Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 51232 del 20/10/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 51232 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
KAABAR YASSINE N. IL 08/04/1985
avverso l’ordinanza n. 440/2014 GIP TRIBUNALE di VERONA, del
11/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
lette/s9tde le conclusioni del PG Dott. 1 2)-<\12.1.) (1)-rc-to UThL__ -322 , ..V\t)P 5- 7)ThN Uditi difen Avv.; Data Udienza: 20/10/2015 • RITENUTO IN FATTO 1. Con il decreto indicato in epigrafe, il G.I.P. del Tribunale di Verona dichiarava inammissibile, in quanto manifestamente infondata, la richiesta del P.M. di rideterminazione della pena applicata con sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. a Kaabar Yassine per il reato di cui all'art. 73 d.P.R. 309 del 1990 avente ad oggetto stupefacente di tipo hashish, ritenendo che la pena base concordata dalle parti fosse rimasta legale anche dopo la pronuncia della Corte 2. Ricorre per cassazione Kaabar Yassine, deducendo violazione di legge: se era vero che la pena concordata è ancora "legittima" con la normativa attualmente in vigore, ciò non vale ad escluderne la rideterminazione secondo un criterio aritmetico proporzionale che tenga conto dei nuovi limiti di pena. Il ricorrente conclude per l'annullamento del provvedimento impugnato. 3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per l'annullamento con rinvio del decreto impugnato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato. Sul tema del ricorso - oggetto di disputa teorica e di contrastanti orientamenti giurisprudenziali - sono di recente intervenute le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 42858 del 29.5.2014 (dep. 14.10.2014) ric. Gatto. L'opzione interpretativa seguita in detto arresto - cui si presta adesione ritiene superabile il limite del giudicato anche nei casi in cui la declaratoria di illegittimità costituzionale riguardi una norma incidente sul trattamento sanzionatorio, senza coinvolgere la rilevanza penale del fatto. La motivazione si incentra - essenzialmente - sulla diversità ontologica tra una pronuncia di incostituzionalità e un 'ordinario' intervento legislativo basato, il secondo, sulla rivalutazione - in rapporto al decorso del tempo e a mutate sensibilità sociali, storiche o culturali - del contenuto di norme penali. La pronunzia di incostituzionalità, invece, inficia sin dall'origine la disposizione impugnata e pertanto non è in alcun modo omologabile alla vicenda della successione di leggi nel tempo: la norma costituzionalmente illegittima viene espunta dall'ordinamento giuridico e ciò impone e giustifica l'efficacia «retroattiva» della pronuncia di incostituzionalità sugli effetti ancora in corso di Costituzionale n. 32 del 2014. rapporti giuridici pregressi. Da ciò deriva che «tutti gli effetti pregiudizievoli derivanti da una sentenza penale di condanna fondata, sia pure in parte, sulla norma dichiarata incostituzionale devono essere rimossi dall'universo giuridico, ovviamente nei limiti in cui ciò sia possibile, non potendo essere eliminati gli effetti irreversibili perché già compiuti e del tutto consumati». La norma regolatrice viene individuata, per l'appunto, nella previsione dell'art. 30 comma 4 legge n. 87 del 1953 ("quando in applicazione della norma ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali"), il cui ambito applicativo non si limita ad imporre la retroattività delle decisioni aventi ad oggetto la rilevanza penale del fatto ma si estende al caso di declaratoria di incostituzionalità di norma penale diversa ed 'incidente' sulla determinazione della pena. Pertanto, la formazione del giudicato e il mancato riferimento, nell'art. 673 cod. proc. pen., all'ipotesi di declaratoria di incostituzionalità di norma penale incidente sul trattamento sanzionatorio non ostano alla estensione in sede esecutiva degli effetti di pronunzie di questo tipo. 2. Il limite per la rilevanza della pronunzia di incostituzionalità rispetto al giudicato è così individuato dalla citata sentenza delle Sezioni Unite: "... l'aspetto decisivo, che segna invece il limite non discutibile di impermeabilità e insensibilità del giudicato anche alla situazione di sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della norma applicata è costituito dalla non reversibilità degli effetti, giacché il citato art. 30 impone di rimuovere tutti gli effetti pregiudizievoli del giudicato non divenuti nel frattempo irreversibili perché già consumati, come nel caso di condannato che abbia già scontato la pena...; l'esecuzione della pena implica infatti l'esistenza di un rapporto esecutivo che nasce dal giudicato e si esaurisce soltanto con la consumazione o l'estinzione della pena. Sino a quando l'esecuzione della pena è in atto, il rapporto esecutivo non può dirsi esaurito e gli effetti della norma dichiarata costituzionalmente illegittima sono ancora perduranti e dunque possono e devono essere rimossi." In effetti, "il diritto fondamentale alla libertà personale deve prevalere sul valore dell'intangibilità del giudicato, sicché devono essere rimossi gli effetti ancora perduranti della violazione conseguente all'applicazione di tale norma incidente sulla determinazione della sanzione, dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale dopo la sentenza irrevocabile". Il giudice dell'esecuzione deve, quindi, verificare la rilevanza della pronuncia di illegittimità costituzionale nel caso concreto, non potendo intervenire sul titolo 3 dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, esecutivo se l'effetto della norma dichiarata incostituzionale sia esaurito per aver già dato luogo alla esecuzione integrale della pena. 3. La sentenza delle Sezioni Unite verteva sulla valutazione degli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 251 del 2012, che aveva dichiarato l'illegittimità del divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73 comma 5 d.P.R. 309 del 1990 sulla recidiva reiterata. La Corte ha affermato che, se il mancato esito del giudizio di comparazione 4 cod. pen.) l'esecuzione della pena deve ritenersi illegittima sia sotto il profilo oggettivo, in quanto derivante dall'applicazione di una norma di diritto penale sostanziale dichiarata incostituzionale dopo la sentenza irrevocabile, sia sotto il profilo soggettivo, in quanto, almeno per una parte, non potrà essere positivamente finalizzata alla rieducazione del condannato imposta dalla previsione dell'art. 27, comma 3, Cost.. Infatti, l'illegittimità della pena costituisce un ostacolo al perseguimento di tali obiettivi rieducativi, perché sarà avvertita come ingiusta da chi la sta subendo, per essere stata non già determinata dal giudice nell'esercizio dei suoi ordinari e legittimi poteri, ma imposta da un legislatore che ha violato la Costituzione. Quanto ai poteri del giudice dell'esecuzione, le Sezioni Unite hanno evidenziato due aspetti di particolare rilievo: - il limite del «fatto accertato» nella pronunzia di cognizione non può essere superato, nel senso che - in rapporto al tema oggetto della decisione - il giudice della esecuzione potrà pervenire al giudizio di prevalenza della circostanza attenuante (prima inibito) sempre che lo stesso non sia stato precedentemente escluso nel giudizio di cognizione per ragioni di merito (indipendenti dalla esistenza, allora, del divieto di legge e valorizzate come tali); - il potere di verifica della legittimità del trattamento sanzionatorio va esteso agli ulteriori accadimenti medio tempore incidenti sulle norme applicate, all'epoca, dal giudice della cognizione (vi è riferimento espresso alle ricadute della decisione n. 32 del 2014 sui contenuti della legge n. 49 del 2006, di conversione del d.l. n. 272 del 2005). Sulla scorta di questa ricostruzione sistematica, le Sezioni unite hanno affermato i seguenti principi di diritto: «successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione d'illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la 4 nel senso della prevalenza sia dipeso dal divieto di legge rimosso (art. 69 comma rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del giudice dell'esecuzione»; «per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 251 del 2012 ... il giudice dell'esecuzione potrà affermare la prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990 sennpreché una simile valutazione non sia stata esclusa nel merito dal giudice della cognizione, secondo quanto risulta dal testo della sentenza irrevocabile». valutazioni: a) verifica dell'incidenza concreta della decisione irrevocabile, all'atto della domanda, sulla libertà personale per essere in effettiva esecuzione la pena derivante - anche in parte - da norma di diritto sostanziale dichiarata incostituzionale; b) in caso positivo, ricostruzione del contenuto della decisione irrevocabile nel senso della 'concreta incidenza' sul trattamento sanzionatorio determinato in sede di cognizione della specifica norma (in questo caso l'art. 73 d.P.R. 309 del 1990) dichiarata incostituzionale, con conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio, tenendo conto della compiuta ricostruzione del fatto da parte del giudice della cognizione nonché delle norme applicabili al momento della decisione in punto di commisurazione della sanzione. Come è noto, la sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 ha dichiarato illegittima la novellazione all'originario testo dell'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 apportata con d. I. n. 272 del 30 dicembre 2005 (artt. 4-bis e 4vicies ter) convertito in legge n. 49 del 21 febbraio 2006. L'effetto della pronunzia di incostituzionalità è stato quello di «riespandere» la previgente disciplina incriminatrice e le correlate diverse sanzioni per i fatti commessi dal 28 febbraio 2006 al 6 marzo 2014. Pertanto, se il soggetto destinatario della esecuzione è stato condannato per fatto rientrante in detto intervallo temporale, sono applicabili i principi affermati dalla sentenza delle Sezioni Unite prima ricordata, trattandosi di pronuncia che riguarda la legittimità del trattamento sanzionatorio vigente all'epoca della decisione del giudice della cognizione. In particolare, risulta in ogni caso "illegale" il trattamento sanzionatorio delle condotte illecite concernenti le droghe cd. 'leggere' (ossia le sostanze rientranti nelle tabelle II e IV allegate al d.P.R. del 1990), atteso che, in relazione a tali sostanze, l'intervento normativo dichiarato illegittimo aveva comportato (a differenza di quanto previsto per le altre sostanze) un massiccio incremento dei limiti edittali della sanzione 5 4. Il giudice dell'esecuzione, in particolare, è tenuto a compiere le seguenti detentiva: il mimino edittale della condotta ordinaria era stato innalzato da 2 a 6 anni di reclusione, quello della condotta attenuata da sei mesi a un anno di reclusione; il massimo edittale era stato innalzato da 6 a 20 anni di reclusione nell'ipotesi ordinaria e da 4 a 6 anni di reclusione per l'ipotesi attenuata. 5. Ora, posto che l'operazione di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen. commisurazione della pena - è frutto di una scelta che il giudice della cognizione compie, con discrezionalità guidata, in un ambito legislativamente definito tra il declaratoria di incostituzionalità rende necessaria - in ipotesi di condanna per 'droghe leggere' - una rivalutazione piena di tale aspetto in sede esecutiva, che il giudice dell'esecuzione deve compiere tenendo conto del «fatto», così come accertato da quello della cognizione, ma non anche dei termini matematici espressi da tale giudice - in rapporto alla scelta tra minimo e massimo edittale trattandosi di scelte operate in un quadro normativo alterato dal criterio legislativo (legge del 2006) teso a «parificare» il disvalore di condotte tra loro diverse (in rapporto alla tipologia di sostanze oggetto delle condotte). In altre parole, che se da un lato risulta doverosa ed obbligatoria, alla luce di quanto sopra, la rideterminazione in sede esecutiva della pena inflitta in rapporto ad una squilibrata (e costituzionalmente illegittima) cornice edittale, dall'altro non può escludersi che - con valutazione in concreto e rispettosa del «fatto accertato» - il giudice dell'esecuzione possa rivalutarne la valenza in rapporto ai «nuovi» e profondamente diversi parametri edittali, ovviamente dando conto (ex artt. 132 e 133 cod. pen.) delle modalità di esercizio del potere commisurativo e tenendo conto dei principi generali del sistema sanzionatorio (tra cui quello per cui non può essere aumentata l'afflittività della pena stabilita nella sentenza di condanna). Va precisato, inoltre che la decisione emessa dal giudice della esecuzione, in ipotesi di accoglimento dell'istanza e rideterminazione del trattamento sanzionatorio, assume una valenza sostitutiva di un titolo esecutivo (la precedente decisione irrevocabile) solo in tale parte non più eseguibile, che andrà pertanto integrato, in punto di entità della pena, dalla decisione emessa in sede esecutiva (peraltro anch'essa ricorribile per cassazione ai sensi dell'art. 666 comma 6 cod. proc. pen.) secondo uno schema procedimentale non estraneo al procedimento di esecuzione (si pensi a quanto previsto e regolamentato dall'art. 671 cod. proc. pen., norma che - a diverso fine - consente la modifica in esecuzione dell'entità del trattamento sanzionatorio correlato a decisioni parimenti irrevocabili circa l'an della responsabilità). 6 minimo e il massimo edittale, il profondo mutamento di «cornice» derivante dalla Non si tratta, pertanto, di una revoca del precedente titolo (non versandosi in ipotesi applicativa dell'art. 673 cod. proc. pen.) ma di una sua parziale rinnovazione e integrazione per quanto concerne l'entità della pena, con ogni conseguenza di legge. 6. Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 37107 del 26/2/2015, hanno successivamente affermato i medesimi principi con riferimento alla pena applicata su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc. pen., stabilendo che "La delitti previsti dall'art. 73 d.P.R. 309 del 1990, relativi alle droghe c.d. leggere, divenuta irrevocabile prima della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, può essere rideterminata in sede di esecuzione in quanto pena illegale"; "la rideterminazione avviene ad iniziativa delle parti, con le modalità di cui al procedimento previsto dall'art. 188 disp. att. cod. proc. pen., sottoponendo al giudice dell'esecuzione una nuova pena su cui è stato raggiunto l'accordo"; "in caso di mancato accordo o di pena concordata ritenuta non congrua il giudice dell'esecuzione provvede autonomamente alla rideterminazione della pena ai sensi degli artt. 132 e 133 cod. pen.". L'ordinanza impugnata deve quindi essere annullata con rinvio al G.I.P. del Tribunale di Verona che, previo ricorso alla procedura di cui all'art. 188 disp. att. cod. proc. pen., provvederà a rideterminare la pena inflitta in applicazione dei principi fin qui enunciati. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo esame al G.I.P. del Tribunale di Verona. Così deciso il 20 ottobre 2015 Il Consigliere estensore Il Presidente pena applicata con la sentenza di patteggiamento avente ad oggetto uno o più

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