Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 51228 del 20/10/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 51228 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MOUGHALU EVANS ONYEWELU N. IL 01/01/1978
avverso l’ordinanza n. 869/2013 TRIBUNALE di GENOVA, del
15/09/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
lette/s„enfite le conclusioni del PG Dott.

3e122P-3))•Cffi’2,q

Uditi difen r Avv.;

Data Udienza: 20/10/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il G.I.P. del Tribunale di Genova, in
funzione di giudice dell’esecuzione, provvedendo sulle richieste del P.M. e del
difensore, revocava il beneficio della sospensione condizionale della pena
concesso a Moughalu Evans Onyewelu con sentenza dello stesso Tribunale del
19/12/2011 in ragione della successiva condanna alla pena di anni due e mesi
nove e giorni dieci di reclusione ed euro 12.200 di multa pronunciata dallo stesso
G.U.P. con sentenza del 20/12/2012 e rigettava la richiesta difensiva di

emesse per il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del 1990 – in conseguenza della
sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014.
Il

Giudice

riconosceva

la

doverosità

dell’intervento

del

giudice

dell’esecuzione, tenuto a revocare la determinazione della pena divenuta
illegittima; peraltro, aggiungeva che l’intervento doveva essere limitato a
ricondurre la pena nell’alveo della legalità, non avendo il Giudice dell’esecuzione
una possibilità illimitata di intervenire sulla valutazione della pena, non potendo
violare il giudicato. In definitiva, secondo il Giudice, era possibile esclusivamente
revocare la parte di pena inflitta che risultava superiore ai limiti edittali
reintrodotti dalla pronuncia della Corte Costituzionale.
Applicando questi principi, il giudice rigettava la richiesta concernente la
prima delle due sentenze di condanna in ragione dell’applicazione in quella sede
dell’attenuante di cui all’art. 73, comma 5 d.P.R. 309 del 1990 che non era stata
oggetto della pronuncia di illegittimità costituzionale; nonché quella concernente
la seconda sentenza, poiché con essa il giudice aveva adottato la pena base di
anni sei di reclusione ed euro 27.000 di multa, rientrante nei limiti edittali attuali
e, quindi, non illegale.

2.

Ricorre per cassazione il difensore di Moughalu Evans Onyewelu,

deducendo erronea applicazione dell’art. 73 d.P.R. 309 del 1990 e dell’art. 670
cod. proc. pen..
Contrariamente a quanto ritenuto nell’ordinanza impugnata, il giudice
dell’esecuzione è facoltizzato a riparannetrare la pena secondo criteri riferibili sia
ai limiti edittali che agli indici di cui all’art. 133 cod. pen..
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

3.

Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per

l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

rideternninazione delle pene inflitte con le due sentenze di condanna – entrambe

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

Sul tema del ricorso – oggetto di disputa teorica e di contrastanti
orientamenti giurisprudenziali – sono di recente intervenute le Sezioni Unite di
questa Corte con sentenza n. 42858 del 29.5.2014 (dep. 14.10.2014) ric. Gatto.
L’opzione interpretativa seguita in detto arresto – cui si presta adesione –

illegittimità costituzionale riguardi una norma incidente sul trattamento
sanzionatorio, senza coinvolgere la rilevanza penale del fatto.
La motivazione si incentra – essenzialmente – sulla diversità ontologica tra
una pronuncia di incostituzionalità e un ‘ordinario’ intervento legislativo basato, il
secondo, sulla rivalutazione – in rapporto al decorso del tempo e a mutate
sensibilità sociali, storiche o culturali – del contenuto di norme penali.
La pronunzia di incostituzionalità, invece, inficia sin dall’origine la
disposizione impugnata e pertanto non è in alcun modo ornologabile alla vicenda
della successione di leggi nel tempo: la norma costituzionalmente illegittima
viene espunta dall’ordinamento giuridico e ciò impone e giustifica l’efficacia
«retroattiva» della pronuncia di incostituzionalità sugli effetti ancora in corso di
rapporti giuridici pregressi.
Da ciò deriva che «tutti gli effetti pregiudizievoli derivanti da una sentenza
penale di condanna fondata, sia pure in parte, sulla norma dichiarata
incostituzionale devono essere rimossi dall’universo giuridico, ovviamente nei
limiti in cui ciò sia possibile, non potendo essere eliminati gli effetti irreversibili
perché già compiuti e del tutto consumati».
La norma regolatrice viene individuata, per l’appunto, nella previsione
dell’art. 30 comma 4 legge n. 87 del 1953 (“quando in applicazione della norma
dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna,
ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali”), il cui ambito applicativo non
si limita ad imporre la retroattività delle decisioni aventi ad oggetto la rilevanza
penale del fatto ma si estende al caso di declaratoria di incostituzionalità di
norma penale diversa ed ‘incidente’ sulla determinazione della pena.
Pertanto, la formazione del giudicato e il mancato riferimento, nell’art. 673
cod. proc. pen., all’ipotesi di declaratoria di incostituzionalità di norma penale
incidente sul trattamento sanzionatorio non ostano alla estensione in sede
esecutiva degli effetti di pronunzie di questo tipo.
Il limite per la rilevanza della pronunzia di incostituzionalità rispetto al
giudicato è così individuato dalla citata sentenza delle Sezioni Unite: “… l’aspetto

ritiene superabile il limite del giudicato anche nei casi in cui la declaratoria di

decisivo, che segna invece il limite non discutibile di impermeabilità e
insensibilità del giudicato anche alla situazione di sopravvenuta declaratoria di
illegittimità costituzionale della norma applicata è costituito dalla non reversibilità
degli effetti, giacché il citato art. 30 impone di rimuovere tutti gli effetti
pregiudizievoli del giudicato non divenuti nel frattempo irreversibili perché già
consumati, come nel caso di condannato che abbia già scontato la pena…;
l’esecuzione della pena implica infatti l’esistenza di un rapporto esecutivo che
nasce dal giudicato e si esaurisce soltanto con la consumazione o l’estinzione

non può dirsi esaurito e gli effetti della norma dichiarata costituzionalmente
illegittima sono ancora perduranti e dunque possono e devono essere rimossi.”
In effetti, “il diritto fondamentale alla libertà personale deve prevalere sul valore
dell’intangibilità del giudicato, sicché devono essere rimossi gli effetti ancora
perduranti della violazione conseguente all’applicazione di tale norma incidente
sulla determinazione della sanzione, dichiarata illegittima dalla Corte
costituzionale dopo la sentenza irrevocabile”.
Il giudice dell’esecuzione deve, quindi, verificare la rilevanza della pronuncia
di illegittimità costituzionale nel caso concreto, non potendo intervenire sul titolo
esecutivo se l’effetto della norma dichiarata incostituzionale sia esaurito per aver
già dato luogo alla esecuzione integrale della pena.

2. La sentenza delle Sezioni Unite verteva sulla valutazione degli effetti della
sentenza della Corte Costituzionale n. 251 del 2012, che aveva dichiarato
l’illegittimità del divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art.
73 comma 5 d.P.R. 309 del 1990 sulla recidiva reiterata.
La Corte ha affermato che, se il mancato esito del giudizio di comparazione
nel senso della prevalenza sia dipeso dal divieto di legge rimosso (art. 69 comma
4 cod. pen.) l’esecuzione della pena deve ritenersi illegittima sia sotto il profilo
oggettivo, in quanto derivante dall’applicazione di una norma di diritto penale
sostanziale dichiarata incostituzionale dopo la sentenza irrevocabile, sia sotto il
profilo soggettivo, in quanto, almeno per una parte, non potrà essere
positivamente finalizzata alla rieducazione del condannato imposta dalla
previsione dell’art. 27, comma 3, Cost.. Infatti, l’illegittimità della pena
costituisce un ostacolo al perseguimento di tali obiettivi rieducativi, perché sarà
avvertita come ingiusta da chi la sta subendo, per essere stata non già
determinata dal giudice nell’esercizio dei suoi ordinari e legittimi poteri, ma
imposta da un legislatore che ha violato la Costituzione.

Quanto ai poteri del giudice dell’esecuzione, le Sezioni Unite hanno

della pena. Sino a quando l’esecuzione della pena è in atto, il rapporto esecutivo

evidenziato due aspetti di particolare rilievo:
– il limite del «fatto accertato» nella pronunzia di cognizione non può essere
superato, nel senso che – in rapporto al tema oggetto della decisione – il giudice
della esecuzione potrà pervenire al giudizio di prevalenza della circostanza
attenuante (prima inibito) sempre che lo stesso non sia stato precedentemente
escluso nel giudizio di cognizione per ragioni di merito (indipendenti dalla
esistenza, allora, del divieto di legge e valorizzate come tali);
– il potere di verifica della legittimità del trattamento sanzionatorio va esteso
medio tempore

incidenti sulle norme applicate,

all’epoca, dal giudice della cognizione (vi è riferimento espresso alle ricadute
della decisione n. 32 del 2014 sui contenuti della legge n. 49 del 2006, di
conversione del d.l. n. 272 del 2005).
Sulla scorta di questa ricostruzione sistematica, le Sezioni unite hanno
affermato i seguenti principi di diritto: «successivamente a una sentenza
irrevocabile di condanna, la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una
norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il
trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena, che non sia
stata interamente espiata, da parte del giudice dell’esecuzione»;
«per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 251 del 2012 … il
giudice dell’esecuzione potrà affermare la prevalenza della circostanza
attenuante di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990 sempreché una
simile valutazione non sia stata esclusa nel merito dal giudice della cognizione,
secondo quanto risulta dal testo della sentenza irrevocabile».

3. Il giudice dell’esecuzione, in particolare, è tenuto a compiere le seguenti
valutazioni:
a) verifica dell’incidenza concreta della decisione irrevocabile, all’atto della
domanda, sulla libertà personale per essere in effettiva esecuzione la pena
derivante – anche in parte – da norma di diritto sostanziale dichiarata
incostituzionale;
b) in caso positivo, ricostruzione del contenuto della decisione irrevocabile
nel senso della ‘concreta incidenza’ sul trattamento sanzionatorio determinato in
sede di cognizione della specifica norma (in questo caso l’art. 73 d.P.R. 309 del
1990) dichiarata incostituzionale, con conseguente rideterminazione del
trattamento sanzionatorio, tenendo conto della compiuta ricostruzione del fatto
da parte del giudice della cognizione nonché delle norme applicabili al momento
della decisione in punto di commisurazione della sanzione.

4. Come è noto, la sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014 ha

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agli ulteriori accadimenti

dichiarato illegittima la novellazione all’originario testo dell’art. 73 del d.P.R. n.
309 del 1990 apportata con d. I. n. 272 del 30 dicembre 2005 (artt. 4-bis e 4-

vides ter) convertito in legge n. 49 del 21 febbraio 2006.
L’effetto della pronunzia di incostituzionalità è stato quello di «riespandere»
la previgente disciplina incriminatrice e le correlate diverse sanzioni per i fatti
commessi dal 28 febbraio 2006 al 6 marzo 2014 (fermo restando che per
l’ipotesi di fatto di lieve entità il limite temporale finale va anticipato al 23
dicembre 2013, essendo il giorno seguente entrata in vigore diversa e autonoma

Ciò riguarda anche la quantificazione della pena per l’ipotesi lieve di cui
all’art. 73 comma 5 d.P.R. 309 del 1990; in effetti, non è esatto quanto
affermato dal G.I.P. secondo cui la sentenza n. 32 della Corte Costituzionale non
tocca l’ipotesi in questione: prima del di. n. 272 cit., infatti, la pena era
quantificata in maniera differente nel caso l’attenuante si applicasse alle droghe
cd. leggere o a quelle cd. pesanti; in particolare il minimo edittale era inferiore
nel primo caso. Ciò significa che anche la sentenza sub 1 soffre del medesimo
“vizio” in punto di quantificazione della pena, poiché l’accordo delle parti venne
raggiunto sulla base di un minimo edittale (anni uno di reclusione quanto alla
pena detentiva) che, invece, avrebbe dovuto essere individuato in misura
inferiore (mesi sei di reclusione).

Pertanto, se il soggetto destinatario della esecuzione è stato condannato per
fatto rientrante nell’intervallo temporale sopra ricordato, sono applicabili
principi affermati dalla sentenza delle Sezioni Unite prima ricordata, trattandosi
di pronuncia che riguarda la legittimità del trattamento sanzionatorio vigente
all’epoca della decisione del giudice della cognizione.
In particolare, risulta in ogni caso “illegale” il trattamento sanzionatorio delle
condotte illecite concernenti le droghe cd. ‘leggere’ (ossia le sostanze rientranti
nelle tabelle II e IV allegate al d.P.R. del 1990), atteso che, in relazione a tali
sostanze, l’intervento normativo dichiarato illegittimo aveva comportato (a
differenza di quanto previsto per le altre sostanze) un massiccio incremento dei
limiti edittali della sanzione detentiva: il mimino edittale della condotta ordinaria
era stato innalzato da 2 a 6 anni di reclusione, quello della condotta attenuata da
sei mesi a un anno di reclusione; il massimo edittale era stato innalzato da 6 a
20 anni di reclusione nell’ipotesi ordinaria e da 4 a 6 anni di reclusione per
l’ipotesi attenuata.

5. Ora, posto che l’operazione di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen. –

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i

disciplina normativa introdotta dal decreto legge n. 146 del 2013).

commisurazione della pena – è frutto di una scelta che il giudice della cognizione
compie, con discrezionalità guidata, in un ambito legislativamente definito tra il
minimo e il massimo edittale, il profondo mutamento di «cornice» derivante dalla
declaratoria di incostituzionalità rende necessaria – in ipotesi di condanna per
‘droghe leggere’ – una rivalutazione piena di tale aspetto in sede esecutiva, che il
giudice dell’esecuzione deve compiere tenendo conto del «fatto», così come
accertato da quello della cognizione, ma non anche dei termini matematici
espressi da tale giudice – in rapporto alla scelta tra minimo e massimo edittale –

legislativo (legge del 2006) teso a «parificare» il disvalore di condotte tra loro
diverse (in rapporto alla tipologia di sostanze oggetto delle condotte).
In altre parole, che se da un lato risulta doverosa ed obbligatoria, alla luce
di quanto sopra, la rideterminazione in sede esecutiva della pena inflitta in
rapporto ad una squilibrata (e costituzionalmente illegittima) cornice edittale,
dall’altro non può escludersi che – con valutazione in concreto e rispettosa del
«fatto accertato» – il giudice dell’esecuzione possa rivalutarne la valenza in
rapporto ai «nuovi» e profondamente diversi parametri edittali, ovviamente
dando conto (ex artt. 132 e 133 cod. pen.) delle modalità di esercizio del potere
commisurativo e tenendo conto dei principi generali del sistema sanzionatorio
(tra cui quello per cui non può essere aumentata l’afflittività della pena stabilita
nella sentenza di condanna).

Va precisato, inoltre che la decisione emessa dal giudice della esecuzione, in
ipotesi di accoglimento dell’istanza e rideterminazione del trattamento
sanzionatorio, assume una valenza sostitutiva di un titolo esecutivo (la
precedente decisione irrevocabile) solo in tale parte non più eseguibile, che
andrà pertanto integrato, in punto di entità della pena, dalla decisione emessa in
sede esecutiva (peraltro anch’essa ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 666
comma 6 cod. proc. pen.) secondo uno schema procedimentale non estraneo al
procedimento di esecuzione (si pensi a quanto previsto e regolamentato dall’art.
671 cod. proc. pen., norma che – a diverso fine – consente la modifica in
esecuzione dell’entità del trattamento sanzionatorio correlato a decisioni
parimenti irrevocabili circa l’an della responsabilità).
Non si tratta, pertanto, di una revoca del precedente titolo (non versandosi
in ipotesi applicativa dell’art. 673 cod. proc. pen.) ma di una sua parziale
rinnovazione e integrazione per quanto concerne l’entità della pena, con ogni
conseguenza di legge.

6. Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 37107 del 26/2/2015,

7

trattandosi di scelte operate in un quadro normativo alterato dal criterio

hanno successivamente affermato i medesimi principi con riferimento alla pena
applicata su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc. pen., stabilendo che “la
pena applicata con la sentenza di patteggiannento avente ad oggetto uno o più
delitti previsti dall’art. 73 d.P.R. 309 del 1990, relativi alle droghe c.d. leggere,
divenuta irrevocabile prima della sentenza n. 32 del 2014 della Corte
costituzionale, può essere rideterminata in sede di esecuzione in quanto pena
illegale”; “la rideternninazione avviene ad iniziativa delle parti, con le modalità di
cui al procedimento previsto dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., sottoponendo
al giudice dell’esecuzione una nuova pena su cui è stato raggiunto l’accordo”; “in

dell’esecuzione provvede autonomamente alla rideterminazione della pena ai
sensi degli artt. 132 e 133 cod. pen.”.

L’ordinanza impugnata deve, quindi, essere annullata limitatamente alla
rideternninazione della pena (non vi è ricorso, infatti, sulla revoca del beneficio
della sospensione condizionale) con rinvio al G.I.P. del Tribunale di Genova che si
atterrà ai principi fin qui enunciati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al rigetto della richiesta di
rideterminazione della pena e rinvia per nuovo esame sul punto al G.I.P. del
Tribunale di Genova.

Così deciso il 20 ottobre 2015

oi

Il Consigliere estensore
Giacomo Rocchi

Il Presidente
Maria CrislWtg-

caso di mancato accordo o di pena concordata ritenuta non congrua il giudice

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