Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5135 del 11/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 5135 Anno 2015
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MANZARI GIORGIO N. IL 28/09/1970
avverso la sentenza n. 1648/2009 CORTE APPELLO di BARI, del
03/12/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;

Data Udienza: 11/12/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3/12/2013, la Corte di appello di Bari confermava quella
del Tribunale di Bari di condanna di Manzari Giorgio alla pena di anni uno e mesi
otto di reclusione per il delitto di cui all’art. 9, comma 2, legge 1423 del 1956,
con recidiva reiterata specifica e infraquinquennale. Manzari, sottoposto alla
misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, è
accusato di essersi associato a condannati.

dimostrare l’abitualità della frequentazione; osservava che l’imputato era a
conoscenza della condizione di pregiudicato della persona con cui si
accompagnava e riteneva irrilevante la successiva riabilitazione di tale persona.
La Corte negava all’imputato le attenuanti generiche, non emergendo motivi
che inducessero alla concessione né avendo l’imputato ammesso le proprie
responsabilità.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Giorgio Manzari, deducendo vizio
della motivazione.
La Corte non aveva preso in esame le censure mosse nell’atto di appello:
non vi era prova di una reiterata frequentazione tra Manzari e Ferrante e la
condizione di pregiudicato del secondo era ignorata dal primo in occasione del
primo incontro, essendo attribuibile a condanna risalente a sette anni prima.
L’incontro era stato occasionale. Non sussistevano, quindi, i presupposti
dell’abituale associazione a pregiudicati. Anche il secondo incontro era casuale e i
due soggetti erano visti dialogare mentre Ferrante si trovava a bordo di un
ciclomotore.
In un secondo motivo, il ricorrente deduce vizio di motivazione con
riferimento alla decisione in punto di trattamento sanzionatorio: la Corte aveva
valorizzato i precedenti penali dell’imputato che peraltro, erano risalenti nel
tempo e attribuibili all’intemperanza giovanile; non aveva tenuto conto della
mancanza di pericolosità attuale del ricorrente.
Il ricorrente, infine, eccepisce l’intervenuta prescrizione del reato contestato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi manifestamente
infondati e, comunque, non consentiti nel giudizio di legittimità.

In effetti, il ricorrente non fa che riproporre argomentazioni di merito – sulla
2

La Corte rilevava che era sufficiente una ripetuta frequentazione a

conoscenza della condizione di pregiudicato del Ferrante da parte di Manzari,
sulla occasionalità degli incontri, sulla non attuale pericolosità dell’imputato – che
la Corte territoriale ha già valutato, dimostrando di avere preso in considerazione
l’atto di appello, giungendo ad una decisione che si vorrebbe sconfessata da
questa Corte con una valutazione di fatto che ad essa non spetta.
Né il ricorso dimostra la manifesta illogicità della motivazione o la sua
contraddittorietà con atti del processo specificamente indicati, come richiede

Il principio di diritto richiamato dalla Corte territoriale, secondo cui in tema
di contravvenzione agli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale di pubblica
sicurezza, non è richiesta, per l’integrazione del reato sotto il profilo della
violazione della prescrizione di non associarsi abitualmente con pregiudicati, una
costante e assidua relazione interpersonale, ben potendo la reiterata
frequentazione essere assunta a sintomo univoco dell’abitualità di tale
comportamento, è ripetutamente affermato da questa Corte.

L’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude ogni possibilità sia di
far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.,
l’estinzione del reato per prescrizione, anche se maturata in data anteriore alla
pronunzia della sentenza di appello, ma non dedotta né rilevata da quel giudice.
(Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005 – dep. 22/06/2005, Bracale, Rv. 231164)

2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte
Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso 1’11 dicembre 2014

I Consigliere estensore

Il Presidente

l’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen..

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