Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 51131 del 08/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 51131 Anno 2015
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VALLE CARMINE N. IL 16/11/1979
avverso la sentenza n. 31026/2013 CORTE DI CASSAZIONE di
ROMA, del 12/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 08/05/2015

udito il Procuratore Generale, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. Manlío Morcella, che ha concluso
riportandosi al ricorso illustrando l’errore di fatto di cui è affetta la sentenza
impugnata.
RITENUTO IN FATI-0
1. Con sentenza del 12.6.2014 la Prima Sezione Penale di questa Corte

di Appello di Milano del 23/11/2012, che, a sua volta, aveva confermato la
sentenza del G.U.P. del locale Tribunale, che lo aveva ritenuto responsabile:
– del reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. (capo 1), per avere fatto parte di
un’associazione mafiosa, a carattere familiare, legata alla cosca di
‘ndrangheta Di Stefano di Reggio Calabria, associazione operante in Bareggio,
Cisliano, Milano e province limitrofe e avente sede a Cisliano, in un immobile
trasformato in un bunker, associazione dedita a commettere estorsioni, usure
ed altri reati; in particolare, l’imputato, figlio del capo dell’associazione, Valle
Francesco, contribuiva al rafforzamento economico del sodalizio gestendo,
attraverso prestanome, la società La Giada S.r.l. per permettere agli altri
componenti dell’associazione di eludere le disposizioni di legge in materia di
prevenzione patrimoniale;
-del riciclaggio di tre assegni per Euro 4.000 ciascuno, provento di usura ai
sensi degli artt. 110, 81 648 bis c.p. e 7 D.L. 152/91 (capo 5);
-del reato di cui all’art. 12 quinquies D.L. 306/92 e 7 D.L. 152/91 per
l’intestazione fittizia della proprietà dell’intero capitale sociale della s.r.l. La
Giada, nella sua disponibilità, al fine di eludere le disposizioni di legge in
materia di misure di prevenzione patrimoniale (capo 8), quanto alle
intestazioni successive al 23/5/2005.
2. Avverso tale sentenza il Valle, a mezzo del suo difensore, ha proposto
ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p., affidato a quattro motivi,
lamentando:
-con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 625 bis
c.p.p. in relazione all’ art. 416 bis c.p., per errore di fatto in merito al
momento iniziale della operatività del clan Valle e circa il momento in cui
l’associazione per delinquere comune Valle, regolata dall’art. 416 c.p., si
sarebbe trasformata in associazione mafiosa; in particolare, nell’ambito del
troncone inerente lo stesso procedimento penale che si è concluso con la
sentenza della S.C. n. 2262/2014 correlata ai coimputati del ricorrente che
avevano optato di essere giudicati con le forme del rito immediato, la data
1

rigettava il ricorso proposto da Valle Carmine avverso la sentenza della Corte

viene individuata nell’ 1.11.2008, mentre nel presente giudizio, di converso, la
sentenza n. 789/2014 affronta e risolve l’ identica questione collocando la
data a non più di due anni a ritroso dall’inizio delle indagini (30.10.2008),
sicchè a tutto concedere l’associazione mafiosa Valle, sarebbe iniziata
1’01.11.2006; ma, a parte il dato che per l’ identica consorteria le due diverse
sentenze di legittimità (la n.ro 2262/2014 e la n.ro 789/2014) sono giunte a
decisioni contrastanti pur essendo identica la tematica, la sentenza
impugnata, specificamente quando colloca la data, al maturare dei due anni-

erroneamente tutto l’anno 2006 e non 1’1.11.2006; l’errore di fatto nella
fissazione del momento iniziale di operatività della consorteria Valle è,
dunque, solare;
– con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 625 bis
c.p.p., per errore di fatto in relazione alla omessa considerazione del motivo
n. 2 di doglianza del ricorso per cassazione, con il quale ci si doleva della
mancata esatta individuazione dell’epoca in cui il sodalizio Valle è passato da
consorteria ordinaria a quella qualificata, per l’avvenuto esercizio del metodo
mafioso; in proposito, la sentenza di legittimità n. 789/2014 soggetta a
ricorso straordinario risponde non solo in modo inaccettabilmente generico,
ma anche alla luce dell’errore di fatto in questione, anche in forma
inintellegibile, non ricavandosi la prova del come e perché si sarebbe avuta la
trasformazione dell’associazione ordinaria in mafiosa, a conferma della
inesistenza di uno o più fatti che avrebbero consentito di individuare la
sopravvenuta utilizzazione del metodo mafioso da parte del Valle;
-con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 625 bis
c.p.p., in relazione agli art. 648 bis c.p. e art. 7 d.l. 152 del 1991, per errore
di fatto consistito nell’essere stato il ricorrente ritenuto partecipe al clan
mafioso Valle, perpetrando il reato-fine di riciclaggio di cui al capo 5) e,
comunque, per errore di fatto nell’avere reputato conferente l’art. 7
152/91; la doppia conforme, oltre che in elementi e circostanze di mero
contorno, identifica l’attività partecipativa alla consorteria Valle, attribuita al
ricorrente, nell’avere egli perpetrato reati-fine, ma proprio la collocazione
dell’avvio dell’associazione alli 1.11.2006 avrebbe dovuto ingenerare pure
l’inattribuibilità del reato di riciclaggio, inteso come reato-fine, al ricorrente; il
reato di riciclaggio ha difatti ad oggetto la messa all’incasso da parte di Valle
Carmine di assegni datati 10.02.2006, 13.01.2006 e 10.03.2006, che
attengono ad un periodo antecedente al novembre 2006, con la conseguenza
che è inapplicabile l’art. 7 d.l. 152/91 ed i reati sono estranei al programma
associativo mafioso;
2

da conteggiare alli indietro rispetto all’incipit delle indagini (1.11.2008)- indica

-con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 625 bis
c.p.p., per errore di fatto in relazione alle conseguenze sanzíonatorie derivate
dall’ esclusione del reato di riciclaggio dal programma del reato associativo
ed, inoltre, dal minor contributo assicurato alla consorteria dal ricorrente; la
Corte di legittimità avrebbe dovuto prendere in esame gli effetti favorevoli
scaturenti dall’improprio inserimento del reato di riciclaggio all’interno del
programma dell’associazione mafiosa, ovvero apprezzare in senso “riduttivo”,
l’eventuale partecipazione del ricorrente alla consorteria Valle; il

dovuto rendere obbligata una diversa e più benevola valutazione dell’attività
partecipativa al clan posta in essere dal ricorrente, giacché costui doveva
figurare quale estraneo da ogni consumazione dei reati-fìne; in ogni caso la
ovvia operatività dell’associazione mafiosa alli 1.11.2006 ingenera l’obbligo di
una rivisitazione del trattamento sanzionatorio inflitto al ricorrente, con la
necessaria esclusione, non solo dell’aggravante mafiosa di cui all’art. 7 d.l.
152/91 contestata sul reato di riciclaggio, ma anche sulla stessa valenza
contributiva che questi avrebbe assicurato al funzionamento della consorteria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato.
1.Giova premettere che questa Corte ha costantemente evidenziato che
l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio
previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo,
causato da una svista o da un equivoco, in cui la Corte di Cassazione sia
incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso connotato dall’influenza
esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione
delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da
quella che sarebbe stata adottata senza di esso. E’ stato, in particolare,
precisato che: 1) qualora la causa dell’errore non sia identificabile
esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione
abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto,
bensì di giudizio; 2) sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli
errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero
la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una
inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali
consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito,
dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto
– soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie; 3) l’operatività
del ricorso straordinario non può essere limitata alle decisioni relative
all’accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile

3

disinserimento del reato di riciclaggio dal programma associativo, avrebbe

restrizione dall’effettiva portata della norma in quanto l’errore percettivo può
cadere su qualsiasi dato fattuale (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015; Sez.U, n.
37505 del 14/07/2011, Corsini, Rv. 250527; in senso analogo, Sez. 5,
sentenza n. 7469 del 28/11/2013, dep. 2014, Mísuraca, Rv. 259531).
2. Alla luce di tali principi il primo motivo di ricorso è inammissibile, in
quanto deve escludersi che nella situazione dedotta sia ravvisabile un errore
di fatto percettivo da parte dei giudici di legittimità.
2.1.Ed invero, la sentenza impugnata, così come riportato in ricorso, nel

ascritto a Valle Carmine al capo 1), dando atto che esso era indicato – con
deprecabile approssimazione – con la frase “reato commesso a partire
quantomeno dal novembre 2008 e tuttora permanente”,

ha evidenziato

innanzitutto che la parola “quantomeno” indicasse un dies a quo “aperto”,
seguendo, infatti, immediatamente l’espressione “a partire” e, quindi, si
riferisse alla nascita dell’associazione di stampo mafioso, risultando il dies ad
quem indicato con chiarezza mediante l’indicazione “tuttora permanente”.
Tuttavia, è stato ancora evidenziato nella sentenza impugnata, che:

“si deve

escludere che la generica contestazione “a ritroso” possa essere considerata
validamente effettuata ad libitum, per due ragioni: la prima concerne il diritto
di difesa degli imputati che, ovviamente, devono essere in grado di
individuare il periodo di tempo oggetto della contestazione del reato
permanente; la seconda – che è decisiva – consegue alla condanna dei
componenti del “clan Valle” per il reato di associazione per delinquere
semplice, intervenuta nel 2004 (sentenza del 12/11/2004 del Tribunale di
Vigevano), sicchè il giudicato intervenuto impedisce di ritenere esistente – fino
alla data di quella sentenza di primo grado – una associazione per delinquere
di stampo mafioso, atteso che quell’associazione era semplice e non mafiosa”;
“in questo caso il fenomeno ritenuto dalla Corte territoriale è quello di una
trasformazione della medesima associazione per delinquere finalizzata
all’usura e all’estorsione in associazione di stampo mafioso che, pure,
continua ad avere la sua attività principale nell’usura e nelle estorsioni: e ciò
in conseguenza del diverso metodo, dell’espansione anche ad altri settori di
attività, del reperimento di strumenti di azione più complessi e anche dalla
permanenza nel tempo dell’associazione, che la fa conoscere come gruppo
pericoloso, contro il quale non può esservi alcuna ribellione”; “in definitiva,
appare conforme al materiale probatorio riversato nel processo e rispetto al
quale gli imputati hanno potuto difendersi ritenere che quel – deprecabile “quantomeno” permettesse di risalire nel tempo per non più di due anni
dall’inizio delle indagini, quindi fino a tutto l’anno 2006″.
4

fissare il tempus commissi delicti del reato associativo ex art. 416 bis c.p.

2.2.Tale ultima affermazione ha indotto il ricorrente a ritenere che la Corte
di legittimità fosse incorsa in errore percettivo, atteso che il tempo a ritroso
di non più di due anni, da calcolarsi dall’avvio delle indagini -risalente al
novembre del 2008- avrebbe dovuto comportare l’individuazione dal tempus
commissi delicti al novembre 2006 e non già dal gennaio 2006. Tale
deduzione è manifestamente infondata, non ravvisandosi alcun errore
percettivo nel collocare a tutto il 2006 il dies a quo del sodalizio mafioso
“Valle”, atteso che -a fronte dell’indicazione

a “non più di due anni dall’inizio

solare- risulta dirimente la precisa indicazione finale “fino a tutto l’anno
2006”.
2.3.Depone per la chiara intenzione dei giudici di legittimità di riferirsi a
tale epoca il fatto che in altri punti della motivazione della sentenza
impugnata viene indicato proprio (tutto) l’anno 2006, quale anno spartiacque
per la configurabilità del sodalizio mafioso “Valle” e così, ad esempio, quando
è stato evidenziato che “la fittizia intestazione della s.r.l. La Giada, oggetto
dell’imputazione sub 8, risalendo ad epoca precedente al 2006 ….” ovvero,
che

“l’amplissima motivazione della sentenza impugnata menziona la sua

presenza nella gestione del bar Giada già da epoca anteriore al 2006”.
Decisiva, comunque, appare in proposito l’indicazione che “nel 2006 (epoca
del riciclaggio dei titoli) l’associazione aveva già la caratterizzazione mafiosa
oggetto di valida contestazione nei confronti di Valle Carmine, che ne faceva
parte e che aveva provveduto al riciclaggio dei titoli al fine di agevolarla’.
2.4.Da tale complessivo quadro emerge, dunque, che nessun errore di fatto
nessuna svista è ravvisabile nell’aver indicato “a tutto il 2006” l’epoca di
riferimento per la nascita della consorteria mafiosa “Valle”, avendo inteso i
giudici di legittimità ricomprendere nel periodo a ritroso per la nascita del
sodalizio proprio l’intero anno 2006.
2.5. Le censure relative alla correttezza dell’individuazione di tale epoca ed
alla difformità tra il giudicato n. 2262/2014 (con il quale la data viene
individuata nell’ 1.11.2008) e quello della sentenza impugnata n. 789/2014,
si traducono in sostanza in doglianze relative al percorso valutativo compiuto
dalla Corte di legittimità, inammissibili in sede di questa sede.
3. Inammissibile si presenta il secondo motivo di ricorso, con il quale più
apertamente il ricorrente censura la valutazione compiuta dalla Corte di
legittimità circa l’epoca in cui l’associazione ex art. 416 c.p. si sarebbe
“trasformata” in sodalizio mafioso “Valle”, deducendo la genericità della
risposta del giudice di legittimità alle deduzioni svolte circa l’inesistenza di uno

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delle indagini”, che potrebbe anche sottintendere un riferimento all’anno

o più fatti che avrebbero consentito di individuare la sopravvenuta
utilizzazione del metodo mafioso da parte del Valle.
Come già evidenziato, tuttavia, non possono essere addotti con il rimedio
di cui all’art. 625 bis c.p.p. giudizi e valutazioni espressi dal giudice di
legittimità, del tipo di quelli enunciati dal ricorrente, ma esclusivamente
errori di fatto che non sono ravvisabili nel caso di specie.
4. Del pari manifestamente infondati si presentano il terzo e quarto motivo
di ricorso, con i quali il ricorrente, partendo dal presupposto della sussistenza

nell’individuare l’epoca della genesi dell’associazione mafiosa “Valle”, adduce
la non riconducibilità del reato di riciclaggio ad un reato fine dell’associazione,
riguardando gli assegni datati 10.02.2006, 13.01.2006 e 10.03.2006 un
periodo antecedente al novembre 2006, con la conseguente inapplicabilità
dell’art. 7 d.l. 152/91 e con necessità di ridimensionamento del trattamento
sanzionatorio in favore dell’imputato. Ed invero, in proposito, è superfluo
ancora rilevare che la ritenuta insussistenza dell’errore di fatto nei termini
denunciati dal ricorrente implica, di conseguenza, che inammissibili sono pure
le doglianze relative alla configurabilità dell’aggravante in questione, essendo
il sodalizio mafioso Valle già operativo dal 2006.
5. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa
di inammissibilità, riconducibile a colpa del ricorrente, al versamento, a favore
della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo
determinare in Euro 2000,00, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

p.q.m.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 8.5.2015

dell’errore di fatto in cui sarebbero incorsi i giudici di legittimità

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