Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5145 del 16/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 5145 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto da Foberti Giuseppe, nato il giorno 3 luglio 1983,
avverso la sentenza 24 aprile 2013 della Corte di appello di Messina.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso per la declaratoria di
inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. il Foberti è accusato del reato p. e p. dall’art. 337 c.p. per avere usato
violenza e minaccia per opporsi agli ufficiali ed agenti di P.G. i quali, nell’esercizio
delle loro funzioni, stavano svolgendo attività di servizio: in particolare, essendosi i
Carabinieri recati presso l’abitazione del Foberti per effettuare una perquisizione

Data Udienza: 16/01/2014

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domiciliare ai sensi dell’art. 103 D.P.R. 309/90, dapprima tentava di impedire
l’accesso chiudendo la porta di casa, poi cercava di spingere con forza i Carabinieri
fuori dall’abitazione. Fatto accaduto in Messina il 27 novembre 2006.
2. Il Tribunale monocratico di Messina, con sentenza 17 marzo 2008,
ritenuta la responsabilità dell’imputato, lo ha condannato alla pena di mesi 9 di

Messina, con sentenza 24 aprile 2013, ha confermato tale decisione.
3.

La Corte territoriale ha ribadito il giudizio di colpevolezza della sentenza

di I grado, rilevando nell’ordine:
a) quanto all’eccezione di nullità della sentenza di I grado (per essere stato
irritualmente notificato l’estratto contumaciale della decisione a norma dell’art. 548
comma 3 cod. proc. pen.), si è evidenziato che l’ufficiale giudiziario, recatosi
presso il domicilio, indicato dal Foberti in sede di opposizione al decreto penale di
condanna, ossia in Messina, via Sant’Agostino n. 4 (giusta verbale di opposizione a
decreto penale di condanna del 5-3-2007), aveva rilevato che al suddetto indirizzo
risultavano gli uffici dell’Enel, presso i quali il Foberti non risultava domiciliato; a
fronte di tale situazione, l’ufficiale giudiziario ha quindi correttamente notificato
l’atto al difensore dell’imputato, ai sensi dell’art. 161 comma 4 c.p.p., essendo
divenuta impossibile la notificazione presso il domicilio dichiarato;
b) quanto alla tesi difensivai per cui l’imputato non avrebbe usato violenza o
minaccia alcuna né avrebbe di fatto impedito ai Carabinieri di svolgere la
perquisizione, regolarmente espletata, essa non ha fondamento in quanto, come
precisato dal teste Tavilla (la cui attendibilità non è stata contestata), il Foberti ha
usato violenza nei confronti dei Carabinieri, spintonandoli ed allontanandoli dalla
porta, all’evidente scopo di non consentire loro di espletare l’operazione di Polizia
giudiziaria: la circostanza che egli, calmatosi, abbia poi consentito ai militari di
entrare in casa non elide, giusta conforme giurisprudenza della Corte di legittimità,
attesa l’indifferenza dell’esito positivo o negativo di tale azione e dall’effettivo
verificarsi di un impedimento che abbia ostacolato il compimento degli atti del
pubblico ufficiale (si cita sul punto: Cass. pen., sez.6, n. 3970/10);
c) quanto alla doglianza relativa alla mancata concessione delle circostanze
attenuanti generiche, la sua infondatezza riposa sulla motivata argomentazione del

reclusione, con sospensione condizionale della pena e la Corte di appello di

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primo giudice che ha valorizzato la gravità del fatto ed i precedenti penali del
Foberti, applicando comunque la pena in misura prossima al minimo edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

l’imputato ricorre, a mezzo del suo difensore, proponendo 8 motivi di

gravame.

erronea applicazione della legge, nonché vizio di motivazione sotto il profilo della
ritenuta sussistenza del delitto de quo, nonostante l’avvenuto compimento
dell’atto: “la perquisizione doveva eseguirsi e la perquisizione è stata eseguita”.
Con il secondo ed il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di
motivazione, avuto riguardo alla circostanza che il giudizio di responsabilità si
sarebbe basato sulla testimonianza di persona che aveva titolo per costituirsi
parte civile ed in ogni caso, nella specie, nessun pregiudizio è stato in concreto
arrecato alla funzionalità degli atti posti in essere dai pubblici ufficiali.
3. Le prime tre doglianze in punto di giudizio di responsabilità sono
palesemente prive di fondamento.
La ricostruzione dei fatti, quale effettuata dai giudici di merito con doppia
conforme valutazione dei dati probatori, risulta aderente alle risultanze
processuali e giustificata con una motivazione che risulta coerente, completa,
priva di illogicità e contraddizioni e, per ciò stesso, esente da invalidità
apprezzabili in questa sede, considerato che alla prospettazione della dinamica
degli eventi il ricorso pretende sostituire una sua propria alternativa ed
inammissibile rivalutazione del compendio probatorio stesso.
Qui osservandosi, in punto di diritto e per l’integrazione del delitto
contestato, che non è affatto richiesto il totale impedimento della libertà di azione
del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia siano
funzionalmente correlate al compimento di un atto di ufficio o di servizio, a
prescindere dagli esiti, positivi o negativi, della condotta oppositiva e dall’effettivo
impedimento dell’attività di istituto (cfr. cass. pen. sez. 6, u.p. 26 ottobre 2011
De Silvio).
I primi tre motivi vanno pertanto dichiarati inammissibili.

2. Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed

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Con un quarto motivo si evidenzia erronea applicazione dell’art.69 cod.
pen. (in realtà art. 62 bis cod. pen.) per il mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche, che invece era dovuto avuto riguardo alla
ridotta capacità critica del ricorrente, affetto da depressione reattiva con spunti
deliranti, e che pertanto non ha compreso l’intrusione degli agenti e degli ufficiali

Con un ottavo motivo si contesta vizio di motivazione in ordine alla
quantificazione della sanzione per eccessività della stessa e per mancata
considerazione delle condizioni di salute del ricorrente
111V e I’VIII motivo non superano la soglia dell’ammissibilità.
In proposito va premesso che la concessione delle attenuanti generiche
risponde a una facoltà discrezionale, il cui esercizio, positivo o negativo che sia,
deve essere bensì motivato, ma nei soli limiti atti a far emergere in misura
sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta
alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Nella specie detta motivazione di diniego è ineccepibilmente fondata su una
serie di considerazioni che attengono alla gravità del fatto nel quadro di una
valutazione negativa della sta personalità in relazione ai precedenti penali.
Quanto alla deduzione di eccessività della sanzione essa è del pari
inammissibile tenuto conto che l’irrogazione di una pena vicina a quella media come nella specie- non deve essere motivata in modo specifico o particolarmente
ampio, essendo sufficiente, come avvenuto, il richiamo ai criteri fissati dall’art. 133
cod. pen., considerato che l’applicazione della pena rappresenta infatti il frutto di
una valutazione intuitiva e globale, operata dal giudice in rapporto alla complessiva
considerazione del fatto ed alla personalità dello imputato (Cass. pen. sez. 3,
1571/1986 Rv. 171948. Conf mass. 169503,168287,167155; 166021;
165378,163203)
Con un quinto motivo si sostiene violazione dell’art.606 comma 1 lettera d)
per mancata assunzione di prove determinanti.
Il motivo è generico; in ogni caso non deduce, con la necessaria specificità, il
tenore e la decisività del mezzo istruttorio richiesto e, soprattutto, la sua idoneità
logica ed argomentativa a modificare il peso delle concludenti prove di accusa.

di Polizia giudiziaria.

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Con un sesto motivo si illustra nullità della notificazione dell’estratto
contumaciale della sentenza.
Si tratta, anche per questa doglianza, di una critica inammissibile, posto
che essa si sostanzia nella iterazione di un corrispondente motivo di appello,
senza confronto alcuno con la precisa ed ineccepibile risposta data dalla Corte

Con un settimo motivo si eccepisce l’intervenuta prescrizione del reato:
motivo infondato in fatto, e, comunque non apprezzabile per effetto della
inammissibilità dell’impugnazione .
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.
Alla decisa inammissibilità consegue, ex art. 616 C.P.P., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della
Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in C. 1000,00 (mille).
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il giorno 16 gennaio 2014
consigli re estensore

territoriale.

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