Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 52174 del 06/10/2017


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 52174 Anno 2017
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: CALVANESE ERSILIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Martinuzzi Barbara, nata a Roma il 28/02/1971

avverso la sentenza del 04/03/2016 della Corte di appello di Roma

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Giovanni Di Leo, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile;
udita la parte civile, avv. Mira Telarico, che ha concluso depositando conclusioni
scritte e nota spese;
udito il difensore, avv. Enrico Delehaye, in sostituzione dell’avv. Anna Garcea,
che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza, indicata in epigrafe, la Corte di appello di Roma ha
confermato la sentenza di condanna emessa nei confronti di Barbara Martinuzzi

Data Udienza: 06/10/2017

per il reato di cui agli artt. 110 e 368 cod. pen., commesso in concorso con
Roberto Aguzzetti.
All’imputata era stato contestato di aver presentato il 6 luglio 2009 una
denuncia in cui aveva affermato falsamente di aver smarrito degli assegni
bancari, al fine di non consentire a Maria Capanna, alla quale erano stati
consegnati dal compagno Aguzzetti due giorni prima, di poterli negoziare.
La Corte di appello di appello riteneva infondata la tesi della Martinuzzi della
mancanza del dolo e dell’errore scusabile (gli assegni sarebbero stati tratti

aveva dichiarato di aver saputo dal compagno della consegna alla Capanna degli
assegni e che il cassiere della banca aveva suggerito la soluzione più logica di
avvisare la prenditrice e sostituire gli assegni con altri corretti.
Piuttosto, secondo la Corte territoriale, il comportamento degli imputati era
stato quello di voler bloccare con la falsa denuncia la negoziazione degli assegni,
visto che neppure il conto deii’Aguzzetti era capiente.
Ricorre per cassazione l’imputata, chiedendo l’annullamento della sentenza
per omessa motivazione e per violazione di legge in ord!ne alla eccezione di
nullità,

denunciata

con

l’appello,

derivante

dalla

irregolare

notificazione

dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen. presso il difensore, anziché presso il
domicilio “eletto”, dove erano residenti anche i genitori, dai quali il notificatore
avrebbe dovuto assumere informazioni; per vizio di motivazione sul dolo, posto
che la presentazione della denuncia era stata l’unica soluzione prospettata
daii’Aguzzetti dal ritorno dalla banca (così enunciati i motivi nei limiti dettati
dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.).
Il ricorso, assegnato alla Settima Sezione di questa Corte, è stato trasmesso
a norma dell’art. 610, comma l, ultima parte, cod. proc. pen., a questa Sezione.
La ricorrente, in quella sede aveva presentato una memoria a sostegno
dell’ammissibilità dei motivi di ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

l. Il ricorso

è fondato nei limiti di seguito indicati.

2. Effettivamente la Corte di appello non si è pronunciata in ordine al primo
dei motivi di appello proposti dall’imputata.
Nell’atto di appello, la ricorrente aveva eccepito la questione di nullità, già
sollevata all’udienza preliminare e reiterata davanti al Tribunale, relativa alla
notificazione dell’avviso di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen., effettuata ai sensi
dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen. presso il difensore, anziché presso il

2

erroneamente sul suo conto, all’epoca privo di fondi), posto che la imputata

domicilio “dichiarato” (non si trattava invero di elezione di domicilio, bensì di
dichiarazione di domicilio dove la stessa imputata era residente). Secondo la
ricorrente, il notificatore, anziché acquisire più attendibili informazioni in loco dai
genitori della ricorrente, si sarebbe basato sulla indicazione erronea fornita dalla
portiera del trasferimento della imputata.
Orbene, la questione sollevata dalla ricorrente non può certo definirsi
manifestamente infondata, in quanto sussiste al riguardo un contrasto esegetico
e la tesi propugnata nel ricorso trova fondamento in un orientamento, se pur

pronuncia delle Sezioni Unite, Sez. U, n. 28451 del 28/04/2011, Pedicone, Rv.
250120, verosimilmente a causa della massima ufficiale, che, nel far riferimento
alla fattispecie concreta, sembrava sostenere la necessità da parte dell’ufficiale
giudiziario dell’assunzione di specifiche informazioni sul posto e presso il locale
ufficio anagrafe ai fini della validità della notificazione di un atto all’imputato, non
possibile presso il domicilio eletto o dichiarato per il mancato reperimento del
domiciliatario o dell’imputato o di altre persone idonee a riceverlo.
I termini del contrasto sono stati da ultimo chiaramente esaminati dalla
pronuncia di questa Sezione Sez. 6, n. 24864 del 19/04/2017, Ciolan, Rv.
270031, alla quale il Collegio intende riportarsi anche per la condivisibile
conclusione che è stata in quella sede affermata.
Secondo

l’orientamento

maggioritario,

infatti,

l’impossibilità

della

notificazione al domicilio dichiarato o eletto, che ne legittima l’esecuzione presso
il difensore secondo la procedura prevista dall’art. 161, comma 4, cod. proc.
pen., può essere integrata anche dalla temporanea assenza dell’imputato al
momento

dell’accesso

dell’ufficiale

notificatore,

senza

che

sia

necessario

procedere ad una verifica di vera e propria irreperibilità.
Da un punto di vista lessicale, la dichiarazione e l’elezione di domicilio
possono essere ritenute «inidonee», in linea con il comune significato linguistico,
non solo quando risulta praticamente “impossibile” la notificazione nel luogo
indicato, ma anche quando, per cause diverse dal caso fortuito o dalla forza
maggiore, le stesse si rivelino non “funzionali” ad assicurare il pronto ed efficace
esito positivo dell’adempimento comunicativo.
Nel caso in esame, la temporanea assenza della ricorrente dal domicilio
dichiarato rendeva impossibile la notificazione e quindi legittimo il ricorso alla
procedura prevista dal quarto comma dell’art. 161 cod. proc. pen.

3. Non avendo la ricorrente proposto un ricorso inammissibile, si deve per
altro verso constatare che è oramai decorso il termine massimo di prescrizione in

3

minoritario, nel quale talvolta è stata impropriamente annoverata anche la

ordine al reato di calunnia (commesso il 6 luglio 2009), non risultando dagli atti
cause di sospensione.
Dall’esame delle sentenze di merito non si rilevano circostanze che rendano
possibile il proscioglimento nel merito della ricorrente.
Va ribadito al riguardo che, in presenza di una causa di estinzione del reato,
il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione, a norma dell’art.

escludere

l’esistenza

dell’imputato

e

la

del
sua

fatto,

la

rilevanza

commissione
penale

del

emergano

medesimo da

parte

dagli

modo

atti

in

assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve
compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di
percezione ictu oculi1 che a quello dì “apprezzamento” e sia quindi incompatibile
con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (tra tante, Sez. U,
n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274).

4. La presenza dì statuizìoni civili, rende necessario l’esame del restante
motivo di ricorso.
La censura è sul punto infondata, alla luce della coerente e giuridicamente
corretta motivazione resa sul punto dalla Corte di appello.
La ricorrente, come ha evidenziato la sentenza impugnata 1 era infatti ben
consapevole, nel presentare la denuncia di smarrimento dei titoli, della falsità
delle

circostanze

rappresentate

così

da

attribuire

al

legittimo

portatore

l’appropriazione o l’impossessamento o la ricezione illeciti dei titoli medesimi.
Di talché diviene irrilevante, non potendosi configurare l’assenza di dolo o in
ogni caso l’errore scusabile (vertendosi in errore sulla legge penale), che la
ricorrente abbia creduto che questa fosse l’unica soluzione praticabile per
rimediare allo scambio del carnet di assegni.

S. Sulla base di quanto premesso 1 la sentenza impugnata deve essere
annullata senza rinvio agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione.
Per il resto il ricorso va rigettato.
Le richieste della parte civile, enunciate nelle conclusioni scritte, sono da
ritenersi inammissibili nella parte in cui richiedono la quantificazione del danno
non patrimoniale da risarcire e una maggiore liquidazione della provvisionale,
trattandosi di questioni che esulano dal presente giudizio di legittimità.
Deve invece essere accolta la richiesta della parte civile alla condanna della
ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado, che devono
essere liquidate in complessivi euro 3.000, oltre spese generali nella misura del
15%, IVA e CPA.

4

129 comma 2, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato
è estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso agi effetti civili.

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5

Così deciso il 06/10/2017.

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