Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 524 del 11/12/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 524 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Mazze° Antonino, nato a Barcellona Pozzo di Gotto il 10.2.1958;
avverso la sentenza emessa il 21 ottobre 2011 dal giudice del tribunale di
Messina, sezione distaccata di Taormina;
udita nella pubblica udienza dell’i i dicembre 2012 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Enrico Delehaye, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Messina, sezione distaccata di Taormina, dichiarò Mazzeo Antonino colpevole di diverse
violazioni alle norme in materia antinfortunistica e di sicurezza sul lavoro e lo
condannò alla complessiva pena di C 6.000,00 di ammenda.
L’imputato, a mezzo dell’avv. Domenico Floramo, propone ricorso per
cassazione deducendo:
1) erronea indicazione della data di commissione del reato. Osserva che nel
capo di imputazione il reato risulta commesso 1’8 gennaio 2009, mentre dagli
atti emerge che l’informativa del reato è del 20 maggio 2008.
2) estraneità dell’imputato rispetto ai fatti contestati. Deduce inoltre nullità
dell’accertamento perché effettuato dai carabinieri e non dall’ispettorato del lavoro.
3) eccessività della pena irrogata.
Motivi della decisione
Il primo motivo è inammissibile sia perché si tratta di una questione di fatto che non risulta proposta dinanzi al giudice del merito e che non può esser )1{..7

Data Udienza: 11/12/2012

esaminata per la prima volta da questa Corte di legittimità; sia perché trattandosi di reati permanenti sono irrilevanti le date della informativa e del verbale di
identificazione richiamati dal ricorrente; sia infine per mancanza di interesse
perché, quand’anche i reati dovessero risultare commessi il 20 maggio 2008, gli
stessi non sarebbero ancora prescritti.
Il secondo motivo si risolve anch’esso in una censura di fatto che non può
essere proposta in questa sede. In ogni caso, nello stesso ricorso si afferma che i
lavori erano stati affidati dal comune alla s.r.l. Consortile Mongiuffi e
l’imputato è stato condannato appunto nella sua qualità (non contestata) di amministratore unico della s.r.l. Consortile Mongiuffi, essendo irrilevante il soggetto che stava eseguendo i lavori al momento dell’accertamento. E’ poi di tutta
evidenza che l’accertamento dei reati ben poteva (e doveva) essere compiuto
anche dai carabinieri, quali organi di polizia giudiziaria.
Il terzo motivo è del tutto generico e costituisce comunque una inammissibile censura in fatto.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare
in L000,00.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, 1’11
dicembre 2012.

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