Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 51190 del 07/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 51190 Anno 2013
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’EREDITA’ GIUSEPPE N. IL 24/04/1955
avverso la sentenza n. 3657/2009 CORTE APPELLO di BARI, del
20/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, pe a parte civile, l’Avv
Ui difensor Avv.

Data Udienza: 07/11/2013

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Eduardo Vittorio
Scardaccione, ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso.
Per il ricorrente è presente l’Avvocato Carone, il quale chiede
l’accoglimento del ricorso e in subordine la declaratoria di prescrizione del
reato.

1.

D’eredità Giuseppe propone ricorso per cassazione contro la

sentenza della Corte d’appello di Bari che, in parziale riforma della
sentenza emessa dal giudice monocratico del tribunale di Trapani,
sezione distaccata di Barletta, lo ha assolto dal reato di cui al capo A
perché il fatto non sussiste e, esclusa l’aggravante di cui all’articolo 61
numero due del codice penale, riconosciute le attenuanti generiche
prevalenti sulla residua aggravante ed unificati i reati nel vincolo della
continuazione, lo ha condannato alla pena di mesi tre di reclusione,
condizionalmente sospesa.
2.

A sostegno del ricorso propone i seguenti motivi:
a.

mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione; secondo il ricorrente le dichiarazioni delle
persone offese contenute nella querela acquisita agli atti non
possono ritenersi idonee ad affermare la penale responsabilità
dell’imputato perché nessuna indagine positiva è stata svolta
sulla credibilità soggettiva e oggettiva di chi le ha rese.

b. Nullità per violazione dell’articolo 97, comma quattro, del
codice di procedura penale perché, in assenza del difensore di
ufficio precedentemente nominato, nel giudizio di primo grado 5

),.k.

RITENUTO IN FATTO

veniva nominato un difensore non iscritto negli elenchi dei
difensori d’ufficio predisposti dal Consiglio dell’ordine forense.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
2. L’acquisizione della denuncia al fascicolo del dibattimento è
avvenuta sul consenso della difesa e, come ha osservato il giudice di
appello, la sussistenza dei reati di cui al capo B è stata confermata dalle
1

A

informazioni rese dal vigile urbano intervenuto sul posto, mentre il litigio
era in corso, nonché dai referti medici relativi alle lesioni subite dalle
persone offese nel corso dell’aggressione. Non vi è stata pertanto
nessuna violazione di legge con riferimento all’utilizzabilità degli atti ai
fini della decisione, posto che vi era l’espresso consenso del difensore,
né vi è stata violazione dell’articolo 111 della costituzione e dell’articolo
6 della Convenzione europea dei diritti umani, posto che la responsabilità
dell’imputato non si è basata unicamente od in misura significativa su

3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, dal
momento che per giurisprudenza costante di questa Corte (Sez. 3, n.
5496 del 02/12/2008, Vergati, Rv. 242475; conff. N. 45915 del 2001 Rv.
220387, N. 14742 del 2004 Rv. 228528, N. 35178 del 2005 Rv. 232569,
N. 22934 del 2006 Rv. 235235) l’inosservanza di quanto prescritto
dall’articolo 97, comma 4, configura una nullità di ordine generale solo
se la parte che la deduce dimostri che ciò abbia in concreto cagionato
una lesione o menomazione del suo diritto di difesa. Tale menomazione
deve essere di carattere oggettivo e non può essere relativa alle
modalità con cui il professionista abbia in concreto svolto il proprio
incarico.
4. L’inammissibilità originaria, non consentendo il formarsi di un valido
rapporto di impugnazione, preclude la possibilità di valutare
l’eventuale decorso dei termini prescrizionali, tanto più se maturati
dopo la sentenza impugnata (Sez. U., n. 23428 del 22/03/2005,
Bracale; Sez. U., n. 33542 del 27/06/2001, Cavaliera; Sez. U., n. 32
del 22/11/2000, De Luca). E ad essa consegue, ai sensi dell’art. 616
C.P.P., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità
dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in
favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle
questioni dedotte, si stima equo determinare in C. 1000,00.
p.q.m.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 a
favore della cassa delle ammende.

dichiarazioni sottratte al contraddittorio.

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