Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5113 del 19/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5113 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZOMPARELLI GIUSEPPE N. IL 21/05/1980
avverso la sentenza n. 6322/2009 CORTE APPELLO di ROMA, del
06/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ef.S1/40.”-,(cp,p_)0 Sb_Qaan o
che ha concluso per ;e_Q.
o cesze

Udito, pe

parte civile, l’Avv

Data Udienza: 19/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Roma, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente GIUSEPPE ZOMPARELLI, con sentenza n. 7849 del 6/11/2012, riformava la
sentenza di condanna emessa nei confronti dello stesso dal Tribunale di Frosinone, riducendo la pena ad anni 4 di reclusione ed C 18.000,00 di multa. Confermava nel resto la sentenza impugnata.

aveva ritenuto lo Zomparelli colpevole del reato di cui all’art. 73 Dpr. 309/90,
condannandolo, riconosciutegli le attenuanti generiche e la riduzione per il rito,
alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione ed euro 20.000,00 di multa, ordinando la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente in sequestro. Veniva applicata la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.

2.

Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione

l’imputato, con l’ausilio, del proprio difensore, deducendo i motivi di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto
dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. nullità dell’impugnata sentenza per violazione degli artt. 125 n.3, 606
lett. b), c) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 192 co. 2 cod. proc. pen. e
530 co. 2 cod. proc. pen. per erronea e mancata applicazione della norma e per
difetto di motivazione illogica apparente e contraddittoria risultante dagli atti del
processo.
Il ricorrente deduce che la sostanza stupefacente non è stata rinvenuta
all’imputato, ma ad altra persona e che la consapevolezza da parte dell’imputato
della detenzione della sostanza da parte del coimputato, in assenza di altri elementi, non può far rientrare la condotta nel concorso di cui all’art. 110 cod. pen.,
ma rappresenta una mera connivenza passiva non punibile.
b. nullità dell’impugnata sentenza per violazione artt. 125 n.3, 606 lett. b),
c), ed e) cod. proc. pen. per erronea e mancata applicazione della norma e per
difetto di motivazione illogica apparente e contraddittoria in relazione alla mancata concessione dell’attenuante di cui comma 5 dell’art.73 D.P.R. 309/90.
L’imputato lamenta che la motivazione della sentenza della Corte di appello
ha escluso l’applicabilità dell’attenuante, in quanto il quantitativo, sebbene non
suddiviso in dosi, sarebbe superiore a quello previsto per uso personale ed in
quanto presente, sulla stessa autovettura, il coimputato pregiudicato.
Tale motivazione sarebbe illogica ed apparente in quanto si tratta di mera
detenzione di 16 grammi netti di sostanza senza altri elementi, quali la suddivi-

2

Il giudice di prime cure, all’esito di processo svoltosi con rito abbreviato,

sione in dosi o la presenza di somme di danaro, che possano configurare
un’attività di spaccio.
c. nullità dell’impugnata sentenza per violazione artt.125 n.3, 606 lett. b),
c) ed d) cod. proc. pen. per erronea e mancata applicazione della norma e per
difetto di motivazione illogica apparente e contraddittoria in relazione alla pena
irrogata e ai criteri di cui all’art.133 cod. pen.
Il ricorrente rileva che la Corte, nel riformare la sentenza in relazione alla
pena ha motivato richiamando la formale incensuratezza dell’imputato ed il ruolo

la pena base.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza di appello, con o senza rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il proposto ricorso è infondato e, dunque, va rigettato.

2. Il ricorrente altro non fa, con i tre motivi di ricorso specificati in premessa, che riproporre le doglianze già sottoposte al giudice del gravame del merito e
cui la Corte d’appello con una motivazione puntuale, logica, coerente ed immune
da ogni elemento di contraddittorietà ha fornito precise risposte.
In particolare la corte d’appello di Roma ha ricordato come l’odierna vicenda
processuale prese le mosse da un controllo stradale operato dei carabinieri di
Frosinone che, in servizio su un’auto civetta, sottoposero a controllo l’autovettura Volkswagen Passat a bordo della quale vi erano l’odierno imputato, che era alla guida ed il passeggero Altieri, entrambi soggetti noti agli operanti.
L’autovettura in questione, come sarebbe emerso successivamente, era in
uso all’odierno ricorrente, sebbene acquistata (e in attesa del formale passaggio
di proprietà) dalla convivente, in quel momento sottoposta al regime detentivo
degli arresti domiciliari per reati in materia di stupefacenti.
I due occupanti dell’auto furono subito sottoposti a perquisizione personale

avuto dallo stesso nella vicenda criminosa, senza indicare come viene individuata

con esito negativo, mentre la perquisizione operata sull’autovettura consentì ai
militari di rinvenire e sequestrare, sul tappetino anteriore del lato passeggero occupato dall’Altieri, due involucri in cellophane contenente sostanza la quale, all’esito del narcotest, venne classificata come cocaina.
La successiva consulenza tecnica consentì poi di acclarare che nei due involucri vi era sostanza stupefacente che proveniva da una stessa matrice, visto che
la miscela conteneva cocaina cloridrato nella percentuale dell’80,06%, come pure risultava che il peso degli stessi, singolarmente considerati, era sostanzialmente analogo: uno aveva un peso netto di grammi 10,6369 e l’altro 10,3008.

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4f

Sulla scorta del principio attivo contenuto, facendo applicazione del D.M.
11.4.2006, emergeva perciò che dalla stessa potevano ricavarsi complessivamente 109 dosi droganti.
La Corte d’appello di Roma ricorda come la tesi sostenuta dal difensore secondo la quale detti elementi probatori non sarebbero univoci e quindi idonei alla
configurabilità della fattispecie criminosa, trattandosi di detenzione di sostanza
stupefacente per esclusivo uso personale, era in primo luogo smentita dal fatto
che mai nel corso del processo era stata dimostrata e nemmeno mai affermata la

Del resto la Corte d’appello mostra di condividere le conclusioni cui era già
pervenuto il giudice di prime cure, che aveva evidenziato come la quantità di cocaina detenuta e rinvenuta, di per sé, non dimostrasse automaticamente la finalità di uso non esclusivamente personale, ma come, in uno con la quantità, portassero a tale conclusione alcuni univoci elementi probatori: a) La miscela di cocaina conteneva un principio attivo elevato (80%), dalla quale potevano ricavarsi
ben 109 dosi; b) L’odierno ricorrente era pienamente consapevole in ordine alla
codetenzione della sostanza stupefacente rinvenuta, visto l’atteggiamento tenuto
di sospetto e di allarme alla vista degli operanti, nonché tenuto conto del fatto
che due involucri erano stati rinvenuti sul tappetino dell’autovettura in bella vista
e comunque in posizione tale da non poter essere ignorati dal conducente, che
era appunto lo Zomparelli. c) Lo Zomparelli si era dichiarato nullatenente, in
condizioni economiche mediocri, visto il lavoro in nero svolto come elettricista e
pertanto non appariva in grado di acquistare cocaina per proprio uso personale
in quantità tale da far presumere una spesa ben superiore alle sue capacità di
reddito.
Come si vede, dunque, la Corte di secondo grado non solo ha motivato, ma
lo ha fatto anche analiticamente, in relazione al primo motivo che oggi viene
nuovamente sottoposto a questo giudice di legittimità in ordine alla mancanza di
prova circa la destinazione ad uso non personale dello stupefacente.

qualità di tossicodipendente dello Zomparelli.

3. Analogamente ampia e ben motivata appare la sentenza di appello per
quanto riguarda il mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui al quinto
comma dell’articolo 73 del Dpr 309/90.
Il giudice del gravame del merito ha fatto propria la motivazione del giudice
di primo grado, che esplicitamente ha affermato di condividere, atteso il quantitativo di sostanza stupefacente detenuto, anche se non suddiviso già in dosi, di
particolare rilevanza (109 dosi ricavabili di cocaina, con percentuale di principio
attivo dell’80%), tenuto conto che l’odierno ricorrente non è risultato e nemmeno ha dichiarato di essere tossicodipendente e le dosi ricavabili fossero ben superiori (di oltre 20 volte) a quella detenibili per uso personale.
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4

Nella sentenza impugnata vi è, inoltre, un’articolata motivazione che tiene
conto della compresenza nella autovettura, che non va dimenticato era nella disponibilità dell’odierno ricorrente, di un pregiudicato come Altieri, con il conseguente non trascurabile allarme sociale della condotta.

4. Quanto al terzo e ultimo motivo anch’esso si palesa infondato.
Per giurisprudenza costante di questa Suprema Corte, infatti, la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra, infatti, tra i poteri

applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il
cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (così sez. 4,
n. 21294, Serratore, rv. 256197; conf. sez. 2, n. 28852 dell’8.5.2013, Taurasi e
altro, rv. 256464; sez. 3, n. 10095 del 10.1.2013, Monterosso, nr. 255153).
Già in precedenza si era, peraltro, rilevato come la specifica e dettagliata
motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran
lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere
sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le
espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come
pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (così sez. 2, n.
36245 del 26.6.2009, Denaro, rv. 245596).
Nel caso di specie, dunque, l’onere di una motivazione più puntuale si sarebbe dovuto avere in relazione ad una pena superiore al “medio edittale” che,
per il reato di cui all’art. 73 co. 1 Dpr. 30990 (punito con la reclusione da 6 a 20
anni e la multa da 26.000 a 260.000 euro) è fissato a 13 anni di reclusione e
143.000 euro di multa.
Essendo nel caso in esame la Corte d’Appello partita da una pena base di
anni 9 di reclusione ed euro 36.000 di multa, assolutamente sufficiente è

discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia

l’operato richiamo agli artt. 133 e 133bis cod. pen. ed alla gravità “in concreto”
del fatto commesso, nonché alle condizioni economiche e sociali e al ruolo effettivo avuto dall’imputato nella vicenda criminosa.
Peraltro la corte d’appello non solo ha correttamente motivato in punto di
pena, ma ha anche ridotto la pena stessa. Rilevato, infatti, che il giudice di prime
cure aveva concesso le circostanze attenuanti generiche all’odierno ricorrente, il
giudice del gravame ne ha condiviso la motivazione e ha poi provveduto ad una
riduzione di pena in accoglimento dello specifico motivo di impugnazione.
5. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle
spese processuali.
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*

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 19 dicembre 2013.

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