Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5147 del 16/01/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 6 Num. 5147 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Manuela Picco, nata a Cividate al Piano il 06/07/1967
avverso la sentenza dell’11/04/2013 della Corte d’appello di Brescia
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.

La Corte d’appello di Brescia, con sentenza dell’11/04/2013, ha

confermato l’affermazione di responsabilità di Manuela Picco pronunciata dal
Tribunale di Bergamo con sentenza del 12/11/2012 in ordine ad episodi di
cessione di sostanze stupefacenti, ed al reato di resistenza a pubblico ufficiale.
2.

Ha proposto ricorso il difensore della Picco avv. Plastina, deducendo

contraddittorietà della motivazione con riferimento alla ricostruzione dei fatti che
hanno giustificato l’affermazione di responsabilità per il delitto di resistenza, il cui
elemento costitutivo è stato identificato nell’azione di liberare il cane da guardia
contro i verbalizzanti. In proposito si rileva che azione costituente reato è
descritta in maniera difforme nel verbale di arresto ed in quello di perquisizione e
sequestro, situazione che non consente di concludere univocamente sulla volontà
dell’interessata di frapporre ostacoli al controllo.
Si contesta che sia stata accertata la natura della sostanza rinvenuta
vicino al water, di cui la donna, in tesi d’accusa, si sarebbe disfatta, in quanto la

Data Udienza: 16/01/2014

sentenza fonda le sue conclusioni sul punto sulle risultanze di un narcotest che
risulta svolto solo sulle dosi sequestrate presso gli acquirenti.
3. Con il secondo motivo si denuncia erronea applicazione della legge
penale, con riguardo all’accertamento di responsabilità della donna a titolo di
concorso con il convivente, fondato sulle non univoche circostanze di fatto
richiamate. A tutto concedere nella specie si ravvisa un aiuto offerto dalla
ricorrente, successivo alla consumazione del reato, che integra il diverso delitto

di favoreggiamento.
4. Con autonomo ricorso l’avv. Marinelli deduce nell’interesse della Picco
erronea applicazione della legge penale, nella parte in cui il giudicante ha
ritenuto sussistente il concorso della donna nel reato del convivente, omettendo
di valutare l’assenza di interventi di questa nell’azione materiale compiuta, e
desumendo tale concerto esclusivamente dall’attività successiva al reato,
elemento idoneo ad integrare il diverso delitto di favoreggiamento.
Il concorso nel reato di cessione di sostanza stupefacente si assume
accertato sulla base di su indizi non univoci, quali il preteso narcotest sulla
sostanza trovata sparsa nel bagno dell’azione, analisi assente dagli atti, mentre
nell’abitazione non è stata ritrovata ulteriore sostanza.
5.

Con ulteriore motivo si censura violazione di legge e vizio di

motivazione, nella parte in cui si è ritenuto di ravvisare nel comportamento della
donna, descritto equivocamente negli atti di indagine, la volontà di ostacolare
l’azione dei pubblici ufficiali, parificando l’azione di liberazione del cane,
all’omissione della sua chiamata, così individuando in entrambe le condotte
un’azione dolosamente volta a minacciare i pubblici ufficiali, con ricostruzione
che si ritiene non sufficiente ad integrare l’illecito.
6. Si rileva da ultimo difetto di motivazione riguardo al rigetto della
richiesta di riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. esclusa
con richiamo alla natura del ruolo della donna nell’attività, che, sulla base delle
osservazioni svolte, non si ritiene invece chiaramente definito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. La pronuncia impugnata elenca con chiarezza tutti gli elementi di fatto,
accertati in maniera univoca, che hanno condotto all’attribuzione della
responsabilità della donna per il reato di concorso nel reato di detenzione e
cessione di sostanza stupefacente.
È bene richiamare in diritto il principio in forza del quale qualsivoglia
attività che risulti volta ad assicurare il completo svolgimento dell’azione
2

Cass. VI sez. pen.r.g.n. 31789/2013

h/

commerciale illecita integra gli estremi di tale condotta, e ciò a prescindere dalla
materiale esecuzione della consegna della sostanza, per il criterio generale
dell’equivalenza degli apporti causali dei concorrenti del reato, desumibile
dall’impostazione dell’art. 110 cod. pen.
Nella specie risulta che nella giornata di riferimento il convivente della
Picco aveva effettuato plurime consegne di sostanza stupefacente, comprovate

della donna all’azione è stata successivamente ritenuta dai giudici di merito sulla
base della valorizzazione di una serie di indizi, univoci e gravi, quali la
circostanza che nell’abitazione erano state poi rinvenute involucri pen ,rii
confezionamento delle dosi, bilancino, ventisette sim card, ed una somma di
denaro composta da banconote di piccolo taglio, anche nel diretto possesso
dell’interessata, di elevata consistenza rispetto alle sue condizioni economiche,
della quale non è stata in grado di fornire attendibile giustificazione, con
particolare riferimento alla concreta possibilità di accumulo di tali risparmi.
È stata evidenziata inoltre l’immediata collaborazione prestata dalla donna
in favore del coimputato nella soppressione delle tracce dell’illecito, a seguito di
una mera chiamata verbale eseguita da questi a gran voce dall’esterno
dell’abitazione, collaborazione realizzata senza previamente sincerarsi delle
condizioni concrete in cui tale evocazione veniva formulata; tale condotta
logicamente rimanda ad accordi pregressi e non ad una estemporanea iniziativa
personale, dopo la consumazione del reato, considerato peraltro che la
detenzione di stupefacente era ancora in corso e non poteva dirsi conclusa, se
non con la distruzione della sostanza, cui risulta dai successivi controlli aver
provveduto l’interessata.
La situazione poi accertata a seguito della perquisizione ha condotto al
rinvenimento, oltre che degli oggetti richiamati, anche di residui di polvere
bianca nei pressi del w.c., accertamento che forniva giustificazione al ritardo
nell’apertura dell’alloggio agli agenti, oltre che sostegno all’ipotesi di un’azione
appena compiuta.
L’eccepita mancanza di un riscontro sulla natura della sostanza risulta non
fondata, poiché emerge dal verbale in atti che anche su tali residui venne
acquisito il narcotest, con esito positivo, ed operato il sequestro, e la mancata
allegazione di tali risultanze al fascicolo era giustificata dal trattenimento di tali
atti negli uffici della p.g., in attesa di istruzioni del P.m. procedente; la mancanza
di ulteriori approfondimenti in contraddittorio sul punto ben si spiega con la
successiva scelta degli interessati di procedere con il rito abbreviato, che ha fatto
venir meno, per iniziativa delle parti, la necessità di un ulteriore controllo,
3

Cass. VI sez. pen.r.g.n. 31789/2013

ep

dall’osservazione realizzata dalle forze dell’ordine; la partecipazione pregressa

circostanza che non esclude la portata dimostrativa di quanto relazionato dagli
agenti nel corso dello svolgimento delle operazioni.
Conseguentemente,

i

vizi di erronea

applicazione di

legge

nell’individuazione degli elementi costitutivi del concorso di persone nel reato,
risultano infondati, sia in relazione all’avvenuta individuazione degli elementi
tipici dell’intervento della donna nel corso dello svolgimento del’azione, che
esclude la consistenza dell’ipotesi alternativa del favoreggiamento, sia per la

compiuta individuazione dei convergenti e gravi indizi di tale attività, che
risultano esposti con completezza e coerenza argomentativa.
3.

Analoga corretta applicazione della norma penale, e coerenza

argomentativa deve ravvisarsi nell’accertamento del reato di resistenza a
pubblico ufficiale. Al di là della differente sfumatura ricostruttiva contenuta nel
verbale di arresto -ove si riconduce alla Picco l’azione volta a liberare il
rottweiler, prima di chiudere la porta blindata per impedire l’accesso all’alloggioed in quello di perquisizione -in cui sembra possibile ritenere che l’agente si sia
limitata a lasciare libero l’animale, già fuori dall’alloggio, prima di chiudere la
porta di accesso all’abitazione- sottolineata dalle ricorrenti difese con riferimento
alla descrizione della condotta materialmente realizzata dalla donna, risulta
indubbio dall’univoco risultato di inibizione dell’accesso degli agenti,
concretizzato nel chiudere a chiave la porta di casa mentre il controllo era in
atto, che la Picco voleva impedire ai pubblici ufficiali l’esercizio dell’azione
doverosa. Ciò comporta, anche ammettendo in linea con quanto emerge dal
verbale di perquisizione, che il cane fosse già fuori dall’alloggio, il consapevole
mantenimento di una situazione di concreta minaccia nei confronti degli operanti,
di cui la donna ha inteso garantire, con la sua condotta, la persistente efficacia.
Si deve quindi convenire che la sentenza impugnata, nella parte in cui
valuta indifferente la pretesa contraddittorietà delle risultanze, applica
coerentemente criteri logici ed ermeneutici nella valutazione dell’azione
volontaria compiuta dalla donna, collegando la consapevole permanenza
dell’azione minacciosa alle sue strumentali necessità in quel momento,
circostanza che permette di ricondurre comunque ad una sua determinazione
consapevole l’azione oppositiva, ancorché realizzata in via mediata.
Ciò che l’agente risulta, a tutto concedere, aver compiuto nella specie,
costituisce lo sfruttamento di una situazione minacciosa in atto, nella quale ella
aveva la possibilità di incidere per il potere dispositivo sull’animale rimessole
dalla condizione di proprietaria, e della quale invece si è assicurata la persistenza
costringendo il cane ed i pubblici ufficiali a condividere gli stessi spazi; tale
condizione di concreta minaccia poteva cessare solo con la rinuncia delle forze
4

Cass. VI sez. pen.r.g.n. 31789/2013

P

I
dell’ordine a svolgere l’attività doverosa, elemento di fatto che evidenzia la
correlazione tra la minaccia di cui l’interessata ha assicurato l’efficacia e la
persistenza e l’inibizione dell’attività doverosa del pubblici ufficiali.
Né la configurazione della fattispecie è impedita dall’apparente
imposizione di un obbligo giuridico di collaborazione, pacificamente non gravante
sulla persona sottoposta a controllo, in quanto la necessità del suo intervento

cui l’interessato abbia la consapevolezza. È bene ricordare che questa Corte ha
già affermato la possibilità della consumazione della resistenza in forma
omissiva, ove tale omissione risulti scientemente volta a non rimuovere
l’impedimento all’azione dei pubblici ufficiali caratterizzato dalla violenza o
minaccia (sullo specifico punto Sez. 6, n. 8667 del 28/05/1999 – dep.
07/07/1999, La Delfa R, Rv. 214199), verifica dell’elemento psicologico che nella
specie risulta svolta nella sentenza impugnata sulla base delle risultanze.
Per i motivi esposti deve escludersi sia la violazione di legge lamentata,
che la contraddizione che si assume presente nella sentenza, elemento che, a
tutto concedere, caratterizza invece gli atti di p.g., la cui irrilevanza è superata
dalla coerente argomentazione espressa sull’individuato scopo dell’azione
realizzata dalla Picco.
4.

Insussistente risulta il difetto di motivazione relativo all’esclusione

dell’attenuante della minima partecipazione al fatto invocata dal secondo
difensore, poiché la sentenza, nel ricostruire il livello di partecipazione dà conto
sia in maniera esplicita, che con il complessivo richiamo all’importanza della
condotta svolta al fine della consumazione del reato di detenzione di sostanza
stupefacente, dell’insussistenza dei presupposti applicativi della disciplina
invocata; in relazione a tale esposizione la contestazione contenuta in ricorso è
volta esclusivamente a sollecitare una diversa determinazione di merito in questa
fase, estranea al presente giudizio.
5. Il rigetto del ricorso impone al condanna dell’interessata al pagamento
delle spese del grado, in applicazione del’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 16/01/2014.

può ritenersi solo in conseguenza della presenza di una situazione di minaccia di

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA