Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5133 del 11/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 5133 Anno 2015
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LECCESE GIORGIO N. IL 16/01/1979
avverso la sentenza n. 5862/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del
22/04/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;

Data Udienza: 11/12/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22/4/2013, la Corte di appello di Milano confermava
quella del Tribunale di Milano di condanna di Giorgio Leccese alla pena di anni
uno di reclusione per il delitto di cui all’art. 9, comma 2, legge 1423 del 1956. Il
reato era stato contestato perché l’imputato, sottoposto alla misura di
prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di
Milano, era risultato assente dalla propria abitazione alle ore 00’30; era stata
contestata anche la recidiva reiterata infraquinquennale, ritenuta equivalente alle

La Corte rigettava l’eccezione di nullità della notifica del decreto di citazione
a giudizio, atteso che l’atto era stato notificato presso il domicilio eletto e che
l’avviso di ricevimento del deposito dell’atto era stato regolarmente sottoscritto;
negava, altresì, la sussistenza dei presupposti per la scriminante dello stato di
necessità (Leccese sosteneva di avere dovuto occupare abusivamente un altro
appartamento perché, in conseguenza di un litigio con la zia, quello in cui
avrebbe dovuto dimorare non era più disponibile); osservava che, per di più,
Leccese non aveva nemmeno avvisato la polizia giudiziaria del cambio di
abitazione; riteneva congrua la pena edittale.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Giorgio Leccese deducendo vizio
della motivazione.
La Corte aveva risolto sbrigativamente l’eccezione di nullità della notifica del
decreto di citazione a giudizio: anche se le formalità per la notifica erano state
rispettate, il Giudice avrebbe potuto ordinare una nuova notificazione se avesse
ritenuto altamente probabile che la notifica fosse inidonea a rendere possibile la
conoscenza dell’atto, così da garantire l’esercizio del diritto di difesa all’imputato.
La motivazione era carente anche con riferimento alla quantificazione della
pena, niente avendo la Corte argomentato sulle considerazioni svolte nell’atto di
appello.
Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e genericità dei
motivi.

Il ricorrente richiama la disposizione dell’art. 420 bis cod. proc. pen.,
applicabile anche alla fase dibattimentale in forza del richiamo effettuato dall’art.
2

attenuanti generiche.

484, comma 2 bis cod. proc. pen., tralasciando il contenuto della motivazione
della sentenza impugnata, da cui emerge la certezza che il ricorrente (che aveva
sottoscritto l’avviso di ricevimento della raccomandata con cui si comunicava il
deposito dell’atto) fosse a conoscenza della citazione; non tiene, inoltre, conto
che il secondo comma della norma dispone espressamente che la valutazione del
giudice in ordine alla mancata conoscenza dell’avviso da parte dell’imputato “non
può formare oggetto di discussione successiva né motivo di impugnazione”:

La motivazione della Corte in ordine alla quantificazione della pena è
assolutamente adeguata, atteso che la pena è stabilita nel minimo edittale e
l’unica decisione da adottare riguardava la eventuale prevalenza delle attenuanti
generiche sulla contestata recidiva: la Corte ha effettuato e motivato la
valutazione richiestale dall’atto di appello.

2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte
Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
ammende.

Così deciso 111 dicembre 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

quindi nessuna nullità sussiste né avrebbe potuto essere dedotta.

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