Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5148 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 5148 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto da Cianfarani Ermanno, nato a Collelongo il 7
aprile 1925, avverso la sentenza 23 gennaio 2013 della Corte di appello di
L’Aquila.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso,
nonché il difensore della parte civile, avv.ssa Barbara, che ha chiesto il rigetto
dell’impugnazione depositando conclusioni e nota spese.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Cianfarani Ermanno, nato a Collelongo il 7 aprile 1925, è accusato del
reato di cui all’art. 392 c.p. perché, al fine di esercitare un preteso , diritto e
potendo ricorrere al giudice, si faceva arbitrariamente giustizia da sé medesimo,
mediante violenza sulle cose, consistita nel sostituire il lucchetto posto a chiusura

Data Udienza: 16/01/2014

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di un cancello, che dava accesso ad una corte comune nel possesso anche di
Ciccone Maria Antonietta. In Collelongo il 6 novembre 2006 o in epoca antecedente
e prossima.
2.

Il Tribunale di Avezzano, in composizione monocratica, il 3 marzo 2009

lo ha ritenuto responsabile del reato ascrittogli e, previo riconoscimento delle

aggravanti, lo ha condannato alla pena della multa di Euro 40,00, oltre al
pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Lo ha altresì condannato al
risarcimento del danno sofferto dalla parte civile costituita Ciccone Maria Atonia,
liquidato, in via equitativa, nella misura di Euro 500,00 nonché alla refusione delle
spese processuali.
3.

Detta sentenza è stata impugnata e nell’appello si è dedotto: a) che

l’imputato era l’unico proprietario nonché possessore della contestata striscia di
terreno e che gli atti compiuti dalla parte civile, consistiti in concreto
nell’annaffiare, dall’interno della casa, un vaso di fiori appeso al muro e lavare i
vetri della persiana di una finestra, integravano comportamenti di fatto esercitati
per mera tolleranza altrui e non certo una situazione di “comodo possesso”, come
risultato chiaro dalle deposizioni acquisite in sede dibattimentale; b) che non era
stata fornita alcuna prova del danno morale e materiale assertivamente subito
dalla parte civile e liquidato dal primo giudice in via equitativa; c) che il reato era
estinto per prescrizione.
4.

La Corte di appello di L’Aquila con sentenza 23 gennaio 2013, oggi

impugnata, ha confermato tutte le statuizioni del primo giudice, rilevando
criticamente:
a) che, pacifici, sia la proprietà che il possesso dell’imputato della rubricata
striscia di terreno, era emerso, dalla congiunta valutazione delle acquisite prove
orali, che l’uso della stessa da parte di Ciccone Maria Antonia, benché non
quotidiano, fu prolungato nel tempo e relativo allo svolgimento di attività comuni
della vita, comportando pertanto un potere di fatto sul bene, incompatibile con la
mera tolleranza, configurabile nei soli casi di transitorietà ed occasionalità dell’uso
del bene stesso;

circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate

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b) che dalla documentazione acquista è emerso che il fatto in imputazione è
stato altresì oggetto di procedimento possessorio e che la parte civile Ciccone è
stata reintegrata del possesso del bene, in sede di provvedimento reso inaudita
altera parte, quindi confermato a seguito di reclamo al Collegio;
c) che l’entità della somma liquidata dal primo giudice, in via equitativa, a

voler tenere conto del solo danno non patrimoniale, notoriamente consistente in
ogni ripercussione di contenuto negativo della vicenda penale subita,
patrimonialmente non obiettivabile;
d) che è senza fondamento la richiesta formulata in via subordinata di
pronuncia di una sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione,
non essendo decorso il termine prescrizionale massimo dalla commissione del fatto
reato.
5. Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed
erronea applicazione della legge, nonché vizio di motivazione sotto il profilo del
ritenuto delitto ex art. 392 cod. pen..
In particolare il ricorso evidenzia:
a) che la condotta della Ciccone (querelante-parte civile) e consistita nel
prendere cura dei fiori, anche dell’imputato (nei dieci metri quadrati contestati),
annaffiandoli, configurava semplici comportamenti di fatto esercitati nella mera
tolleranza dell’imputato nei confronti della cognata e senza che ciò potesse
integrare una situazione di compossesso;
b) che comunque difettava nel ricorrente la consapevolezza della illiceità
della sua condotta, consistita nella sostituzione del lucchetto della porta di
accesso al terreno in questione, avuto riguardo alla occasionalità del
comportamento della Ciccone.
6. Con un secondo motivo si lamenta la misura di €. 500 con cui è stata
risarcita la Ciccone priva di correlazione tra gravità effettiva del danno ed
ammontare dell’indennizzo.
7. Ritiene la Corte in adesione alle conformi richieste del Procuratore
generale e della parte civile che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile.

titolo di “risarcimento del danno sofferto” si appalesa del tutto congrua anche a

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Invero esso è la sostanziale iterazione, senza novità, delle censure
proposte in appello ed alle quali la corte distrettuale ha dato ampia, ragionevole
ed ineccepibile risposta.
7.1. Nella specie infatti le doglianze si sono risolte nella ripetizione delle
censure dedotte in secondo grado, nei termini esaminati e disattesi in modo
considerati non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la
funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso (Cass.
pen. sez. 6, 20377/09, r.v. 243838; Cass. pen. sez. 5, 11933/2005 Rv.
231708).
7.2. Identica conclusione va assunta per il secondo motivo, in punto di
mancata correlazione tra gravità effettiva del danno ed ammontare
dell’indennizzo.
È notoriamente legittimo il ricorso del giudice a criteri equitativi nella
quantificazione del danno risarcibile ove in esso, come nella specie, non siano
rinvenibili componenti patrimoniali suscettibili di precisa determinazione: corretto
pertanto appare il giudizio di congruità della somma, liquidata equitativamente
alla vittima, nell’importo, non esorbitante, di C. 500, trattandosi di “quaestio
facti” che, per come argomentata, non è suscettibile di censura in questa sede
(cass. pen. sez. 5, 43053/2010 Rv. 249140).
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.
Alla decisa inammissibilità consegue, ex art. 616 C.P.P., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della
Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in C. 500,00 (cinquecento).
L’imputato va infine condannato a rifondere alla parte civile Ciccone Maria
Antonia le spese sostenute in questo grado, che liquida in complessivi C. 2.000,00
oltre i.v.a. e c.p.a.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C. 500,00 in favore della Cassa delle
ammende, nonché Yrifondere alla parte civile Ciccone Maria Antonia le spese

argomentato dalla corte di merito, con la conseguenza che i motivi stessi vanno

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sostenute in questo grado, che liquida in complessivi €. 2.000,00 oltre i.v.a. e
c.p.a.
Così deciso in Roma il giorno 16 gennaio 2014

onsigliere estensore

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