Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 520 del 04/01/2017


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 520 Anno 2017
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: RICCIARELLI MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Mihai Claudia, nata il 24/09/1978 a Strehaia Mehedinti (Romania)

avverso la sentenza emessa in data 28/10/2016 dalla Corte di appello di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni Di Leo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, Avv. Licia Carla Sardo, che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28/10/2016 la Corte di appello di Torino ha disposto la
consegna di Mihai Claudia all’A.G. della Romania in base a M.A.E. n. 9/2016
emesso in data 6/7/2016 dal Tribunale di Mehedinti per l’esecuzione di condanna

Data Udienza: 04/01/2017

alla pena di anni sei mesi quattro di reclusione, inflitta alla Mihai dal Tribunale di
Mehedinti il 24/7/2015 per i reati di associazione per delinquere, falsificazione e
utilizzo di documenti contraffatti e truffa, passata in giudicato il 29/6/2016.
La Corte ha in particolare escluso che ricorressero i motivi di rifiuto di
consegna di cui all’art. 18, comma 1, lett. h) e r), legge 69 del 2005.

2. Ha proposto ricorso la Mihai tramite il proprio difensore.
2.1. Con i due motivi di ricorso deduce violazione di legge e vizio di

relazione all’art. 18, comma 1, lett. r), legge 69 del 2005 nonché in relazione agli
artt. 192 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
La Corte territoriale aveva violato il disposto dell’art. 18, comma 1, lett. r),
legge 69 del 2005, come interpretato alla luce della sentenza n. 227 del 2010
della Corte costituzionale, alla cui stregua deve essere rifiutata la consegna di
cittadino di Paese membro dell’UE che abbia la residenza o la stabile dimora in
Italia.
Era stata prodotta ampia documentazione (carta di identità, codice fiscale,
contratto di locazione, carta di identità del marito e delle figlie minori, tessera
sanitaria e dichiarazione di scelta del medico, contratto di lavoro a tempo
determinato con società avente sede a Milano), attestante la stabilità del legame
col territorio italiano sulla base di tutti gli indici disponibili, rappresentativi della
seria intenzione della ricorrente di rimanere in modo stabile e continuativo in
Italia.
Era da aggiungere che la figlia più piccola era stata iscritta alla scuola
primaria Gianni Rodari, mentre la figlia sedicenne frequentava uno stage presso
parrucchieri della zona.
Negare il requisito della stabile dimora avrebbe voluto dire vanificare la
norma.
Correlativamente era erronea la motivazione con la quale si era segnalata la
brevità del periodo di soggiorno in Italia, pur essendosi dato atto che la stessa
consegnanda aveva dichiarato di essere giunta in Italia nel settembre 2015,
dovendosi peraltro aggiungere che la Mihai era presente dal 2014.
La Corte aveva comunque posto in luce che la Mihai aveva contratto di
locazione registrato il 6/7/2016, non comprendendosi come potesse difettare il
requisito della residenza o della dimora stabile, anche alla luce dell’ulteriore
documentazione e del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
2.2. La ricorrente rimette inoltre alla Corte di cassazione il controllo sulle
valutazioni effettuate dalla Corte territoriale sotto il profilo della compiutezza e

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motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in

correttezza logica, in ordine all’esclusione del rischio di sottoposizione a
trattamenti inumani e degradanti, derivante dalla situazione delle carceri.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

cui si sollecita la Corte di cassazione a rivalutare il tema riguardante il rischio di
sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti, non essendo al riguardo
formulate censure specifiche a fronte delle argomentazioni utilizzate sul punto
dalla Corte di appello di Torino alla luce delle informazioni acquisite.
Né vale in senso contrario la circostanza che spetti alla Corte di cassazione
anche una valutazione nel merito, giacché ciò implica che sia comunque
formulato uno specifico motivo di impugnazione.

3. Relativamente al motivo di rifiuto di cui all’art. 18, comma 1, lett. r),
legge 69 del 2005, deve premettersi che alla luce della sentenza della Corte
costituzionale n. 227 del 2010 la norma si applica anche ai cittadini di Paesi
dell’UE che risultino residenti o stabilmente dimoranti in Italia.
3.1. La Corte costituzionale, per trarne una linea-guida ai fini
dell’interpretazione della nozione di residenza e di stabile dimora, ha in
particolare richiamato la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea n.
66/08 del 17/7/2008, Kozlowski, dalla quale risulta che per residenza deve
intendersi la residenza effettiva nello Stato di esecuzione e per dimora un
soggiorno stabile di una certa durata che consenta di acquisire con lo Stato di
esecuzione legami di intensità pari a quelli che si instaurano in caso di residenza.
La stessa sentenza Kozlowski ha altresì segnalato la necessità di una valutazione
complessiva degli elementi oggettivi che caratterizzano la situazione del
ricercato, in relazione alla durata, alla natura e alle modalità del suo soggiorno,
nonché ai legami familiari ed economici che ha stabilito nello Stato
dell’esecuzione, sottolineando ancora l’esigenza che il giudice valuti anche
l’esistenza di un interesse legittimo del condannato a che la pena sia scontata in
quello Stato, fermo restando che tra le circostanza valutabili, rientrano una
dimora non ininterrotta ovvero il mancato rispetto delle norme in materia di
ingresso e soggiorno nello Stato dell’esecuzione.
Tali indicazioni sono state valorizzate dalla Corte di cassazione per delineare
il proprio ormai costante orientamento interpretativo, alla cui stregua «in tema di

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2. Deve osservarsi che è generico e come tale inammissibile il motivo con

mandato di arresto europeo, la nozione di “residenza” rilevante – dopo la
sentenza n. 227 del 2010 della Corte costituzionale – ai fini del rifiuto di
consegna di un cittadino di altro Paese membro dell’Unione, ai sensi dell’art. 18,
lett. r), della Legge 22 aprile 2005 n. 69, presuppone un radicamento reale e
non estemporaneo della persona nello Stato, desumibile dalla legalità della sua
presenza in Italia, dall’apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa,
dalla distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la
condanna conseguita all’estero, dalla fissazione in Italia della sede principale

affettivi, dal pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali. La nozione di
“dimora”, rilevante ai medesimi fini, si identifica con un soggiorno nello Stato
stabile e di una certa durata, idoneo a consentire l’acquisizione di legami con lo
Stato pari a quelli che si instaurano in caso di residenza» (Cass. Sez. 6, n. 50386
del 25/11/2014, Batanas, rv. 261375; Cass. Sez. 6, n. 9767 del 26/2/2014,
Echim, rv. 259118; Cass. Sez. 6, n. 46494 del 20/11/2013, Chiriac, rv. 258414).
A ben guardare, la circostanza che debba ritenersi rilevante anche la
distanza temporale della condanna dalla fissazione in Italia della sede principale
e consolidata degli interessi lavorativi e familiari, è da ricollegarsi all’esigenza
che il radicamento in Italia possa considerarsi il risultato di una scelta
incondizionata, svincolata dalle sorti del processo celebrato nel Paese di origine e
dunque non implicante la volontà di agire secundum eventum litis.
3.2. Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale ha sottolineato che la
Mihai aveva attestato un periodo troppo breve di permanenza in Italia, perché
potesse ravvisarsi il requisito della residenza o stabile dimora in Italia.
A tal fine ha considerato la documentazione prodotta e in concreto ha
rilevato che la Mihai si era trasferita in Italia da pochi mesi e comunque dopo la
pronuncia della sentenza di condanna da parte del Tribunale di Mehedinti,
essendo dunque irrilevante l’iscrizione scolastica della figlia per l’anno 2016/2017
e la produzione di buste paga a partire da gennaio 2016 per lavoro svolto presso
una società di connazionali, con il marito tuttavia occupato solo «in nero»: tale
quadro è stato ricondotto all’intento della Mihai di sottrarsi all’esecuzione della
pena in Romania, avendo per questo deciso di raggiungere l’Italia trasferendovi
anche i familiari.
3.3. Si tratta di valutazioni che tengono conto dei principi sopra ricordati.
Infatti la Mihai (al di là di quanto assertivamente prospettato circa la
presenza fin dal 2014) ha dichiarato di essere giunta in Italia nel settembre
2015, cioè dopo la pronuncia della condanna a suo carico da parte del Tribunale
di Mehedinti.

,

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(anche se non esclusiva) e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed

Risulta d’altro canto che la registrazione del contratto di locazione relativo
all’attuale abitazione risale al 5/7/2016, cioè al giorno che ha preceduto quello di
emissione del M.A.E.
Inoltre la richiesta di iscrizione anagrafica è del 6/8/2016.
Va aggiunto che precedenti segnali della presenza della Mihai in Italia (in
particolare a Carugate dal gennaio 2016) riguardano esclusivamente costei e non
l’intero nucleo familiare: risulta a questo riguardo solo la recente iscrizione della
figlia minore all’anno scolastico 2016/2017, essendosi poi assertivamente

stage da parte dell’altra figlia minore e

essendo fatto riferimento al lavoro «in nero» del marito.
Tali elementi non evidenziano un effettivo e stabile radicamento della Mihai
in Italia, implicante una scelta di vita incondizionata con sostanziale rescissione,
parimenti datata, dei legami con il Paese di origine: al contrario risulta aver
avuto un’influenza determinante proprio il processo celebrato in Romania a
carico della ricorrente, conclusosi con la sua condanna ad una pena non esigua,
a seguito della quale costei risulta aver rotto gli indugi, cercando di trovare in
Italia un centro di interessi per spostare qui l’intero nucleo familiare.
E’ dunque lo stretto collegamento con il processo a risultare determinante
per ridimensionare il significato della presenza della Mihai in Italia, comunque
non protrattasi per un periodo di tempo così lungo da potersi ormai considerare
come un dato consolidato e ormai svincolato dall’intento originario.

4. In tale ottica dunque le censure formulate risultano infondate, con la
conseguenza che il ricorso deve essere respinto con condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, legge
n. 69 del 2005.
Così deciso il 04/01/2017

Il Consigliere estensore
Massimo Riccrelli
.

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prospettata la frequentazione di uno

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