Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 51207 del 17/12/2015


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Penale Sent. Sez. U Num. 51207 Anno 2015
Presidente: SANTACROCE GIORGIO
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1. Maresca Giuseppe, nato a Piano di Sorrento il 13/12/1986
2. Tramontano Orsola, nata a Napoli il 30/10/1959

avverso la ordinanza del 08/05/2015 del Tribunale di Napoli

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal componente Luca Ramacci;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale
Carmine Stabile e dei Sostituti Procuratori generali Fulvio Baldi, Pietro Gaeta,
Aurelio Galasso, Francesco Iacoviello, che hanno concluso chiedendo il rinvio a
nuovo ruolo del ricorso, ai fini dell’integrazione del contraddittorio difensivo nelle
forme di cui all’art. 127 cod. proc. pen.

Data Udienza: 17/12/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza dell’8 maggio 2015 ha confermato il
decreto di sequestro probatorio eseguito nei confronti di Giuseppe Maresca ed
Orsola Tramontano e concernente armi da fuoco, detenute legittimamente ma
conservate in un armadio blindato trovato aperto all’atto dell’accesso di polizia,
armi bianche e munizioni, nonché marijuana, conservata in diversi involucri
rinvenuti in più luoghi, ipotizzandosi, nei loro confronti, i reati di cui agli artt. 20

2. Avverso tale pronuncia i predetti hanno proposto ricorso per cassazione
tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo il difetto di motivazione e la
violazione dell’art. 292, comma 2, lett. c) e c-bis) e comma 2-ter cod. proc. pen.
in relazione alla questione, sollevata in sede di riesame e concernente la
mancanza di sigilli «nello scatolo di cartone ed all’interno delle buste contenenti
il materiale sequestrato», nonché la mancanza di motivazione del decreto di
convalida, in considerazione della riferita comprovata presenza in sede di
accertamento tecnico, di un quantitativo di sostanza presunta stupefacente
superiore a quello descritto nel verbale di sequestro.
Deducono altresì la violazione di legge in relazione al contenuto di due
verbali di sequestro (redatti uno alle ore 14,30 e l’altro alle 17,30, quest’ultimo
relativo a sostanza stupefacente) dai quali risulterebbe la prosecuzione illecita
dell’attività di ricerca, anche in assenza del difensore, presente solo
all’accertamento tecnico effettuato in data 11 giugno 2015.

3. Il ricorso è stato assegnato alla Sesta Sezione penale, la quale,
all’udienza del 15 settembre 2015, ha proceduto con rito camerale non
partecipato, ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen.

4. In vista della predetta udienza, nelle sue conclusioni scritte, il Procuratore
generale aveva formulato richiesta di fissazione di udienza camerale secondo il
disposto dell’art. 127 cod. proc. pen., richiamando, a tale proposito, le
conclusioni cui era pervenuta una precedente decisione delle Sezioni Unite (Sez.
U, n. 14 del 06/11/1992, dep.1993, Lucchetta, Rv. 192206), ritenute condivisibili
nonostante quanto rilevato in successive pronunce (Sez. U, n. 41694 del
18/10/2012, Nicosia, Rv. 253289; Sez. U, n. 9857 del 30/10/2008, dep. 2009,

f

Manesi, Rv. 242291) e considerate anche le indicazioni della Corte EDU, atteso il
carattere, ritenuto afflittivo, dell’ablazione reale, sostanzialmente affine alle

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legge 110 del 1975, 697 cod. pen. e 73 d.P.R. 309 del 1990.

misure sanzionatorie, che giustificherebbe un’ampia applicazione della
partecipazione, della comunicazione e della contrapposizione dialettica.
In subordine, il Procuratore generale richiedeva la rimessione degli atti alle
Sezioni Unite.

5. La Sesta Sezione ha accolto tale ultima sollecitazione e, premessa una
diffusa disamina dei precedenti giurisprudenziali e delle disposizioni richiamate,
ha ritenuto necessaria una rivisitazione del precedente, consolidato, indirizzo

Si osserva, che l’assenza di un espresso richiamo, da parte dell’art. 325,
comma 3, cod. proc. pen., al comma 5 dell’art. 311 cod. proc. pen., che è l’unico
ad imporre l’osservanza delle forme dell’art. 127 cod. proc. pen. per la
trattazione del ricorso avverso le misure cautelar’, avrebbe un oggettivo rilievo
che non può essere attribuito, come affermato nelle precedenti pronunce delle
Sezioni Unite (n. 14 del 1993, cit., e Sez. U, n. 4 del 26/04/1990, Serio), alla
scarsa qualità del dettato legislativo, risultando invece coerente con la diversa
scelta, esplicitata dal mancato richiamo, di rendere applicabile al ricorso,
consentito per la sola violazione di legge, il contraddittorio scritto, pieno e
discrezionale.
E’ stata conseguentemente pronunciata ordinanza di rimessione alle Sezioni
Unite sul punto relativo alla procedura camerale da seguire a seguito di ricorso
proposto a norma dell’art. 325 cod. proc. pen.

6. Il Primo Presidente, con decreto del 28 settembre 2015, ha assegnato il
ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la data odierna la relativa udienza
camerale di trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 611 cod. proc.
pen.

7. La Procura generale ha chiesto che sia riconosciuta la necessità del rito
camerale partecipato ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen., escludendosi la
possibilità di ricorrere a quello disciplinato dall’art. 611 cod. proc. pen.
Richiamati i contenuti della precedente requisitoria, nonché la
giurisprudenza comunitaria e costituzionale, l’Ufficio requirente ha rilevato che,
nel seguire le argomentazioni prospettate nella criticata ordinanza di rimessione,
si recherebbe un intollerabile vulnus al diritto al contraddittorio difensivo, alla
ragionevole durata dei processi ed all’efficiente organizzazione degli uffici
giudiziari.

interpretativo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione di diritto per la quale i ricorsi sono stati rimessi alle Sezioni
Unite è la seguente: “Se il rito da seguire in caso di ricorso per cassazione
proposto a norma dell’art. 325 cod. proc. pen. deve svolgersi nel rispetto delle
forme previste dall’art. 611 o di quelle previste dall’art. 127 cod. proc. pen.”.

2. Va preliminarmente ricordato che, con l’art. 611 cod. proc. pen., il quale

attuazione all’art. 2, direttiva 89, della legge-delega per l’emanazione del nuovo
codice di procedura penale (legge 16 febbraio 1987, n. 81).
Nell’attuale formulazione, l’articolo 611 cod. proc. pen. così recita: «Oltre
che nei casi particolarmente previsti dalla legge, la corte procede in camera di
consiglio quando deve decidere su ogni ricorso contro provvedimenti non emessi
nel dibattimento, fatta eccezione delle sentenze pronunciate a norma dell’articolo
442. Se non è diversamente stabilito e in deroga a quanto previsto dall’articolo
127, la corte giudica sui motivi, sulle richieste del procuratore generale e sulle
memorie delle altre parti senza intervento dei difensori. Fino a quindici giorni
prima dell’udienza, tutte le parti possono presentare motivi nuovi e memorie e,
fino a cinque giorni prima, possono presentare memorie di replica».
Va peraltro considerata, nella lettura della disposizione codicistica in esame,
anche la direttiva 95 contenuta nell’art. 2 della legge-delega n. 81 del 1987,
concernente il «diritto delle parti di svolgere le conclusioni davanti alla Corte di
cassazione», rispetto alla quale la dottrina ha posto in rilevo le differenze rispetto
alla precedente legge-delega del 1974 (legge 3 aprile 1974, n. 108) che, nella
direttiva n. 77, si riferiva, invece, alla «necessità delle conclusioni della difesa nel
dibattimento davanti alla Cassazione», osservando come la diversa formulazione
possa ritenersi indicativa dell’intento di semplificare i mezzi di impugnazione
mediante l’eliminazione di interventi e presenze non assolutamente necessari,
considerando anche la peculiarità del giudizio di legittimità, la quale ben
consente la possibilità di affidare i motivi di ricorso ad un atto scritto, senza
l’obbligatorietà della illustrazione ed esposizione orale.
La tipicità del giudizio di cassazione giustifica, pertanto, la scelta del rito da
parte del legislatore, il quale, tuttavia, ha comunque lasciato inalterato il ricorso
all’oralità del procedimento camerale laddove lo richiedano la posizione
processuale dei soggetti coinvolti e l’oggetto del giudizio, con la conseguenza che
il procedimento nella forma non partecipata ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen.,
in deroga a quanto previsto dall’art. 127 cod. proc. pen., costituisce una regola
nel giudizio di cassazione, operante salvo che sia diversamente stabilito (lo si è

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presenta corrispondenze con l’art. 531 del previgente codice di rito, è stata data

recentemente ricordato, in tema di rescissione del giudicato di cui all’art. 625-ter
cod. proc. pen., in Sez. U, n. 36848 del 17/07/2014, Burba, par. 6 del
Considerato in diritto).

3. Ciò posto, va preso in considerazione il sistema delle impugnazioni in
materia di sequestro, iniziando dal sottolineare come, con riferimento al
sequestro probatorio, l’art. 257, comma 1, cod. proc. pen. stabilisca che contro il
decreto che lo dispone possano proporre richiesta di riesame, anche nel merito,

sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione.
Analoga previsione è contenuta nell’art. 322, comma 1, cod. proc. pen.
riguardo al sequestro preventivo, che contempla anche il difensore dell’imputato
tra i soggetti che possono presentare richiesta di riesame.
Sempre in tema di sequestro preventivo, l’art. 322-bis cod. proc. pen. abilita
i medesimi soggetti, al di fuori dei casi previsti dall’articolo 322, a proporre
appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto
di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero.
3.1. Invece, con riferimento al procedimento per la restituzione delle cose
sequestrate, l’art. 263, comma 5, cod. proc. pen. stabilisce che, contro il decreto
del pubblico ministero che dispone la restituzione o respinge la relativa richiesta,
gli interessati possono proporre opposizione, sulla quale il giudice provvede a
norma dell’articolo 127. In questa ipotesi, avverso l’ordinanza emessa dal
giudice, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite, a conferma di un
orientamento giurisprudenziale decisamente maggioritario, può essere proposto
ricorso per cassazione (Sez. U, n. 7946 del 31/01/2008, Eboli, Rv. 238507), che
va deciso in camera di consiglio, con le forme del rito non partecipato di cui
all’art. 611 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 9857 del 30/10/2008, dep. 2009, Manesi,
Rv. 242291).
3.2. L’art. 325 cod. proc. pen. specifica poi, al comma 1: «Contro le
ordinanze emesse a norma degli articoli 322-bis e 324, il pubblico ministero,
l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate
e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per
cassazione per violazione di legge».
Va a tale proposito ricordato che, secondo la giurisprudenza di legittimità,
nella nozione di “violazione di legge”, per la quale soltanto può essere proposto
ricorso per cassazione in ragione della espressa previsione del citato comma 1,
rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione
meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme
processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di

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a norma dell’articolo 324 cod. proc. pen., l’imputato, la persona alla quale le cose

legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla
lett. e) dell’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov,
Rv. 239692; Sez. U, n. 25933 del 29/05/2008, Malgioglio, non massimata sul
punto; Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710).
Il successivo comma 2 così dispone: «Entro il termine previsto dell’articolo
324, comma 1, contro il decreto di sequestro emesso dal giudice può essere
proposto direttamente ricorso per cassazione. La proposizione del ricorso rende
inammissibile la richiesta di riesame».

commi 3 e 4 cod. proc. pen.
Il primo dei commi richiamati stabilisce che il ricorso va presentato nella
cancelleria del giudice che ha emesso la decisione, ovvero, nel caso previsto dal
comma 2, in quella del giudice che ha emesso l’ordinanza. Il giudice cura che sia
dato immediato avviso all’autorità giudiziaria procedente la quale, entro il giorno
successivo, trasmette gli atti alla corte di cassazione.
Il comma 4 specifica che, nei casi previsti dai commi 1 e 2, i motivi devono
essere enunciati contestualmente al ricorso, sebbene il ricorrente abbia facoltà di
enunciare nuovi motivi davanti alla corte di cassazione, prima dell’inizio della
discussione.
Inoltre, il successivo comma 5, non richiamato dall’art. 325, ma di interesse
per la soluzione della questione in esame, prevede che la corte di cassazione
decida entro trenta giorni dalla ricezione degli atti, osservando le forme previste
dall’articolo 127.

4. I contenuti delle richiamate disposizioni e, segnatamente, quello dell’art.
311, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede la possibilità di
enunciare nuovi motivi davanti alla corte di cassazione, prima dell’inizio della
“discussione”, ha orientato le precedenti decisioni delle Sezioni Unite, inducendo
a ritenere superabile, in ragione di tale specifico riferimento, il mancato espresso
richiamo al comma 5 del medesimo articolo, che impone l’osservanza delle forme
di cui all’art. 127.
In particolare, nella sentenza Serio (n. 4 del 1990, cit.) si è affermato che il
richiamo del comma 4 dell’art. 311 cod. proc. pen. rende impossibile la
trattazione scritta, in quanto la disposizione prevede una “discussione”,
necessariamente orale e la possibilità di enunciare motivi nuovi prima del suo
inizio, delineando così un modulo procedimentale ritenuto incompatibile con
quello dell’art. 611 cod. proc. pen., che è basato unicamente su atti scritti e
consente alle parti di presentare motivi nuovi fino a quindici giorni prima
dell’udienza camerale.

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Al comma 3 si prevede l’applicazione delle disposizioni dell’articolo 311,

Tale evenienza, dunque, sarebbe indicativa della sussistenza di uno di quei
casi in cui, secondo l’art. 611, «è diversamente stabilito» e, risultando
inapplicabili le forme del procedimento camerale speciale, non possono che
essere adottate quelle generali dell’art. 127 cod. proc. pen., nonostante
l’assenza, nell’art. 325 cod. proc. pen., di un rinvio al comma 5 dell’art. 311.
La mancanza del rinvio avrebbe tuttavia, quale conseguenza,
l’inapplicabilità, ai ricorsi in materia di sequestro, del termine di trenta giorni
dalla ricezione degli atti, fissato dal comma 5 dell’art. 311, entro il quale deve

La sentenza Serio ha conseguentemente ritenuto che l’art. 325, comma 3,
cod. proc. pen. abbia parificato i ricorsi in materia di misure cautelari reali a
quelli in materia di misure cautelari personali per quanto concerne le forme di
trattazione, non estendendo però ai primi il termine di trenta giorni per la
decisione, che ha considerato giustificato, nel suo rigore, solo per le misure di
natura personale.
Le considerazioni svolte nella sentenza Serio sono state pienamente ribadite
dalla successiva sentenza Lucchetta (n. 14 del 1993, cit.), la quale, nel
respingere nuovamente la diversa soluzione interpretativa, prospettata
nell’ordinanza di rimessione sulla base del mancato espresso richiamo al comma
5 dell’art. 311 cod. proc. pen. da parte dell’art. 325, ha rilevato la superfluità di
tale rinvio in presenza del riferimento alla “discussione”, contenuto nel comma 4
dell’art. 311, che presuppone, necessariamente, la forma orale del
procedimento.
Sulla base di tale assunto, viene negata anche la fondatezza della tesi (ora
nuovamente prospettata nell’ordinanza di rimessione), che il rinvio potrebbe
operare soltanto per la parte applicabile e, cioè, quella riguardante la possibilità
di enunciare nuovi motivi e non anche per la discussione orale, perché vi
osterebbe l’inequivoco tenore letterale delle norme e, inoltre, perché, venendo
eliminata la discussione, sarebbe vanificato il termine stabilito per la
presentazione di nuovi motivi, individuato, appunto, nell’inizio della discussione,
privando di efficacia la norma stessa.
Infine, la sentenza Lucchetta rileva che, accedendo alla contraria soluzione
della questione, la mancanza della discussione comporterebbe l’impossibilità, per
il pubblico ministero, di controdedurre ai nuovi motivi enunciati dalla
controparte.

5. E’ il caso di segnalare che, in una successiva, isolata, pronuncia (Sez. 1,
n. 3259 del 02/05/2000, Selini, Rv. 216755) si è affermato che le forme camerali
di cui all’art. 127 cod. proc. pen., in sede di ricorso per cassazione in

intervenire la decisione della corte di cassazione

procedimenti riguardanti i sequestri, vanno osservate soltanto per quelli proposti
dalle parti processuali legittimate a richiedere il riesame del provvedimento di
sequestro e che concretamente abbiano partecipato al relativo procedimento,
mentre nei casi inerenti all’istanza di restituzione della cosa in sequestro,
formulata da soggetto non intervenuto nella procedura di riesame, va osservato
il rito camerale non partecipato e con solo contraddittorio scritto tra le parti.

6. Ritiene il Collegio che le argomentazioni sviluppate nelle richiamate

riviste, pur in presenza di un quadro normativo immutato, alla luce dei contributi
interpretativi offerti da successivi interventi delle Sezioni Unite, dando pure conto
di quanto rilevato dalla giurisprudenza costituzionale e convenzionale richiamata
anche nella requisitoria della Procura generale.

7. Si è già ricordato in precedenza che, con riferimento al ricorso per
cassazione contro l’ordinanza emessa dal g.i.p. a norma dell’art. 263, comma 5,
cod. proc. pen, le Sezioni Unite (Sez. U, n. 9857 del 2008, dep. 2009, Manesi,
cit.) hanno individuato, quale rito da seguire, quello non partecipato di cui all’art.
611 cod. proc. pen.
Richiamando le argomentazioni svolte in altra pronuncia (Sez. U, n. 26156
del 28/05/2003, Di Filippo, Rv. 224612), secondo la quale il modello camerale
tipico previsto per le decisioni della corte di cassazione dall’art. 611 cod. proc.
pen., «su ogni ricorso contro provvedimenti non emessi nel dibattimento»,
diverge dal modello camerale tipico delineato dall’art. 127 cod. proc. pen. per le
fasi procedimentali di merito, la sentenza Manesi ha posto in evidenza: la natura
di norma speciale dell’art. 611 cod. proc. pen. rispetto alla norma generale
dettata dall’art. 127 cod. proc. pen.; il fatto che l’art. 611 cod. proc. pen.
costituisce attuazione della previsione contenuta all’art. 2, direttiva 89, della
legge-delega per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale, nonché
della previsione di cui all’art. 2, direttiva 95, della medesima legge contenente
l’indicazione del «diritto delle parti di svolgere le conclusioni davanti alla Corte di
Cassazione», di cui pure si è detto in precedenza; che il rito camerale di
cassazione previsto dall’art. 611 cod. proc. pen. costituisce una forma specifica e
generale per la sede di legittimità, derogatoria rispetto alla forma prevista in via
generale per la sede di merito, la cui peculiarità consiste nella modalità attuativa
del principio del contraddittorio (cartolare e non partecipato).
Da tale enunciato la decisione trae la conclusione che «la disciplina speciale,
dettata per il rito camerale in cassazione, costituisce già di per sé deroga alla
disciplina generale; il mero richiamo all’art. 127 riferito al procedimento

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pronunce Serio e Lucchetta, entrambe ormai risalenti nel tempo, vadano oggi

incidentale di merito, se può valere a definire l’ambito di ricorribilità del
provvedimento del giudice di merito, non può essere esteso meccanicamente alla
procedura da seguire nella successiva fase di legittimità, la quale, “se non è
diversamente stabilito”, è regolata da una specifica forma».
Si è anche osservato come il rito camerale di cassazione sia previsto per
materie che incidono su diritti soggettivi o posizioni di rilevanza anche
costituzionale, per i quali il contraddittorio cartolare costituisce valido
espletamento del diritto defensionale delle parti.

Nicosia, Rv. 253289), con riferimento al procedimento per la trattazione in
camera di consiglio non partecipata, in sede di legittimità, dei ricorsi in materia
di riparazione per l’ingiusta detenzione, che essa non trova ostacolo nella
sentenza 10 aprile 2012 della Corte EDU, nel caso Lorenzetti c. Italia, perché tale
pronuncia, nell’affermare la necessità che al soggetto interessato possa, quanto
meno, essere offerta la possibilità di richiedere una trattazione in pubblica
udienza, non si riferisce al giudizio innanzi alla Corte di cassazione.
In tale occasione, sia pure con riferimento al ben diverso tema
dell’alternativa tra rito camerale non partecipato e udienza pubblica, le Sezioni
Unite hanno condiviso le conclusioni cui è pervenuta la Corte costituzionale nella
sentenza n. 80 del 2011 nel desumere, dalla giurisprudenza della Corte EDU, «il
principio secondo il quale, in riferimento al giudizio di legittimità, la pubblicità
della udienza non rappresenta un coronario necessario e inderogabile del diritto
alla pubblicità del processo garantito dall’art. 6, § 1, della CEDU, quanto meno
con riferimento alla tematica dei procedimenti speciali che vengono qui in
discorso. In senso reciproco, d’altra parte, ed a corroborare un simile assunto,
sta la circostanza che, ove si sia verificata una violazione dell’art. 6, § 1, della
CEDU, nei gradi di merito, la eventuale trattazione del ricorso per cassazione in
udienza pubblica non varrebbe — come pure puntualizzato dalla citata sentenza
n. 80 del 2011 — a rimuovere e “sanare” quella violazione, dal momento che la
giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha più volte precisato che lo
svolgimento pubblico del giudizio di impugnazione che sia a cognizione limitata,
come nel caso in cui il relativo sindacato sia circoscritto ai soli motivi di diritto,
non compensa la mancanza di pubblicità del giudizio anteriore, “proprio perché
sfuggono all’esame del giudice di legittimità gli aspetti in rapporto ai quali
l’esigenza di pubblicità delle udienze è più avvertita, quali l’assunzione delle
prove, l’esame dei fatti e l’apprezzamento della proporzionalità tra fatto e
sanzione”».

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Ancor più recentemente, si è affermato (Sez. U, n. 41694 del 18/10/2012,

8. Anche le sezioni semplici penali hanno, in più occasioni, preso in esame
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 611 cod. proc. pen. sollevate sotto
diversi profili.
Una prima valutazione è stata effettuata dalla Prima Sezione, la quale ha
rilevato la manifesta infondatezza, con riferimento all’art. 24 Cost., della
questione, prospettata riguardo alla parte in cui l’art. 611 cod. proc. pen.,
derogando a quanto stabilito dall’art. 127, prevede il rito camerale non
partecipato, osservando che il diritto di difesa è comunque garantito dalla facoltà

esplicarsi con la presenza della parte all’udienza camerale (Sez. 1, n. 5161 del
14/12/1992, dep. 1993, Micci, Rv. 193075).
A conclusioni analoghe è successivamente pervenuta la Terza Sezione
penale in relazione alle sentenze di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444
cod. proc. pen., osservando che l’art. 24 Cost. tutela il diritto di difesa in quanto
tale e non una sua particolare modalità di esercizio, quale la difesa orale davanti
al giudice (Sez. 3, n. 3093 del 27/09/1995, Caporale, Rv. 202808; conf. Sez. 5,
n. 32728 del 13/06/2001, Canalicchio, Rv. 219344). Nello stesso senso, con
riferimento all’ormai abrogato comma 2 dell’art. 611 cod. proc. pen. (la cui
disciplina è stata peraltro trasfusa nell’art. 610 cod. proc. pen.), v. Sez. 1, n.
5379 del 29/09/2000, Srebot, Rv. 217613 e Sez. 5, n. 4118 del 17/11/2000,
dep. 2001, Manfredi, Rv. 217937).
Con riferimento all’art. 76 Cost. è stata, poi, ritenuta manifestamente
infondata altra questione, sollevata ipotizzando l’eccesso di delega rispetto ai
criteri direttivi contenuti nell’art. 2 della legge n. 81 del 1987 e, in particolare,
rispetto alle direttive n. 2 (non essendo assicurata la trattazione orale del
ricorso), n. 3 (non essendo realizzata la partecipazione della difesa su basi di
parità rispetto all’accusa) e n. 89 (non essendo previste adeguate garanzie di
difesa). Si è rilevato che l’esigenza di assicurare l’oralità del processo non solo
non è imposta in via assoluta, ma attiene alla formazione della prova e non alle
modalità di esercizio della difesa in sede di discussione dibattimentale; che il
procedimento camerale in cassazione non attribuisce alcun privilegio all’accusa,
essendo esclusa in esso la presenza non solo del difensore ma anche del
pubblico ministero e, infine, che il diritto di difesa è adeguatamente assicurato
dalla facoltà del difensore di presentare memorie e memorie di replica (Sez. 6, n.
4679 del 27/11/1997, dep. 1998, Testa, Rv. 209780; conf. Sez. 1, n. 4775 del
05/10/1998, dep. 1999, De Filippis, Rv. 212287).
È stata poi rilevata, con riferimento alla trattazione dell’istanza di
ricusazione, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
riferita alla mancata ammissione del difensore alla discussione orale sia nel corso

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di presentare memorie a sostegno del ricorso e non deve necessariamente

della procedura di ricusazione che in sede di ricorso per cassazione, secondo
quanto prescritto nell’art. 127 cod. proc. pen. Si è osservato, a tale proposito,
che il legislatore ordinario, in ossequio all’art. 24 della Costituzione, è tenuto a
garantire, in ogni stato e grado dei procedimenti giudiziari, l’esplicazione del
diritto di difesa, sebbene le modalità attraverso le quali questo diritto trova
attuazione nelle specifiche e singole procedure possono essere stabilite di volta
in volta dalla legge e la sua concreta esplicazione può essere,
conseguentemente, adeguata e adattata alla natura della materia trattata, alle

perseguire, purché non lo faccia in maniera del tutto arbitraria ed irragionevole e
tale da vanificare il diritto costituzionalmente garantito, sicché il contraddittorio
scritto, specie quando ponga le parti in situazione di assoluta parità, non si pone
in contrasto con l’art. 24 della Costituzione (così, Sez. 4, n. 1003 del
31/03/1999, Sette, Rv. 214772).

9. Per ciò che riguarda, invece, la compatibilità dell’art. 611 cod. proc. pen.
con i principi della CEDU, la piena legittimità della procedura camerale non
partecipata è stata riconosciuta con riferimento ai ricorsi avverso i provvedimenti
in materia di misure di prevenzione, in quanto la garanzia del contraddittorio
orale in tale materia è riferita, dalla Corte EDU (sent. 13 novembre 2007,
Bocellari e Rizza c. Italia), al giudizio di merito (Sez. 1, n. 8990 del 13/02/2008,
Ambrogio, Rv. 239515; conf. Sez. 6, n. 2269 del 15/12/2009, dep. 2010, Del
Vento, Rv. 245706; Sez. 1, n. 14010 del 26/02/2008, Cucurachi, Rv. 240137;
Sez. 1, n. 11279 del 26/02/2008, Magnisi, Rv. 239046; Sez. 1, n. 13569 del
04/02/2009, Falsone, Rv. 243552; Sez. 5, n. 35371 del 20/06/2013, Scinardo,
Rv. 255765).
In tema di esecuzione è stata poi ritenuta la manifesta infondatezza della
questione di legittimità costituzionale dell’art. 611 cod. proc. pen., nella parte in
cui non prevede l’intervento orale delle parti, osservandosi che tale procedimento
camerale non è in contrasto con i principi del contraddittorio e della parità delle
parti caratterizzanti il “giusto processo” a norma dell’art.111, secondo comma,
Cost., poiché assicura il contraddittorio cartolare tra le parti, poste su un piano di
parità attraverso la possibilità di presentare memorie e memorie di replica e
ricordando come la Corte EDU, nel ribadire la rilevanza della pubblicità
dell’udienza dei procedimenti che possono incidere sui diritti fondamentali del
cittadino, abbia previsto cause legittime di deroga in ragione della natura della
questione trattata connotata da alto tecnicismo (Corte EDU, Sez. 2, 18 maggio
2010, Udorovic c. Italia), la quale è destinata alla verifica della sussistenza dei
presupposti per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, già stabilito in

11

esigenze di celerità o anche di massima semplificazione che il legislatore intenda

sentenze irrevocabili, secondo la regola del cumulo giuridico previsto in ipotesi di
reato continuato, in luogo del cumulo materiale delle pene (così, Sez. 1, n.
42160 del 10/10/2012, De Stefano, Rv. 253812).
Ad analoghe conclusioni si è pervenuti, infine, con riferimento ai ricorsi in
materia di riparazione per l’ingiusta detenzione (Sez. 4, n. 10547 del
13/02/2014, Troci, Rv. 259218).

10. Dalla sommaria disamina delle richiamate pronunce emerge, dunque,

611 cod. proc. pen. anche alla luce della normativa convenzionale e
costituzionale, attraverso la non equivocabile distinzione tra il giudizio di merito e
quello di legittimità, di cui si è appena detto, cosicché una soluzione
interpretativa diversa da quella prospettata nelle sentenze Serio e Lucchetta
sarebbe priva delle negative conseguenze prospettate nella requisitoria della
Procura generale, che peraltro, come si è avuto occasione di notare, investono
non il tema dell’alternativa tra procedura in camera di consiglio partecipata e
quella non partecipata, che qui solo interessa, ma quello ben diverso
dell’alternativa tra procedura camerale e udienza pubblica.

11. Ponendo nuovamente l’attenzione sui contenuti delle disposizioni
codicistiche in esame, va osservato come rilevi, in primo luogo, la specialità della
procedura camerale non partecipata nel giudizio di cassazione, che opera «se
non è diversamente stabilito», come precisa l’art. 611 cod. proc. pen.
La formula utilizzata sembra riferirsi ad una espressa indicazione della
differente procedura applicabile, precludendo, così, la possibilità di
interpretazioni sostanzialmente fondate su deduzioni di natura implicita, quali
quelle prospettate nelle sentenze Serio e Lucchetta.
In altre parole, l’art. 325, comma 3, e l’art. 311, commi 3 e 4, in esso
richiamato, non stabiliscono alcunché di diverso rispetto a quanto indicato
dall’art. 611 cod. proc. pen., diversamente da quanto è da dire con riferimento al
comma 5 dell’art. 311, laddove l’osservanza delle forme previste dall’articolo 127
cod. proc. pen. è invece specificatamente effettuata.
Va inoltre rilevato che l’art. 311 cod. proc. pen. riguarda il ricorso per
cassazione avverso provvedimenti in materia di misure coercitive, sicché la sua
complessiva conformazione è chiaramente calibrata con specifico riferimento ad
esse, ed il richiamo alla «discussione», presente nel comma 4, non può ritenersi
determinante ai fini della individuazione del rito, così come non può ritenersi che
la sua mera presenza sia significativa di una diversa previsione da parte del

12

chiaramente la piena legittimità della procedura camerale disciplinata dall’art.

legislatore, il quale avrebbe, così, «diversamente stabilito» rispetto all’art. 611
cod. proc. pen.
Da ciò consegue che l’assenza di un richiamo anche al comma 5 dell’art. 311
da parte dell’art. 325 cod. proc. pen. non è affatto irrilevante, venendo a
mancare quella espressa previsione di un diverso rito camerale che l’art. 611
chiaramente richiede nell’individuare i casi in cui non si procede nella forma non
partecipata.
Considerando, dunque, l’art. 311 cod. proc. pen. nel suo complesso, perde

quale il mancato richiamo al comma 5, produce comunque concrete
conseguenze, rendendo inapplicabile, in tema di sequestri, l’obbligo di decidere il
ricorso entro trenta giorni dalla ricezione degli atti.
Tale ultima affermazione, significativamente oggetto di critica nei commenti
alla decisione, mostra una evidente debolezza argomentativa, forzando la lettera
della legge in un tortuoso percorso, seguendo il quale si sarebbe inteso
perseguire il medesimo risultato che si sarebbe potuto ottenere attraverso il
semplice richiamo al comma 5 dell’art. 311 cod. proc. pen., ovvero
disciplinandosi del tutto autonomamente il ricorso per cassazione avverso le
ordinanze in materia di sequestro, senza alcun richiamo ad altre disposizioni.
Una lettura organica dell’art. 311 cod. proc. pen. rende peraltro condivisibili
le osservazioni svolte nell’ordinanza di rimessione, laddove si osserva che la
prevista possibilità di presentazione di motivi nuovi fino all’udienza può essere
compresa solo se correlata alla necessità di fissare l’udienza medesima nei trenta
giorni dalla ricezione degli atti, come disposto dal comma 5, considerando che i
tempi ristretti giustificano la possibilità di introdurre argomenti nuovi a sostegno
dei motivi già proposti e la conseguente deroga al comma 2 dell’art. 127 cod.
proc. pen.
Nel valutare, dunque, l’ambito di operatività dell’art. 325, comma 2, cod.
proc. pen. in relazione ai richiamati commi 3 e 4 dell’art. 311 cod. proc. pen.,
non può prescindersi dal considerare che quest’ultimo è strutturato in relazione
alle misure cautelari personali e dal fatto che il contenuto del comma 5 non può
essere ignorato.
Solo attribuendo rilievo alla circostanza che soltanto tale comma contiene un
richiamo espresso all’art. 127 cod. proc. pen., e considerandone i contenuti, che
lo saldano perfettamente ai commi precedenti, può pervenirsi ad una
interpretazione coerente, giungendo così alla conclusione, prospettata
nell’ordinanza di rimessione, secondo la quale il richiamo, operato dall’art. 325,
comma 3, cod. proc. pen. al comma 4 dell’art. 311, va riferito esclusivamente
all’obbligo di enunciazione contestuale dei motivi di ricorso; precisazione a ben

13

rilievo anche la ulteriore osservazione, presente nella sentenza Serio, secondo la

vedere per nulla superflua, essendo giustificata dalla necessità di affermare
esplicitamente che la presentazione di una dichiarazione di impugnazione
autonoma rispetto ai motivi, consentita nella fase del merito nella materia qui
considerata, non è consentita nel giudizio di cassazione.
La diversa disciplina del rito camerale relativo alla trattazione del ricorso per
cassazione regolato dall’art. 325 cod. proc. pen. trova, peraltro, ulteriore
giustificazione, in linea generale, nella sostanziale differenza tra il regime
cautelare personale e quello reale (messo in evidenza da Sez. U, n. 26268 del

e, in particolare, nel fatto che il ricorso per cassazione ex art. 325 cod. proc.
pen. è ammesso solamente per violazione di legge; evenienza, quest’ultima, che
dà ben ragione dell’opzione del legislatore verso un rito camerale non
partecipato, il quale assicura comunque la pienezza del contraddittorio tra le
parti.
Va peraltro osservato che, diversamente da quanto rilevato dalla Procura
generale nelle sue conclusioni, il ricorso al rito camerale non partecipato non
determina rilevanti conseguenze sulla celere definizione dei processi,
considerato, in primo luogo, che il maggior termine di trenta giorni di cui all’art.
610, comma 5, cod. proc. pen., rispetto a quello stabilito dall’art. 127 cod. proc.
pen., può essere comunque ridotto a richiesta delle parti, secondo quanto
disposto dall’art. 169 disp. att. cod. proc. pen.; e, in secondo luogo, che per
l’individuazione della data della udienza

ex

art. 611 cod. proc. pen.,

diversamente da quanto sostenuto nella requisitoria, non è affatto necessario
attendere che sia licenziata la requisitoria scritta, l’assenza della quale non
impedisce comunque la trattazione del ricorso (v. Sez. 1, n. 4355 del
19/11/1991, dep. 1992, Chillè, Rv. 188823).

12. Al quesito posto in apertura della presenta parte motiva, vale a dire “se
il rito da seguire in caso di ricorso per cassazione proposto a norma dell’art. 325
cod. proc. pen. deve svolgersi nel rispetto delle forme previste dall’art. 611 o di
quelle previste dall’art. 127 cod. proc. pen.», si deve pertanto rispondere che
«deve osservarsi la procedura di cui all’art. 611 cod. proc. pen.”.

13. Venendo ora all’esame dei motivi di ricorso, deve rilevarsi la manifesta
infondatezza degli stessi.
Lamentano, in particolare, i ricorrenti che il Tribunale non avrebbe fornito
risposta su una specifica deduzione, concernente la insufficienza o mera
apparenza della motivazione del provvedimento di convalida di perquisizione e

14

17/06/2013, Rv. 255582, Cavalli), che legittima opzioni procedurali diversificate

sequestro effettuata dal pubblico ministero nella parte concernente le modalità di
custodia delle cose apprese dalla polizia giudiziaria.

14. Va a tale proposito rilevato che, secondo quanto già osservato dalla
giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 25383 del 27/05/2010, Galluzzi, Rv.
247825; Sez. 6, n. 6166 del 14/03/1995, Sanfilippo, Rv. 201824), le modalità di
custodia delle cose sequestrate, descritte negli artt. 259 e 260 cod. proc. pen.,
costituiscono prescrizioni meramente indicative che, da un lato, sono derogabili

contestabili, salvo il caso in cui vengano specificamente dedotti inconvenienti
sostanziali attinenti ad ipotesi concrete di alterazione, modificazione o
sostituzione dei reperti.
Il provvedimento di convalida, presente in atti, contiene l’espressa
indicazione, da parte del Pubblico ministero procedente, della conferma delle
modalità di custodia dei reperti e costituisce motivazione certamente adeguata in
difetto di specifiche esigenze tali da imporre particolari modalità di conservazione
delle cose sequestrate.
Il Tribunale, inoltre, ha espressamente affermato che nessuna censura
poteva essere mossa al provvedimento impugnato sotto il profilo motivazionale,
così implicitamente fornendo risposta a tutte le doglianze formulate, sul punto,
dalla difesa.
Quanto alle deduzioni ulteriori poste a sostegno del motivo di ricorso e
concernenti il diverso peso dello stupefacente riscontrato in sede di accertamento
tecnico rispetto a quello constatato all’atto del sequestro, va rilevato che trattasi
di questione di fatto che non può essere prospettata in sede di legittimità.
Per ciò che concerne, infine, la censura concernente l’indicazione di diversi
orari nei verbali di sequestro, dalla semplice disamina degli stessi emerge
chiaramente che la polizia giudiziaria ha dato atto della data e dell’ora di
redazione di ciascuno di essi (rispettivamente, 27 marzo 2015 ore 17,30 e 27
marzo 2015 ore 14,30), precisando, in entrambi i verbali, di aver proceduto al
sequestro alle precedenti ore 12,30, all’esito di perquisizione.

15. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e
alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del
procedimento, nonché quello del versamento, in favore della cassa delle
ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro mille.

15

per ragioni di impossibilità o di opportunità, e, dall’altro, non sono astrattamente

P.Q.M.

Dichiara i ricorsi inammissibili e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 ciascuno in favore della cassa
delle ammende.

Così deciso il 17/12/2015.

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