Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5114 del 11/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 5114 Anno 2015
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
COVIELLO MAURO N. IL 13/02/1971
avverso la sentenza n. 5563/2013 CORTE APPELLO di TORINO, del
18/12/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;

Data Udienza: 11/12/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18/12/2013, la Corte d’appello di Torino confermava
quella del G.U.P. del Tribunale di Torino di condanna di Coviello Mauro alla pena
di anni due e mesi otto di reclusione ed euro 3.000 di multa per i reati di
detenzione e porto in luogo pubblico di una pistola cal. 38 clandestina, in quanto
avente matricola abrasa, e relativo munizionamento nonché spari in luogo
pubblico.
La Corte rigettava il motivo di appello concernente la concessione delle

plurimi precedenti penali per reati commessi nell’arco di un ventennio nonché la
gravità dei fatti; soccombenti risultavano la non piena ammissione di
responsabilità e la frequentazione del SERT.
Veniva inoltre respinta la richiesta di non applicare l’aumento per la recidiva
contestata, la Corte osservando che alcuni precedenti riguardavano le armi, non
altrettanto micidiali di quella oggetto dell’odierno processo, circostanza che era
sintomatica di accentuata pericolosità sociale del soggetto.
Veniva considerata infondata la eccezione di legittimità costituzionale
dell’art. 81, comma 4, cod. pen. e la pena inflitta dal giudice di primo grado
veniva ritenuta congrua.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Mauro Coviello, deducendo distinti
motivi.
In un primo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione con
riguardo al mancato pronunciamento della Corte territoriale sulla richiesta di
sciogliere il cumulo giuridico relativamente alla fattispecie contravvenzionale
satellite di cui all’art. 703 cod. pen.; la difesa aveva anche sollevato la questione
di costituzionalità dell’art. 81 comma 4 cod. pen. nella parte in cui prescrive un
aumento minimo obbligatorio o, in alternativa, aveva chiesto di non riconoscere
la continuazione della contravvenzione con gli altri delitti contestati.
Il ricorrente osserva che, in forza del riconoscimento della continuazione tra
tutti i reati, la pena inflitta per la contravvenzione – di per sé punita con la sola
pena dell’ammenda – era stata di una pena detentiva, cosicché l’applicazione
dell’istituto della continuazione, istituto ispirato al favor rei, aveva determinato
un aggravio sanzionatorio; al contrario, la norma dell’art. 81, comma 4, cod.
pen. introdotto dalla legge 251 del 2005 determina un aggravio della sanzione
nei confronti del recidivo; ciò soprattutto in quanto la contravvenzione è esclusa
dalla recidiva.
Il ricorrente insiste per l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio,

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attenuanti generiche, mancando elementi positivi da valorizzare e ostando i

al fine di consentire lo scioglimento del cumulo giuridico e di procedere alla
determinazione autonoma della pena da infliggere per la contravvenzione; in
alternativa, il ricorrente solleva nuovamente la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 81 comma 4, cod. pen., nella parte in cui impone un
aumento minimo di un terzo della pena prevista per il reato più grave in caso di
recidiva, a prescindere dal numero e dalla gravità delle ulteriori violazioni.

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

Il ricorrente, in verità, pone due questioni distinte presentandole
unitariamente.

La prima questione riguarda la possibilità di riconoscere la continuazione tra
delitti e contravvenzioni anche quando le pene sono eterogenee e le modalità, in
caso di risposta affermativa, di calcolo della pena complessiva.
Come è noto, a seguito della riforma operata dal d.l. 99 del 1974, tale
possibilità venne ripetutamente negata da questa Corte, anche a Sezioni Unite;
peraltro, in aderenza al chiaro dettato legislativo, la giurisprudenza si è
progressivamente – e poi definitivamente – orientata per la soluzione opposta,
riconoscendo la possibilità di ritenere la continuazione tra delitti e
contravvenzioni (purché in presenza di dolo) ed affermando che la pena
destinata a costituire la base sulla quale operare gli aumenti fino al triplo per i
reati satelliti – qualunque sia il genere o la specie della loro sanzione edittale – è
esclusivamente quella prevista per la violazione più grave. Tale soluzione ha
trovato l’avallo della Corte Costituzionale.

La seconda questione concerne la legittimità costituzionale dell’art. 81,
comma 4, cod. pen. nella parte in cui stabilisce un aumento minimo di un terzo
della pena stabilita per il reato più grave a prescindere dal numero e dalla
gravità dei reati satellite: questione irrilevante nel presente processo in quanto,
come emerge dal calcolo della pena espresso analiticamente nella sentenza
impugnata, nel caso in esame tale limite non è stato applicato; in effetti, la Corte
territoriale ha fissato la pena base per il delitto sub 3 in anni tre e mesi quattro
di reclusione ed euro 3.500 di multa, aumentandola per la continuazione con i
reati satellite ad anni quattro di reclusione ed euro 4.300 di multa, quindi in
misura nettamente inferiore ad un terzo.

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CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte
Cost. n. 186 del 2000).

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
ammende.

Così deciso l’11 dicembre 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

P.Q.M.

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