Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5121 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5121 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da

Alija arem, nato a Selce (Macedonia) il 20/11/1972
avverso l’ordinanza del 26/07/2013 del Tribunale della libertà di Ancona

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Nicola
Lettieri, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi per gli imputati l’avv.

Data Udienza: 04/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 26 luglio 2013, il Tribunale del riesame di
Ancona rigettava l’appello cautelare proposto nell’interesse di Ekrem Alija,
confermando l’ordinanza con la quale la locale Corte di appello aveva respinto
l’istanza di revoca o di sostituzione della misura cautelare della custodia in
carcere con altra misura meno afflittiva.

d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 per aver l’Alija detenuto Kg. 2,118 di cocaina
suddivisi in due panetti, occultati in un vano appositamente creato nella
autovettura di sua proprietà e da lui condotta.
Il Tribunale respingeva l’appello sul rilievo che il quadro indiziario era ormai
cristallizzato sia sulla base della precedente pronuncia emessa dal medesimo
Tribunale in sede di riesame, fonte del cosiddetto giudicato cautelare, sia sulla
base delle sentenze di condanna, di primo grado e di appello, emesse a carico
dell’imputato, ove era risultata accertata, seppure ancora non irrevocabilmente,
la responsabilità per il fatto contestato e delineata la sua gravità, cui era
conseguita la elevata pena applicata, peraltro a seguito di processo celebrato con
il rito abbreviato.
Né erano stati dedotti, né si ravvisavano, ad avviso del Tribunale
distrettuale, elementi sintomatici di una possibile attenuazione del grave quadro
cautelare descritto nell’ordinanza applicativa della misura cautelare e
nell’ordinanza adottata in sede di riesame del provvedimento restrittivo.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione Ekrem
Alija, a mezzo del proprio difensore, sollevando due specifici motivi di gravame.
2.1. Con il primo motivo, denunziando la violazione dell’art. 606, comma 1,
lett. e), cod. proc. pen., il ricorrente lamenta la mancanza o la manifesta
illogicità della motivazione, risultando il vizio dal testo del provvedimento
impugnato, in quanto l’ordinanza gravata, da un lato, sarebbe priva di
motivazione in ordine alla insussistenza delle esigenze cautelari e, dall’altro, non
avrebbe fornito alcuna risposta alle specifiche doglianze sollevate dalla difesa
quanto allo spessore delle esigenze cautelari ed alle ragioni per le quali
potessero essere soddisfatte unicamente con la custodia cautelare in carcere.
2.2. Con il secondo motivo, parzialmente collegato al primo, il ricorrente,
denunziando violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e), cod. proc. pen.,
lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonché
mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultando il vizio dal testo del
provvedimento impugnato.
2

La cautela era stata adottata per il reato di cui agli artt. 73 e 80, comma 2,

Sostiene il ricorrente come l’ordinanza impugnata risulti assunta in
violazione dell’art. 275 cod. proc. pen. sul rilievo che la difesa aveva addotto e
documentato la sussistenza di elementi – e specificamente la assoluta
incensuratezza e la piena collaborazione offerta nella fase delle indagini, la
volontà di sottoporsi ad interrogatorio, la presenza in ogni udienza, la assenza di
ogni pericolo di fuga – da cui potevasi trarre il convincimento della insussistenza
di esigenze cautelari tali da giustificare la custodia in carcere, o della sufficienza
di misure cautelari attenuate.

rigore fosse idonea per la salvaguardia delle ravvisate esigenze cautelari, non ha
spiegato, ad avviso del ricorrente, le ragioni per le quali dette esigenze %%IN,
potessero – in relazione al caso concreto – essere soddisfatte con altre misure, ed
in particolare con quella degli arresti domiciliari, così come richiesto dalla difesa
nella originaria istanza di revoca o di attenuazione della misura cautelare in
corso di esecuzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.

2. Quanto al primo motivo, l’ordinanza impugnata non merita le censure che
le vengono mosse, essendo corretto l’apparato motivazionale che la sorregge,
avuto particolare riguardo alla ritenuta sussistenza del pericolo di ripetizione
criminosa specifica (art. 274,comma 1,1ett. c), cod. proc. pen.).
In tema di misure cautelari personali, ai fini della valutazione del pericolo
che l’indagato commetta ulteriori reati della stessa specie di quelli per i quali si
procede, la pericolosità sociale deve risultare congiuntamente dalle specifiche
modalità del fatto e dalla personalità dell’indagato.
Quest’ultima può essere desunta da comportamenti o atti concreti o dai
precedenti penali della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato.
Ne consegue che può essere attribuita una duplice valenza alle modalità ed
alle circostanze del fatto, potendo le stesse rilevare sia sotto il profilo della
valutazione della gravità del fatto

sub iudice

e sia sotto il profilo

dell’apprezzamento della personalità dell’indagato e dunque della sua capacità a
delinquere.
La giurisprudenza di questa Corte, con indirizzo prevalente e consolidato
negli anni, è infatti orientata nel ritenere che la condotta tenuta in occasione del
reato costituisce un elemento specifico significativo per valutare la personalità
dell’agente (Sez. 1, n. 277 del 21 febbraio 1996, Esposito, RV. 203726 cui adde
Sez. 3, n. 2631 del 23 luglio 1996, Sinani RV. 205820; Sez. 5, n. 1416 del 4

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Il Tribunale del Riesame, avendo ritenuto che solo la misura di massimo

agosto 1999, Marchegiani, RV. 214230; Sez. 2, n. 726 del 21 febbraio 2000, De
Core, RV. 215403; Sez. 3, n. 1384 del 4 maggio 2000, Penna, RV. 216304; Sez.
6, n. 45542 del 21 dicembre 2001, Russo, RV. 220331; Sez. 3, n. 1995 del 23
aprile 2004, Ristic, RV. 228882; Sez. 5, n. 49373 del 05/11/2004, Esposito, Rv.
231276 e di recente Sez. 2, n. 18290 del 12/04/2013, Molisso, Rv. 255755),
tanto sul rilievo che la valutazione negativa della personalità dell’indagato può
desumersi dai criteri stabiliti dall’art. 133 cod. pen., fra i quali sono comprese le
modalità e la gravità del fatto-reato, con la conseguenza che non deve essere

situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad elementi
sintomatici della pericolosità del soggetto.
Al rispetto di tali criteri non si è sottratta l’impugnata ordinanza, avendo il
Tribunale spiegato come l’esistenza del quadro cautelare fosse chiaramente
desumibile, in relazione al pericolo di reiterazione criminosa, dalla elevata
quantità di cocaina trasportata e dall’occultamento della medesima in un vano
appositamente ricavato nell’auto di proprietà dell’imputato, presupponendo ciò
una lucida consapevolezza e chiarezza nell’intento delittuoso.
Del resto nessuna collaborazione risultava essere stata prestata
dall’imputato, come affermato invece dalla difesa, e stigmatizzato nella
motivazione della sentenza del giudice di appello, ove si era precisato come, ai
fini della chiesta concessione delle attenuanti generiche, non fosse stato possibile
valorizzare alcun comportamento positivo da parte del ricorrente, né nei fatti
posti in essere, né nella condotta processuale mantenuta.
Anzi la Corte di appello non aveva esitato a definire l’imputato come
«persona priva di scrupoli, abituata a vivere e a gestire i propri affari in
maniera illegale».
Né poteva ritenersi decisivo il tempo trascorso in carcere, da considerarsi
neutro in mancanza di altri elementi sopravvenuti che avessero potuto attenuare
il quadro cautelare e neppure la dedotta incensuratezza, tanto più che l’imputato
aveva un precedente recente, seppure contravvenzionale, o tantomeno la
particolare giovane età, come dedotta dalla difesa, essendo l’imputato
quarantenne.
Piuttosto può ritenersi l’insussistenza del pericolo di fuga, la cui valutazione,
in tema di esigenze cautelari, deve fondarsi sulla concretezza di tale pericolo
che, pur non esigendo i segni di una attività in itinere, richiede comunque la
presenza di elementi indicativi della volontà dell’indagato di sottrarsi alla
condanna, non potendo l’apprezzamento essere limitato alla sola gravità della
pena irrogata, dovendosi valutare, sebbene nell’ambito di un giudizio
prognostico, altri elementi, anche in via alternativa purché oggettivi e concreti,

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considerato il tipo di reato o una sua ipotetica gravità, ma devono valutarsi

quali la situazione di vita del soggetto, le sue frequentazioni, i precedenti penali,
i procedimenti in corso, le possibilità economiche, i suoi collegamenti.
La ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1,
lett. c) cod. proc. pen. determina comunque il rigetto del proposto motivo.

3. Parimenti infondato è anche il secondo motivo di gravame che va
scrutinato limitatamente alla doglianza circa la presunta violazione del principio
di adeguatezza, essendo gli altri profili assorbiti da quanto innanzi esposto con

Posto che le allegazioni del ricorrente (piena collaborazione offerta nella fase
delle indagini, volontà di sottoporsi ad interrogatorio, presenza alle udienze,
assenza del pericolo di fuga) sono, da un lato, irrilevanti (presenza alle udienze)
e, dall’altro, risultano smentite dalla sentenza di appello resa nel giudizio di
cognizione, la doglianza è diretta a censurare, sulla base della sola
incensuratezza (peraltro non piena), il difetto di motivazione circa le ragioni per
le quali le esigenze cautelari non foddero, in relazione al caso concreto,
salvaguardabili con altre misure, ed in particolare con quella degli arresti
domiciliari.
Sul punto, va osservato come il Tribunale abbia congruamente e
logicamente motivato nel senso di ritenere che, atteso lo spessore delle ravvisate
esigenze cautelari, queste non fossero contenibili se non mediante la misura
estrema della custodia cautelare in carcere, non potendo confidarsi sulla buona
volontà e coscienza dell’imputato, né sussistendo alcun elemento concreto che
potesse fondare una prognosi positiva di rispetto degli ambiti di libertà
connaturati a misure meno afflittive, che avrebbero frustrato del tutto le
ravvisate esigenze cautelari.
La motivazione, in quanto collegata allo spessore delle esigenze cautelari ed
al fondato giudizio di pericolosità in proposito formulato, si risolve in un
apprezzamento della pericolosità del ricorrente, sottoposto alla misura coercitiva
della custodia cautelare in carcere ai fini della concessione degli arresti
domiciliari, che è riservato al giudice di merito ed è incensurabile nel giudizio di
legittimità, in assenza di illogicità della motivazione.
Per quanto attiene, infatti, ai criteri da seguire per valutare l’inadeguatezza
della misura degli arresti domiciliari rispetto alla custodia in carcere, che
costituisce la

extrema ratio,

questa Corte ha più volte ribadito come

l’adeguatezza della misura in concreto applicata vada valutata anche con
riferimento alla prognosi di spontaneo adempimento da parte dell’indagato degli
obblighi e delle prescrizioni che a detta misura cautelare siano eventualmente
collegati (Sez. 2, n. 2170 del 27/03/1998,dep. 14/01/1999, Brescia, Rv.

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riferimento al primo motivo di impugnazione.

212294), precisando come assuma particolare rilievo la pericolosità dell’indagato
(Sez. 6, n. 2852 del 02/10/1998, Lamsadeq, Rv. 211755).
Pertanto, con specifico riferimento ai criteri di scelta delle misure coercitive
custodiali, l’inadeguatezza degli arresti domiciliari, in relazione alle esigenze di
prevenzione di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. può essere
ritenuta sia quando elementi specifici in relazione alla personalità del soggetto
(precedenti evasioni non necessariamente infraquinquennali, episodi di
inosservanza a regole o prescrizioni) inducano a ritenere che quest’ultimo possa

violazione della cautela impostagli, sia quando la gravità del fatto, le motivazioni
di esso e la pericolosità dell’indagato depongano nel medesimo senso, ossia per
la propensione all’inosservanza delle prescrizioni, soprattutto nei casi, come nella
specie, dove è apparsa evidente l’assenza di una capacità di autocontrollo
attraverso la scelta di uno stile di vita, dedito ai facili guadagni attraverso il
commercio della droga, la possibilità di eludere ogni sorveglianza per il contatto
con organizzazioni criminali di alto livello tali da procurare Kg. 2,118 di cocaina,
le modalità della condotta connotate da particolare astuzia, essendo la droga
suddivisa in due panetti, occultati in un vano appositamente creato nella MCA
autovettura di sua proprietà e da lui condotta.
Ne consegue che, ai fini della valutazione della idoneità della custodia
domestica a tutelare la esigenza cautelare (di cui all’art. 274, comma 1, lett. c)
cod. proc. pen.), la previsione circa la detta idoneità va eseguita con specifico
riferimento alla sussistenza o meno, in concreto, di una prognosi di spontaneo
adempimento da parte del prevenuto delle prescrizioni e degli obblighi connessi
all’esecuzione della misura degli arresti domiciliari. Tale valutazione va eseguita
soppesando, nella loro globalità, sia gli elementi inerenti alla gravità ed alle
circostanze del fatto e sia quelli inerenti alla personalità del prevenuto nel senso
che la concessione degli arresti domiciliari è preclusa nella misura in cui – sulla
base di dati fattuali concreti, anche desumibili da massime di esperienza, e
dunque non meramente astratti o congetturali – sia possibile ritenere che
l’imputato si sottragga all’osservanza delle prescrizioni attraverso il mancato
assolvimento degli obblighi connessi all’esecuzione della misura cautelare
domestica.
Avendo l’ordinanza impugnata tenuto conto di tali aspetti, la doglianza deve
ritenersi infondata.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese
processuali e la trasmissione del presente provvedimento al direttore dell’istituto
penitenziario perché provveda ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod.
proc. pen.

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essere propenso a disubbidire all’ordine di non allontanarsi dal domicilio, in

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore
dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1

ter, disp.

att. cod. proc. pen.

Così deciso il 04/12/2013

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