Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5127 del 11/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 5127 Anno 2015
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ERCOLANO ALDO N. IL 14/11/1960
avverso l’ordinanza n. 54/2013 CORTE ASSISE APPELLO di
CATANIA, del 13/02/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 11/12/2014

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa in data 13 febbraio 2014 la Corte di Assise di Appello di
Catania, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, dichiarava inammissibile
l’istanza proposta da Aldo Ercolano volta all’applicazione in sede esecutiva della
continuazione, previa individuazione del quale reato più grave, in quanto
riproposizione di domanda già esaminata e respinta con precedente provvedimento.

determinazione non superabile per effetto dell’intervento di un mutamento
giurisprudenziale successivo e, quanto al caso specifico, per la prospettazione
difensiva che pretendeva individuarsi un diverso titolo giudiziale di condanna alla
pena inflitta per il reato più grave.
2.Avverso l’indicato provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione
l’interessato a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento. Ha dedotto
che:
a)con l’istanza originaria si era chiesta una diversa determinazione in ordine alla già
disposta unificazione per continuazione dei reati puniti con l’ergastolo alla luce
dell’elemento di novità, idoneo a superare il vincolo preclusivo del giudicato
esecutivo, costituito dalla pronuncia della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione nr. 25939 del 28 febbraio 2013 in ordine all’individuazione della
maggiore gravità della pena in astratto quale criterio per la determinazione del
reato più grave ai fini dell’applicazione della continuazione. La domanda era volta
dunque a tener conto di tale mutato indirizzo interpretativo in modo da individuare
quale reato più grave, ritenuto tale dal giudice in base alle modalità concrete della
fattispecie ed al giudizio di comparazione delle circostanze, quello giudicato con la
sentenza della Corte di Assise di Catania del 10 luglio 2001, irrevocabile il 14
novembre 2003, perché riguardante un quadruplice omicidio aggravato e quale
pena base quella per esso inflitta dell’ergastolo, in luogo dell’ergastolo con
isolamento diurno per anni tre.
Erroneamente il giudice dell’esecuzione aveva ritenuto che l’isolamento diurno
costituisse una vera e propria pena in contrasto con quanto previsto dal codice
penale, secondo il quale si tratterebbe di una modalità di esecuzione della sanzione
dell’ergastolo per i delitti commessi in concorso con quello punito con pena
perpetua, per i quali la relativa pena non potrebbe eseguirsi, venendo assorbita
nell’ergastolo. Né l’art. 187 disp. Att. Cod. proc. pen. contiene alcuna menzione a
pene accessorie, né a forme di punizione diverse dalla pena in astratto prevista dal
giudice.
b) Doveva poi considerarsi che la pena in esecuzione è sempre unica ai sensi
dell’art. 76 cod. pen., per cui il significato dell’istanza era quello di individuare la/

A fondamento della decisione la Corte di merito riteneva la precedente

pena principale per il reato più grave e quelle concorrenti per i reati satellite,
operazione che il condannato ha il diritto soggettivo di vedere compiuta in base alla
legge penale; del resto l’individuazione corretta della violazione di maggiore gravità
risponde anche alla funzione rieducativa della pena e persegue finalità di
prevenzione generale e speciale.

L’impugnazione è inammissibile.
Successivamente alla sua proposizione e nelle more della presente decisione è
pervenuta nella cancelleria di questa Corte dichiarazione scritta, con la quale il
ricorrente ha manifestato personalmente l’intenzione di rinunciarvi, il che esime dal
prendere in considerazione il merito del gravame e, secondo quanto prescritto
dall’art. 591 cod. proc. pen., rende inammissibile il ricorso.
Ne segue di diritto la condanna del proponente al pagamento delle spese
processuali e, in relazione ai profili di colpa insiti nella presentazione di siffatta
impugnazione, al versamento di somma in favore della Cassa delle Ammende, che
si reputa equo determinare in euro cinquecento.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di euro 500,00 alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, 1’11 dicembre 2014.

Considerato in diritto

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