Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52614 del 08/11/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 52614 Anno 2017
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TILESI SIMONE nato il 15/03/1970 a FIRENZE

avverso la sentenza del 12/04/2016 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIACOMO ROCCHI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCA ZACCO
che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
Udito il difensore avv. ANTONIAZZI ALESSIO che ha concluso per la conferma
della sentenza e depositato conclusioni e nota spese nonché
l’avvocato Angotti Gerolamo che si è riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto
l’accoglimento.

Data Udienza: 08/11/2017

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Firenze, in sede di rinvio a seguito di annullamento
da parte di questa Corte, in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del
Tribunale di Firenze dichiarava non doversi procedere nei confronti di Tilesi
Simone, imputato del delitto di lesioni aggravate, per essere il reato estinto per
intervenuta prescrizione; confermava le statuizioni civili e condannava l’imputato
al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile.

non si evinceva soltanto dalla consulenza tecnica (dichiarata inutilizzabile da
questa Corte con la sentenza di annullamento), ma anche dalle sommarie
informazioni della persona offesa che, alla data del 21/6/2006 (quindi ben oltre
40 giorni dal fatto), ancora si curava assumendo farmaci antidolorifici, tenendo
sotto controllo le lesioni che avevano imposto un intervento chirurgico.

2. Ricorrono per cassazione Simone Tilesi e il suo difensore, deducendo
distinti motivi.
Con un primo motivo, i ricorrenti deducono violazione degli artt. 627 comma
3 e 628 comma 2 cod. proc. pen. nonché vizio di motivazione.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la Cassazione non
aveva annullato la prima sentenza di appello solo con riferimento all’aggravante
di cui all’art. 583, comma 1, n. 1 cod. pen. (oggetto del quarto motivo di
ricorso), ma integralmente, chiedendo al giudice del rinvio una nuova
valutazione sulla responsabilità dell’imputato.

In un secondo motivo, collegato al primo, viene denunciato l’omessa
valutazione della responsabilità dell’imputato: la Corte territoriale si era limitata
a “sostituire” la consulenza tecnica dichiarata inutilizzabile con le sommarie
informazioni testimoniali rese dalla persona offesa al fine di ritenere sussistente
l’aggravante predetta.
Di conseguenza non solo nessun esame della responsabilità dell’imputato
era stato compiuto dal giudice del rinvio, ma la motivazione era anche illogica in
quanto equiparava sul piano probatorio due elementi di prova differenti, quali la
consulenza tecnica e le sommarie informazioni testimoniali.

I ricorrenti concludono per l’annullamento della sentenza impugnata anche
con riferimento ai capi civili.

2

Secondo la Corte territoriale, la durata superiore a 40 giorni della malattia

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

La lettura della sentenza di annullamento pronunciato dalla Quinta Sezione
penale di questa Corte permette agevolmente di rilevare che, nonostante il
dispositivo disponesse l’annullamento dell’intera sentenza impugnata, in effetti il
primo, secondo e sesto motivo di ricorso erano stati dichiarati inammissibili: si

materiale della condotta illecita (primo e secondo motivo), nonché le attenuanti
della provocazione e del concorso della persona offesa (sesto motivo).
Di conseguenza, risulta evidente che il giudice del rinvio non dovesse
nuovamente valutare la responsabilità dell’imputato per la condotta contestata,
già definita a seguito della sentenza di questa Corte, ma soltanto la sussistenza
dell’aggravante più volte citata e le questioni conseguenti: l’intervenuta
prescrizione del reato, la misura della pena, la pronuncia sul risarcimento del
danno.

2. Il secondo motivo di ricorso è del tutto generico.

La Corte territoriale ha individuato un elemento di prova diverso dalla
consulenza tecnica dichiarata inutilizzabile per ritenere sussistente l’aggravante
della durata della malattia superiore a 40 giorni; il ricorrente sostiene che tale
utilizzazione è illogica, senza spiegare il motivo di tale affermazione.
D’altro canto, la Corte territoriale non aveva il compito di determinare con
esattezza la durata della malattia, dovendo soltanto valutare se essa fosse stata
superiore a 40 giorni: in effetti, la sentenza di primo grado si era limitata alla
condanna generica al risarcimento del danno e al riconoscimento di una
provvisionale, rimettendo al giudice civile la liquidazione definitiva.

3. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 2.000 (duemila) in favore delle Cassa delle Ammende,
non esulando profili di colpa nel ricorso (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del
2000).

3

tratta dei motivi che avevano ad oggetto la responsabilità dell’imputato, autore

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle
Ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte
civile, che liquida in euro 3.500, oltre spese generali, IVA, CPA ed euro 76,00 per
spese esenti.

Il Consigliere estensore
Giacomo Rocchi

Il Presidente
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Così deciso 18 novembre 2017

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