Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5157 del 11/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 5157 Anno 2015
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
NIGRO SALVATORE N. IL 08/10/1990
avverso la sentenza n. 2691/2012 TRIBUNALE di COSENZA, del
22/11/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 11/12/2014

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Ritenuto in fatto

1.Con sentenza resa il 22 novembre 2013 il Tribunale di Cosenza dichiarava
l’imputato Salvatore Nigro responsabile del reato di molestie, commesso in danno di
Maria Pia De Vuono e lo condannava alla pena di euro 300,00 di ammenda con i
doppi benefici di legge ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da
liquidarsi in sede civile, oltre che alla rifusione delle spese di costituzione in favore

2.Avverso l’indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a
mezzo dei suoi difensori, i quali ne hanno chiesto l’annullamento per violazione di
legge e vizio di motivazione in relazione al giudizio di responsabilità. L’unico
elemento valutato dal Tribunale era costituito dall’intestazione dell’utenza cellulare
dalla quale erano state effettuate le chiamate moleste pervenute alla persona
offesa, ma nulla dimostrava che quell’utenza fosse stata utilizzata dal ricorrente,in
quanto:
-erano stati acquisiti i tabulati relativi al traffico della sola persona offesa, attestanti
una pluralità di contatti con vari numeri e non quelli riguardanti l’utenza
dell’imputato;
-costui non avrebbe potuto fornire la prova del fatto negativo consistente nel
mancato utilizzo dell’utenza, spettando all’accusa dimostrare che egli ne aveva fatto
l’uso incriminato;
– la stessa persona offesa ha riferito di non conoscere l’imputato, residente in
diversa provincia, mentre il molestatore l’aveva chiamata per nome ed aveva
riferito particolari che presupponevano la loro conoscenza;
-spesso accade che l’intestatario di un’utenza sia persona diversa dall’utilizzatore,
per prassi di alcune compagnie telefoniche e perché l’apparecchio può essere usato
da parenti, amici o colleghi.
Pertanto, il giudizio di colpevolezza non resisteva al ragionevole dubbio.

Considerato in diritto

L’impugnazione è inammissibile in quanto basata su motivi manifestamente
infondati.
1.L’unico motivo di ricorso prospetta che la condotta accertata all’esito
dell’istruttoria non sarebbe stata commessa dal ricorrente, ma da ignoti che
avrebbero utilizzato l’utenza allo stesso intestata.
1.1 Va premesso che la sentenza impugnata ha già indicato efficacemente che
le telefonate moleste dal contenuto volgare, effettuate da voce maschile, erano
pervenute all’utenza cellulare in uso alla persona offesa, anche se intestata al di lei
1

della stessa parte civile.

padre, la sera del 15 febbraio 2012 e che l’utenza dalla quale erano state effettuate
era risultata nella titolarità dell’imputato, soggetto che la Di Vuono aveva affermato
di non conoscere. I tabulati del traffico telefonico avevano confermato
l’effettuazione delle chiamate ed il numero di utenza dal quale erano partite, oltre
che l’intestazione al Nigro. Con corretto procedimento inferenziale il Tribunale ha
ritenuto che la sim card fosse stata nella sua disponibilità e che egli fosse l’autore
delle telefonate moleste.

dell’utenza dell’imputato, ma l’ha esclusa in assenza di qualsiasi dato conoscitivo
capace di fondare quest’alternativa fattuale.
1.3 Tale ragionamento probatorio è incensurabile nel giudizio di legittimità,
perché basato su concreti dati probatori e tratto con logica ineccepibile, non
smentiti da alcuna contraria risultanza. Né giova al ricorrente sostenere di essere
impossibilitato ad offrire la prova del fatto negativo, ossia di non essere l’autore
delle telefonate, dal momento che, assumendo essere stata la sua utenza nella
disponibilità di terzi, le relative circostanze, -ossia l’identità del fruitore, i tempi e le
causali di tale fruizione- costituiscono dati in suo possesso e che soltanto lui
avrebbe potuto fornire in giudizio, consentendo di riscontrarne la veridicità. Al
contrario, anche col ricorso si limita ad opporre circostanze di fatto generiche e non
provate sull’estraneità al reato ed argomenti logici, che però non possono essere
direttamente apprezzati da questa Corte, cui non compete l’attività di
apprezzamento del materiale probatorio e la ricostruzione del fatto di reato.
L’impugnazione incorre, pertanto, ai sensi dell’art. 591 cod. proc. pen. nella
sanzione dell’inammissibilità per la palese infondatezza dei motivi; segue di diritto,
ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché in relazione ai profili di colpa insiti nella proposizione di
siffatta impugnazione, al versamento della somma di euro mille in favore della
Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 mille in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, 1’11 dicembre 2014.

1.2 II Tribunale ha pure considerato la plausibilità dell’utilizzo da parte di altri

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