario. Né potrebbe obiettarsi che la preclusione era prevista anche in
relazione alla precedente fattispecie attenuante, in quanto l’efficacia
estintiva ora attribuita al pagamento integrale del debito tributario è
diversa e più ampia dell’efficacia attenuante, da essa dipendendo la
stessa punibilità, e non solo la misura della pena.
L’interesse a provvedere al pagamento dell’intero debito
tributario è necessariamente diverso, e più intenso, ove sia collegato ad
una efficacia estintiva del reato, anziché ad una efficacia soltanto
attenuante; quindi, nei soli procedimenti in corso alla data di entrata in
vigore del d.lgs. 158/2015, deve ritenersi che l’imputato sia nella
medesima situazione giuridica che fonda, allorquando non vi sia ancora
stata l’apertura del dibattimento, l’efficacia estintiva prevista dalla nuova
causa di non punibilità; viceversa, si registrerebbe una disparità di
trattamento in relazione a situazioni uguali in ordine alla quale sarebbe

limite temporale di rilevanza previsto dalla norma, l’imputato debba

prospettabile una questione di illegittimità costituzionale. Del resto
trattandosi di causa di non punibilità deve trovare piena applicazione
l’art. 2, cod. pen. e l’art. 7 della CEDU (retroattività della legge più
favorevole).
3. 1. La norma prevede, quindi, una causa sopravvenuta di non
punibilità, ovvero con un comportamento successivo alla commissione del
reato (nel caso il pagamento integrale), che elimina l’offesa al bene

punibilità. Le cause di punibilità sopravvenute implicano un termine entro
il quale deve essere tenuto il comportamento del reo; è il legislatore che
individua il termine relativamente ala fattispecie concreta regolata. La

ratio delle cause sopravvenute di non punibilità consiste nell’interesse
(concreto) che ha l’ordinamento ad incentivare comportamenti
antagonisti al fatto criminoso; il ricorso a tali cause di non punibilità è
possibile quando lo stato di sofferenza del bene giuridico è materialmente
eliminabile, e quando il legislatore giudichi particolarmente efficace
l’intervento antagonistico da parte del’autore del fatto (il pagamento,
pertanto, è per l’ordinamento un motivo valido – in assoluto – per la
causa di non punibilità). Esempi di cause sopravvenute di non punibilità
sono la desistenza volontaria (art. 56, comma 3, cod. pen.: «Se il
colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena
per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato
diverso»; il termine qui è dato dalla non consumazione del reato, non
realizzazione dell’evento) e la ritrattazione (art. 376, cod. proc. pen.:
«Nei casi previsti … il colpevole non è punibile se, nel procedimento
penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta
il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento.
Qualora la falsità sia intervenuta in una causa civile, il colpevole
non è punibile se ritratta il falso e manifesta il vero prima che sulla
domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non
irrevocabile»; il termine qui è dato in relazione agli sviluppi del processo
penale e del processo civile). Altra causa sopravvenuta di non punibilità è
quella dell’art. 2, comma 1 bis, d. I. 12 settembre 1983, n. 463, il

giuridico tutelato dalla norma, il soggetto può beneficiare della non

pagamento delle ritenute previdenziali entro tre mesi dalla contestazione
o dall’avvenuto accertamento della violazione.
Il termine che il legislatore individua può essere riferito, quindi,
ad una fase processuale – se necessario, e pratico -, o ad altre evenienze
extraprocessuali. Il termine entro il quale deve essere tenuto il
comportamento del reo, per l’applicazione della causa sopravvenuta di
non punibilità è, però, sempre un termine “sostanziale”, anche se per

termine è connaturale alla causa sopravvenuta di non punibilità, non è
una evenienza accessoria, ma strutturale (essendo causa sopravvenuta
alla commissione del reato, e il termine è inoltre incentivante per il reo al
comportamento riparatore antagonista). Tutti i termini previsti dalla
legge nelle ipotesi di cause sopravvenute di non punibilità ricevono in
questo modo una “parità di trattamento”, per l’applicazione dell’art. 2,
cod. pen. e 7, CEDU. Distinguere a tal fine i termini delle cause
sopravvenute di non punibilità in processuali (se inseriti nella dinamica
degli atti del processo) e sostanziali (se relativi a scadenze non collegate
con il processo), sarebbe sicuramente incostituzionale, e contrario alla
ragionevolezza, costituirebbe inoltre un’interpretazione non restrittiva
della norma penale, a scapito del favor rei – vedi C.edu G.C. Grigoriades
V/ Grecia, 25 novembre 1997, § 38 – (per la considerazione del termine
come processuale, vedi Sez. 3, n. 30139 del 12/04/2017 – dep.
15/06/2017, Fregolent, Rv. 27046401: «Nel caso di specie, il requisito
normativo secondo cui tale possibilità deve essere esperita prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado ha
evidentemente natura processuale e non sostanziale. Pertanto, in
assenza di disciplina transitoria, opera una preclusione processuale,
prevista dalla legge che non contrasta con il principio della retroattività
della lex mitior sostanziale. L’art. 13 ha una doppia previsione, una di
natura sostanziale – il pagamento del debito che estingue il fatto-reato
commesso prima della sua entrata in vigore- e una processuale – il
pagamento prima dell’apertura del dibattimento -»).
Non può ritenersi una causa sopravvenuta di non punibilità
parzialmente processuale (relativamente al termine entro il quale deve

praticità inserito all’interno della scansione temporale del processo. Il

essere tenuto il comportamento del reo), in quanto il termine – come
visto – è connaturale e strutturale alla stessa causa di non punibilità, a
volte riferito al processo e altre volte a termini extraprocessuali.
4. Nel nostro caso il ricorrente aveva chiesto alla Corte di
appello l’applicazione del comma 3, dell’art. 13, d. Igs. 74/2000, ovvero il
rinvio in relazione alla rateizzazione in corso, ai fini dell’integrale
pagamento e dell’applicazione della causa di estinzione del reato. Il rinvio

positiva valutazione la richiesta di rinvio per beneficiare della non
punibilità riservata al contribuente che abbia provveduto al versamento di
tutte le somme dovute. Nessuna delle facilitazioni previste dall’art. 13, d.
Igs. 74/2000 contempla infatti la possibilità per l’imputato – che
nemmeno può derivargli da un’interpretazione estensiva, inibita dal dato
letterale della norma e dall’eccezionalità del rimedio – di giovarsi di un
meccanismo che può trovare ingresso unicamente alle soglie del
dibattimento di primo grado». La Corte di appello non si pone proprio il
problema della applicabilità della norma ai processi in corso
(art. 2, cod. pen.). Invece, come sopra visto, la norma deve applicarsi ai
processi in corso al momento della modifica dell’art. 13, d. Igs. 74/2000,
ad opera del d. Igs. 24 settembre 2015, n. 158 (in G.U. 7 ottobre 2015,
n. 233, S.O.).
L’articolo 13, comma 3, d. Igs. 74/2000, prevede del resto un
rinvio dovuto («è dato») nelle ipotesi di rateizzazione in corso, come nel
caso in giudizio: «Qualora, prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione
mediante rateizzazione, anche ai fini dell’applicabilità dell’art. 13 bis, è
dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal
caso la prescrizione è sospesa. Il giudice ha facoltà di prorogare tale
termine solo una volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga
necessario … ». Solo il secondo termine è facoltativo, se ritenuto
necessario dal giudice, non il primo.
Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto: «In tema di
reati tributari, la causa sopravvenuta di non punibilità contemplata
dall’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall’art. 11 del
7

è stato negato dalla Corte di appello: «In primo luogo non può trovare

D.Lgs. n. 158 del 2015 – per la quale i reati di cui agli articoli 10-bis, 10ter e 10-quater del decreto 74 del 2000 non sono punibili se, prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti
tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti
mediante integrale pagamento degli importi dovuti – è applicabile ai
procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d. Igs. n. 158 del
2015, anche qualora, alla data predetta, era già stato aperto il

di rateizzazione in corso del debito tributario, per il pagamento del debito
residuo; termine obbligatorio e non facoltativo come il secondo termine di
tre mesi».
5. Implicando una questione di fatto, la sentenza impugnata va
dunque annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di
Milano, affinché valuti se sussiste l’integrale pagamento dei debiti
tributari, comprensivo altresì delle sanzioni amministrative e degli
interessi, in applicazione dell’art. 13, d. Igs. 74/2000.
6. Il motivo ulteriore è manifestamente infondato. È pacifico,
nella giurisprudenza di questa Corte, che nel reato di omesso versamento
di Iva (art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000) ai fini dell’esclusione della
colpevolezza è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del
termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che
siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione
del tributo. (Sez. 3, n. 2614 del 06/11/2013, dep. 2014, Saibene, Rv.
258595; ex multis, Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi,
Rv. 263128). Il ricorso, quindi, nel resto deve dichiararsi inammissibile.

8

dibattimento, e quindi deve concedersi il termine di tre mesi nelle ipotesi

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilità
dell’art. 13, d. Igs. n. 74 del 2000 e rinvia ad altra sezione della Corte di
appello di Milano.

Così deciso il 26/09/2017

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso

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