Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5126 del 10/07/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 5126 Anno 2014
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAMMOLITI FRANCESCO, nato il 03/02/1973
avverso il decreto n. 15/2012 della CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA del 12/06/2012;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Angela Tardio;
lette le conclusioni del Procuratore Generale Dott. Gioacchino Izzo,
che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso con le ulteriori
statuizioni di legge.

Data Udienza: 10/07/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto del 27 aprile 2011, il Tribunale di Reggio Calabria ha
sottoposto Mammoliti Francesco alla misura della sorveglianza speciale di
pubblica sicurezza per la durata di anni due, con obbligo di soggiorno nel comune
di residenza o di dimora abituale e di versamento della cauzione di euro
cinquemila.

confermato il decreto di primo grado, appellato dal solo proposto.

2. La Corte, dopo aver ripercorso le ragioni poste a fondamento del decreto
di primo grado e aver sintetizzato le censure mosse con l’atto di appello, rilevava
in via preliminare che la misura era stata disposta a carico di Mammoliti
Francesco ai sensi dell’art. 3 legge n. 1423 del 1956.
2.1. Secondo la Corte, era sussistente il presupposto della pericolosità
sociale del proposto, correttamente desunta nel decreto impugnato da più
elementi, rappresentati:
– dalla sua persistenza nella commissione di reati anche dopo la sua
sottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica
sicurezza dal 28 dicembre 2000 al 28 dicembre 2002, come emergeva dalle
pendenze giudiziarie per i reati di cui agli artt. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, 477482 cod. pen., e 12-quinquies, comma 4, legge n. 356 del 1992, aggravato ai
sensi dell’art. 7 legge n. 203 del 1991;
– dalle emergenze della nota informativa del 26 marzo 2010 dei Carabinieri
della Stazione di San Luca in merito alla dedizione del medesimo alla
commissione di reati contro il patrimonio e concernenti il traffico di stupefacenti;
– dal suo elevato tenore di vita del tutto incompatibile con la sua condizione
di disoccupato e con i modesti redditi percepiti dal 2010;
– dal suo arresto nel 1996 per favoreggiamento della latitanza di Pizzata
Saverio Salvatore e dalla circostanza di essere stato visto nel 2007 a bordo di
una costosa autovettura intestata alla madre dello stesso Pizzata;

dalle numerose e recenti segnalazioni relative alle sue costanti

frequentazioni di pericolosi pregiudicati, indicate nella nota informativa del 26
marzo 2010 per il periodo dal 22 marzo 2001 al 14 maggio 2009. La circostanza
che molti pregiudicati erano suoi congiunti, unitamente al dato che il proposto
era membro della famiglia Mammoliti di San Luca, notoriamente affiliata alla
‘ndrangheta, gettava “luce preoccupante sullo stile di vita” del medesimo;

2

La Corte di appello di Reggio Calabria con decreto del 12 giugno 2012 ha

- dal ritrovamento di ingenti somme di denaro nel 2005, celate in un
passeggino e indosso alla moglie, senza alcuna spiegazione circa la loro
provenienza.
2.2. Era sussistente il requisito dell’attualità della pericolosità da riferire al
momento del giudizio di primo grado, attese le peculiari caratteristiche del
giudizio di appello limitato alla cognizione di quanto devoluto, avendo riguardo
alla prosecuzione delle frequentazioni indicate, e neppure smentite, fino a data
prossima alla informativa in atti, e alla mancanza di segnali dai quali potesse

2.3. Le valutazioni dei primi giudici in ordine all’assoluta indifferenza delle
condizioni psichiche del proposto rispetto ai suoi comportamenti criminali,
ritenuti riconducibili al contesto sociale e familiare intriso di mafiosità nel quale il
medesimo era cresciuto e continuava a vivere, non erano superate dalla
relazione medica depositata nel giudizio di appello.
Detta relazione aveva ripercorso la storia clinica del proposto e
rappresentato che lo stesso doveva essere monitorato e curato, mentre non era
risultata alcuna incompatibilità delle patologie con gli obblighi imposti con la
misura applicata.

3. Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione, tramite il
difensore di fiducia, Mammoliti Francesco che ne chiede l’annullamento sulla
base di due motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa
applicazione della legge penale ex art. 606 cod. proc. pen., in relazione agli art.
1 e 3 legge n. 1423 del 1956 e in ordine al requisito della sussistenza e attualità
della pericolosità sociale, e violazione di legge sub specie di motivazione
apparente e/o mancante.
Secondo il ricorrente, gli elementi su cui è fondata la disposta conferma
della misura di prevenzione personale non sono idonei a evidenziare la sua
pericolosità sociale attuale, che è stata ritenuta sulla base del mero e acritico
richiamo alla nota informativa, poiché i precedenti penali sono lontani nel tempo
e sono stati già posti a base del primo procedimento di prevenzione conclusosi
con decreto n. 27 del 24 febbraio 2010, le presunte frequentazioni con soggetti
pregiudicati sono prive di una compiuta valutazione critica, l’attualità della
pericolosità sociale, non adeguatamente valutata, è stata confusa con la
proclività a commettere azioni delittuose (mentre già la Corte costituzionale con
sentenza n. 177 del 1980 ha dichiarato la illegittimità dell’art. 1 n. 3 legge n.
1423 del 1956, nella parte in cui elencava tra i soggetti passibili delle misure di
prevenzione coloro che davano motivo di ritenere che erano proclivi a
delinquere), non è stata adeguatamente considerata la sua condizione di

3

dedursi un deciso cambiamento dello stile di vita del proposto

soggetto affetto da schizofrenia paranoide ad andamento cronico con grave
compromissione della vita sociale e lavorativa, né si è considerato che i divieti e i
comandi imposti con le prescrizioni connesse alla misura sono concettualmente
incompatibili con una struttura mentale compromessa e/o comunque incapace di
comprenderli, e che le uniche condotte rilevanti successive al 2000, consistite in
violazioni delle prescrizioni imposte con la misura della libertà controllata o a
esse connesse (l’ultima del 2005), sono inidonee a fondare un giudizio di
attualità della pericolosità sociale.

incontri occasionali con parenti o amici, indotti dalla sua condizione psichica di
soggetto insicuro e diffidente, bisognoso di guida e compagnia, senza essere
legate a contesti delittuosi.
Né, ad avviso del ricorrente, la Corte di appello poteva contraddittoriamente
affermare l’esito negativo della sua affiliazione alla ‘ndrangheta e indicarlo come
membro della famiglia Mammoliti, notoriamente affiliata alla

‘ndrangheta, per

ritenerlo pericoloso e meritevole di limitazioni, essendo al contrario la mera
appartenenza a una famiglia “attenzionata” e i fatti storici in sé delle
frequentazioni privi di ogni valenza illecita.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa
applicazione della legge n. 1423 del 1956 in relazione alla durata della
impugnata misura di prevenzione per la computabilità del tempo di applicazione
di precedente misura indebitamente sofferta.
Secondo il ricorrente, la circostanza che egli sia stato già sottoposto a
misura di prevenzione per la durata di due anni, ridotta a un anno quando aveva
già scontato l’intero periodo, comporta che, in applicazione del principio di
fungibilità e trattandosi di misure analoghe, il periodo in cui ha indebitamente
subito la sorveglianza speciale debba essere considerato come tempo trascorso
in esecuzione della misura di prevenzione disposta successivamente.
Tale conclusione è coerente con una interpretazione costituzionalmente
orientata delle disposizioni in materia, a tutela della effettività del principio di
uguaglianza e dei diritti del soggetto illegalmente sottoposto a misura limitativa
della libertà e privo di diversi, idonei e diretti strumenti riparatori, dovendo
altrimenti sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 legge n.
1423 del 1956 (ora art. 15 d.lgs. n. 159 del 2011) nella parte in cui non prevede
che il tempo di sottoposizione alla specifica misura di sorveglianza speciale di
pubblica sicurezza, in seguito dichiarata totalmente e/o parzialmente illegittima,
non è computato nella durata della medesima misura di sorveglianza speciale di
pubblica sicurezza, successivamente disposta.

4

Anche le presunte frequentazioni con persone pregiudicate sono state solo

4. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato articolata
requisitoria scritta, concludendo per la declaratoria di inammissibilità del ricorso
per la correttezza e completezza della motivazione, correlata alle risultanze in
atti, valutate nel quadro di principi normativi esattamente interpretati e applicati,
quanto al primo motivo, e per la deduzione solo in sede di legittimità della
chiesta fungibilità della presofferta misura di prevenzione personale e per
l’omessa indicazione dei parametri costituzionali asseritamente violati, quanto al

5. In data 2 luglio 2013 è pervenuta memoria del ricorrente, che, in replica
alle conclusioni del Procuratore Generale, insiste nell’accoglimento del ricorso
ulteriormente specificando quanto in esso dedotto e rappresentando, con
riguardo ai profili di costituzionalità sollevati con riferimento all’art. 12 legge n.
1423 del 1956, la evidente violazione degli artt. 3, 13 e 27 Cost.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va fatta, innanzitutto, una premessa di carattere generale con riferimento
all’ambito del controllo riservato a questa Corte in materia di misure di
prevenzione.
1.1. Si rileva, al riguardo, che l’art. 4, comma 11, legge n. 1423 del 1956,
recante “Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la
sicurezza [e per la moralità pubblica]”, limita alla sola violazione di legge il
ricorso contro il decreto della corte di appello, e che tale limitazione è applicabile
anche con riguardo ai provvedimenti di natura patrimoniale in base al richiamo
operato dall’art. 3 ter, comma 2, legge n. 575 del 1965.

Nel concetto di violazione di legge, come indicato negli artt. 111 della
Costituzione e 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., rientrano la
mancanza assoluta di motivazione e la presenza di motivazione meramente
apparente, in quanto correlata alla inosservanza da parte del giudice di merito
dell’obbligo, previsto dall’art. 4 legge n. 1423 del 1956, di provvedere con
decreto motivato (tra le altre, Sez. 6, n. 15107 del 17/12/2003, dep.
30/03/2004, Criaco, Rv. 229305; Sez. 6 n. 35044 del 08/03/2007, dep.
18/09/2007, Bruno, Rv. 237277; Sez. 5, n. 19598 del 08/04/2010,
dep. 24/05/2010, Palermo, Rv. 247514), mentre non vi rientrano anche la
mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione,
suscettibili di denuncia nel giudizio di legittimità soltanto attraverso lo specifico e
autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
(tra le altre, Sez. 6, n. 21250 del 04/06/2003, ric. P.M. in proc. De Palo, Rv.
225578; Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.
5

secondo motivo.

Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. 5 n. 25621 del 23/05/2006, dep. 24/07/2006,
Copelli e altro, Rv. 234523).
1.2. Tali principi, che il Collegio condivide e riafferma, sono coerenti con i
parametri costituzionali, come affermato dalla Corte costituzionale, con sentenza
n. 321 del 2004, nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 11,
legge n. 1423 del 1956, promosso da questa Corte con ordinanza del 26
novembre 2003.
La Corte costituzionale con detta sentenza, nel dichiarare non fondata la

Cost., ha, in particolare, rilevato che il presupposto interpretativo secondo cui la
suddetta norma, limitando alla sola violazione di legge il ricorso contro il decreto
della corte di appello che ha applicato la misura di sicurezza della sorveglianza
speciale, esclude la sua ricorribilità in cassazione per vizio di manifesta illogicità
della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e),
cod. proc. pen., non si traduce nella violazione delle norme costituzionali
invocate, posto che il procedimento di prevenzione, il processo penale e il
procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza sono dotati di proprie
peculiarità, sia sul terreno processuale sia nei presupposti sostanziali, e non sono
quindi comparabili, e le forme di esercizio del diritto di difesa possono essere
diversamente modulate in relazione alle caratteristiche di ciascun procedimento,
quando di tale diritto sono comunque assicurati lo scopo e la funzione, con la
conseguenza che i vizi della motivazione possono essere variamente considerati
a seconda del tipo di decisione cui ineriscono.

2. Deve anche rilevarsi in via preliminare, avendone il ricorso fatto ragione
di censura, che la pericolosità per la pubblica sicurezza, quale condizione per
l’applicazione della misura di prevenzione, in particolare ai sensi dell’art. 1 legge
n. 1423 del 1956, deve sussistere in capo al proposto in termini di attualità,
dovendo essere effettiva e attuale e non meramente potenziale (Corte Cost.,
sent. n. 32 del 27/02/1969; Corte Cost., ord. n. 384 del 29/10/1987), ed essere
desunta da fatti e comportamenti, che, pregressi rispetto al momento valutativo
e accertati al momento dell’applicazione della misura (Sez. 1, n. 4952 del
31/10/1994, dep. 17/01/1995, Zullo, Rv. 200325; Sez. 5, n. 1520 del
17/03/2000, dep. 06/04/2000, Cannella, Rv. 215833), siano sintomatici o
rivelatori della persistenza del proposto in comportamenti antisociali che
impongono una particolare vigilanza (Sez. 1, n. 3866 del 21/10/1991,
dep. 11/11/1991, Bonura, Rv. 188804), restando irrilevanti pregresse
manifestazioni di pericolosità sociale o fatti remoti, anche se accompagnati da
informazioni negative degli organi di polizia, quando tali informazioni non
pongano in rilievo ulteriori e specifici elementi atti a dimostrare la sussistenza
6

questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento agli artt. 3 e 24

del detto requisito (Sez. 1, n. 499 del 03/02/1992, dep. 16/03/1992, Ubaldini,
Rv. 189506).
In materia di applicazione di misure di prevenzione il giudizio di pericolosità
presuppone, infatti, una oggettiva valutazione di fatti sintomatici della condotta
abituale e del tenore di vita del proposto, da accertare in modo tale da escludere
valutazioni meramente soggettive da parte dell’autorità proponente, il cui
giudizio può basarsi anche su elementi che giustifichino sospetti o presunzioni,
purché obiettivamente accertati, come i precedenti penali, l’esistenza di recenti

soggetti sottoposti a misure di prevenzione, e altre manifestazioni
oggettivamente contrastanti con la sicurezza pubblica, in modo che risulti
esaminata globalmente l’intera personalità del soggetto come risultante da tutte
le manifestazioni sociali della sua vita (Sez. 5, n. 6794 del 14/12/1998,
dep. 25/01/1999, P.M. in proc. Musso e altri, Rv. 212209), e richiede una
puntuale esplicitazione delle ragioni, ancorate a dati oggettivi, che fanno ritenere
che gli effetti di tali elementi incidano, con riferimento al momento in cui deve
essere formulato il giudizio, sulla valutazione della personalità del soggetto, sì da
dedurre l’attualità della pericolosità (Sez. 6, n. 1606 del 26/04/1995,
dep. 27/05/1995, Guzzino, Rv. 201526; Sez. 5, n. 34150 del 22/09/2006,
dep. 12/10/2006, Commisso, Rv. 235203; Sez. 1, n. 17932 del 10/03/2010,
dep. 11/05/2010, De Carlo, Rv. 247052; Sez. 5, n. 19061 del 31/03/2010,
dep. 19/05/2010, Spina, Rv. 247502).

3. L’esame del primo motivo del ricorso deve, quindi, procedere avendo
riguardo all’indicato ambito del controllo riservato a questa Corte, ai predetti
condivisi principi, agli elementi – come sintetizzati nella parte espositiva – ritenuti
nel decreto della Corte di appello tali da confermare il decreto di primo grado e ai
rilievi – pure già sintetizzati – espressi dal ricorrente.
3.1. La Corte di appello, nell’affrontare il tema specifico oggetto di censura
da parte dell’appellante, ha ritenuto che assumevano valore dimostrativo della
sua pericolosità le vicende che avevano connotato la sua storia personale
successiva alla sua sottoposizione, fino al 28 dicembre 2002, alla misura di
prevenzione della sorveglianza speciale, e cadenzata dalla commissione di vari
reati, che, segnalati nelle note informative ed emergenti dalle certificate
pendenze, lo rappresentavano come soggetto versato al crimine.
3.1.1. La Corte, che ha anche rimarcato l’elevato tenore di vita del proposto,
non giustificato dalla sua condizione di disoccupato e dai modesti redditi da lui
percepiti dal 2010, non ha neppure prescisso dall’analisi critica degli ulteriori
elementi disponibili.

7

denunzie per gravi reati, il tenore di vita, l’abituale compagnia di pregiudicati e di

Essa, infatti, ha dapprima coerentemente rilevato i dati oggettivi riferibili al
proposto: pendenza, tra le altre, al 31 marzo 2010 di procedimento penale per il
reato di cui all’art. 12-quinquies legge n. 356 del 1992, aggravato dall’art. 7
legge n. 203 del 1991; ritrovamento in sede di perquisizione nel novembre 2004
di ingenti some di denaro, occultate in un passeggino e indosso alla mogie e non
giustificate quanto alla loro provenienza; segnalazione nel 2007 della sua
presenza a bordo di una costosa autovettura intestata alla madre di Pizzata
Saverio Salvatore, per il favoreggiamento della cui latitanza era stato arrestato

nella nota informativa a far data dal 22 marzo 2001 e fino al 14 maggio 2009.
La Corte ha, quindi, ragionevolmente rappresentato che, se la mancanza di
certezze circa l’affiliazione del proposto alla ‘ndrangheta non era rilevante ai fine
dell’applicazione della disposta misura, la circostanza che molti dei pregiudicati
segnalati in sua compagnia fossero suoi congiunti e che la famiglia di cui era
membro fosse notoriamente legata alla ‘ndrangheta, in luogo di giustificare la
sue frequentazioni, connotava negativamente il suo stile di vita, ponendosi le
stesse indicate allarmanti frequentazioni come dimostrative dell’attualità, e
quindi della sussistenza, della pericolosità al momento rilevante del giudizio di
primo grado.
3.1.2. L’analisi svolta in continuità argomentativa con il decreto di primo
grado, le cui ampie motivazioni sono state condivise, ha riguardato anche le
rappresentate condizioni psichiche del proposto, la loro assoluta indifferenza
rispetto ai comportamenti illeciti del medesimo e la riconducibilità di questi ultimi
al “contesto sociale e familiare intriso di mafiosità nel quale egli è cresciuto e
continua a vivere”, e, in correlazione con la produzione difensiva, le emergenze
della relazione medica depositata nel giudizio di appello, non escludenti la
compatibilità delle patologie, per le quali il proposto è risultato monitorato e
curato, con gli obblighi connessi alla misura disposta a suo carico.
3.2. La motivazione, condotta in modo articolato e diffuso, nel quadro di
principi normativi esattamente interpretati e correttamente applicati, in un
contesto fattuale non pretermesso né sottovalutato, e in espressa coerenza con i
rilievi difensivi, argomentativamente ritenuti infondati, non rientra nel parametro
dell’assoluta mancanza o dell’apparenza che solo giustificherebbe la violazione di
legge, riconducendosi, pertanto, le osservazioni e le deduzioni del ricorrente,
riferite alla contestata ricorrenza del presupposto dell’attualità della pericolosità,
reiterative dei rilievi opposti con il ricorso in appello e solo formalmente
evocative di violazione di legge e di motivazione apparente, a doglianze attinenti
alla logicità della motivazione e al merito delle valutazioni – cui sono contrapposti
diversi percorsi interpretativi e alternativi apprezzamenti – non consentite per
legge nei confronti del decreto in esame.
8

LI

nel 1996; segnalazioni di frequentazioni costanti e attuali di pregiudicati, indicate

3.3. Il primo motivo, richiamato sub A) della memoria di replica, deve
essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

4. Inammissibile è anche il secondo motivo, ripreso con le osservazioni di
cui al punto B) della memoria di replica, attinente alla ritenuta applicazione del
principio di fungibilità della presofferta misura di prevenzione personale.
4.1. La doglianza è, infatti, preclusa in questa sede ai sensi dell’art. 606,
comma 3, cod. proc. pen. poiché non ha formato oggetto dei motivi di appello

dep. 15/09/1999, Piepoli, Rv. 213981; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999,
dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214793). Né si tratta di questione di diritto insorta
dopo il giudizio di secondo grado in forza di ius superveniens o di modificazione
della disposizione normativa di riferimento conseguente all’intervento demolitorio
o additivo della Corte costituzionale (Sez. 1, n. 2378 del 14/11/1983,
dep. 17/03/1984, Guner Cuma, Rv. 163151; Sez. 4, n. 4853 del 03/12/2003,
dep. 06/02/2004, Criscuolo e altri, Rv. 229373).
4.2. La deduzione svolta è, tuttavia, anche manifestamente infondata,
poiché, come correttamente evidenziato nella sua condivisibile requisitoria scritta
dal Procuratore Generale presso questa Corte, la decisione di legittimità evocata
dal ricorrente a sostegno della richiesta (Sez. 1, n. 37835 del 24/10/2006,
dep. 16/11/2006, P.G. in proc. Dieni, Rv. 234983) attiene al diverso tema della
fungibilità di una custodia cautelare relativa a reato commesso prima dell’inizio
della misura di prevenzione ed è, dunque, non invocabile in relazione a una sorta
di “credito” spendibile per una futura misura di prevenzione relativa a una
pericolosità emersa successivamente al pregresso presofferto.
4.3. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 legge n. 1423 del
1956, non sottoposta all’esame della Corte di appello e genericamente dedotta
con il ricorso senza la indicazione dei parametri costituzionali asseritamente
violati, poi introdotti con le argomentazione sub C) della memoria di replica, è
priva di rilevanza in questo giudizio in quanto funzionale alla richiesta di
fungibilità della presofferta misura di prevenzione, invece inammissibile.
Essa è comunque manifestamente infondata, poiché poggia su una
insussistente analogia tra situazioni diverse come evidenziato sub 4.2., essendo
diversa l’ipotesi in cui, nel corso dell’esecuzione della sorveglianza speciale già
applicata al prevenuto, sopravvenga la detenzione dello stesso in custodia
cautelare per un precedente reato in ordine al quale venga poi pronunciato il
proscioglimento, e l’ipotesi in cui a una misura di prevenzione, dichiarata, dopo
la sua intera esecuzione, totalmente o parzialmente illegittima, segua, sulla base
dell’accertata pericolosità sociale sopravvenuta, altra misura di prevenzione, e

9

avverso il decreto di primo grado, (Sez. U, n. 15 del 30/06/1999,

ponendosi la seconda ipotesi in contrasto con la rilevanza giuridica delle ragioni
che fondano la disposizione normativa di cui all’art. 657 cod. proc. pen.

5. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il
contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma,

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

ritenuta congrua, di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

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