Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5181 del 21/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 5181 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Persechino Giancarlo, nato a Minturno il 23/05/1979

avverso l’ordinanza del 11/06/2013 del Tribunale di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Vincenzo Geraci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Napoli, adito ai sensi dell’art.
309 cod. proc. pen., confermava il provvedimento del 26/04/2013 con il quale il
Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva disposto
l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di
Giancarlo Persechino in relazione al reato di cui all’art. 416 bis, commi 1, 2, 4, 5,
6 e 8, cod. pen., per avere fatto parte dell’associazione di stampo camorristico

Data Udienza: 21/01/2014

operante in Mondragone dal 07/10/2011 fino alla data della richiesta cautelare,
già diretta da Augusto La Torre, Aniello Sabatino e Giuseppe Fragnoli, da ultimo
facente capo a Giacomo Fragnoli e Roberto Pagliuca, con il compito di procurare
appoggio logistico agli affiliati al clan, consentendo loro di incontrarsi all’interno
del bar da lui gestito ove venivano deliberate le decisioni strategiche di maggiore
rilievo e collocata la base operativa per l’attività di spaccio dello stupefacente
(capo b) dell’imputazione).
Rilevava il Tribunale come dalla motivazione del provvedimento impugnato non

richiesta difensiva di retrodatazione della decorrenza del termine di durata della
custodia cautelare ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen.; come le
emergenze procedimentali, in specie quelle desumibili dalle attendibili
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ed i risultati delle intercettazioni
eseguite dagli inquirenti, avessero dimostrato la sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza a carico del prevenuto in relazione al delitto ascrittogli; e come il
titolo del delitto contestato giustificasse la operatività della presunzione di
sussistenza delle esigenze cautelari e di idoneità esclusiva della misura della
custodia in carcere a soddisfare quei bisogni, senza che le carte del procedimento
avessero offerto elementi favorevoli all’indagato.

2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il Persechino, con atto
sottoscritto dal suo difensore avv. Carlo De Stavola, il quale ha dedotto i
seguenti due motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., e
vizio di motivazione, per avere il Tribunale del riesame disatteso la richiesta
difensiva di applicazione della disciplina delle c.d. “contestazioni a catena”
benché dalla motivazione del provvedimento genetico della misura coercitiva
fosse agevolmente desumibile che il reato contestato era connesso a quello
oggetto di altra ordinanza cautelare emessa nell’ambito del medesimo
procedimento e che, al momento dell’adozione di tale primo provvedimento,
fossero già a disposizione del P.M. i dati informativi poi valorizzati per l’emissione
del secondo provvedimento coercitivo.
2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 125, comma 3 e 292, comma 2,
lett. c), cod. proc. pen., 416 bis cod. pen., e vizio di motivazione, per avere il
Tribunale napoletano omesso di effettuare una valutazione dell’attendibilità
soggettiva ed intrinseca delle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia che
avevano accusato l’indagato, e, soprattutto, di eseguire una effettiva verifica
circa l’autonomia delle tre deposizioni ovvero l’esistenza di ulteriori riscontri
estrinseci individualizzanti.
2

fossero desumibili dati informativi capaci di riscontrare la fondatezza della

2.3. Con memoria depositata il 20/01/2014 il difensore del Persechino,
richiamando i suddetti motivi, è tornato ad insistere per l’accoglimento del
ricorso.

3. Ritiene la Corte che il ricorso vada accolto, essendo fondati entrambi i motivi
con esso dedotti.

gravato nella parte in cui il Tribunale partenopeo ha respinto la richiesta
difensiva di applicazione al caso del Persechino della disciplina prevista dall’art.
297, comma 3, cod. proc. pen., sulla base della sola constatazione che
nell’originaria ordinanza cautelare non erano riconoscibili elementi utili e
sufficienti per poter ritenere operativa la regola della c.d. “contestazione a
catena”.
Ed infatti, con la recente sentenza n. 293 del 2013 la Corte costituzionale,
proprio partendo dalla posizione del “diritto vivente”, come desumibile
dall’indirizzo giurisprudenziale avallato dalle Sezioni Unite di questa Corte (v.
Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, P.M. in proc. Polcino, Rv. 253549), ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 309 cod. proc. pen., in quanto
interpretato nel senso che la deducibilità, nel procedimento di riesame, della
retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure
cautelari, prevista dall’art. 297, comma 3, del medesimo codice, sia subordinata
– oltre che alla condizione che, per effetto della retrodatazione, il termine sia già
scaduto al momento dell’emissione dell’ordinanza cautelare impugnata – anche a
quella che tutti gli elementi per la retrodatazione risultino da detta ordinanza.
E’ alla luce di tale modifica, conseguenza della sentenza della Consulta di
accoglimento a contenuto additivo, che ai Giudici di rinvio deve essere richiesta
una nuova verifica circa la presenza delle condizioni per l’operatività o meno
della disposizione processuale in argomento, anche sulla base degli elementi
desumibili dal contenuto degli atti a disposizione diversi da quelli risultanti
esclusivamente dal provvedimento genetico della misura.

3.2. Anche il secondo motivo del ricorso è fondato.
Sulla base delle regole di valutazione dettate da un consolidato orientamento
della giurisprudenza di legittimità, formatosi a partire da una ben nota pronuncia
delle Sezioni Unite del 1992 (Sez. U, n. 1653/03 del 21/10/1992, Marino, Rv.
192465; in senso conforme, in seguito, ex plurimis, Sez. 6, n. 3846/01 del
20/11/2000, Finini, Rv. 218413; Sez. 1, n. 8644 del 16/10/2000, Molè, Rv.
3

3.1. Quanto al primo motivo, va censurata la motivazione del provvedimento

218134; Sez. 1, n. 5850 del 29/09/2000, Cuccuru, Rv. 218079; Sez. 1, n. 13272
del 05/11/1998, Alletto, Rv. 211876; Sez. 5, n. 5028 del 03/09/1998, Balbo, Rv.
211525; Sez. 6, n. 1524 del 08/04/1997, Catti, Rv. 208212; Sez. 6, n. 5649 del
22/01/1997, Dominante, Rv. 208895; Sez. 4, n. 1956 del 01/08/1996, De
Stefano, Rv. 205937; Sez. 6, n. 7627 del 31/01/1996, Aleruzzo, Rv. 206592;
Sez. 1, n. 683/06 del 12/12/1995, Cutrupia, Rv. 203796; Sez. 6, n. 6422 del
18/02/1994, Goddi, Rv. 197856; e, di recente, anche Sez. U, n. 20804/13 del
29/11/2012, Aquilina e altri, Rv. 255143), si è reiteratamente affermato che le

persona imputata in un procedimento connesso ai sensi dell’art. 12 o collegato ai
sensi dell’art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen. – qualificabili come
“chiamate in correità” o “chiamate in reità”, a seconda che le informazioni
provengano da una persona che accusa altri di un delitto nella cui commissione
ella abbia o meno concorso – devono essere analizzate, ai fini del controllo della
loro credibilità, secondo un rigoroso ordine logico che esclude la possibilità di una
valutazione unitaria e che, invece, impone di controllare, innanzitutto, la loro
attendibilità soggettiva, in relazione, tra l’altro, alla personalità, alle condizioni
socio-economiche e familiari, al passato dei propalanti, ai rapporti con i chiamati
in correità o in reità, ed alla genesi remota e prossima della loro risoluzione alla
confessione ed alla accusa dei coautori e complici; in secondo luogo, di verificare
l’attendibilità intrinseca delle relative deposizioni, saggiandone le caratteristiche,
alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della precisione, della coerenza, della
costanza, della spontaneità; infine, di esaminare i riscontri cosiddetti esterni,
cioè gli elementi di prova da soli inidonei a dimostrare il fatto di reato, ma capaci
di confermare la credibilità delle indicazioni provenienti dagli accusatori, pure
saggiando l’autonomia ed l’indipendenza di queste ultime laddove tali
dichiarazioni, nella ricerca di una convergenza, siano valorizzate per riscontrarsi
l’una con l’altra.
Tali regulae iuris sono state disattese dal Tribunale del riesame di Napoli con
l’adozione dell’ordinanza gravata, nella quale è stata del tutto omessa ogni
valutazione circa la credibilità soggettiva ed intrinseca delle dichiarazioni
accusatorie dei due collaboratori di giustizia, Mirko Cascarino e Rosario Marciello,
di cui è stato riportato, in maniera sostanzialmente acritica, il testo delle relative
propalazioni, senza alcuna precisazione circa la loro natura di chiamata in
correità o in reità, con una mera elencazione di ampi brani di verbali e con una
sintetica conclusione in ordine all’attendibilità degli interessati e ad un’asserita
concordanza delle loro indicazioni (affermazione priva, però, di una previa reale
verifica circa l’autonomia ed indipendenza delle plurime propalazioni); oltre che
ad un indeterminato rinvio ad altri riscontri, menzionati genericamente con il
4

(té

dichiarazioni accusatorie rese dal coimputato del medesimo reato ovvero dalla

riferimento agli esiti di intercettazioni di comunicazioni, del cui contenuto
neppure si è dato atto.
Il provvedimento impugnato deve essere, dunque, annullato con rinvio al
Tribunale di Napoli che, nel nuovo esame, si uniformerà ai principi di diritto
innanzi richiamati.
Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi di legge.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo esame, al Tribunale di Napoli.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp.
att. cod. proc. pen.
Così deciso il 21/01/2014

P.Q.M.

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