Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5110 del 19/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5110 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
QARI XHIMI N. IL 05/05/1986
avverso la sentenza n. 137/2009 CORTE APPELLO di ANCONA, del
07/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. s Rea,,,.#22.4e.,0 5D-t 2Q.ito
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Data Udienza: 19/12/2013

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’Appello di Ancona, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente XHIMI QARI, con sentenza n.1584/12 del 7.5.2012, confermava la sentenza di condanna emessa nei confronti dello stesso dal Tribunale di Pesaro, con
condanna alla rifusione delle ulteriori spese processuali.
Il giudice di prime cure aveva condannato XHIMI QARI, riconosciutegli le cir-

di reclusione ed euro 2000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, ordinando la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente, per il
reato di cui all’art. 73 comma 5 Dpr 309/90 perché deteneva, anche con finalità
di cessione nei confronti di terzi, modica quantità di cocaina.

2.

Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione

l’imputato, con l’ausilio del proprio difensore, deducendo i motivi di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto
dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:

a. mancanza di motivazione, vizio risultante da atti del processo, ex art. 606
comma 1 lett. e) cod. proc. pen. deducendo come la Corte d’Appello di Ancona
abbia omesso di pronunciarsi su un motivo di gravame, ossia l’inapplicabilità al
caso di specie delle tabelle previste dal D.M. 11/04/06.
Il ricorrente lamenta l’avvenuta applicazione ai fatti contestati, risalenti al
11/02/06, delle citate Tabelle entrate in vigore in data 08/05/06.

b. illogicità della motivazione, in relazione all’art. 606 comma 1 lett. e) cod.
proc. pen. deducendo che la Corte di Appello abbia motivato in maniera illogica e
contraria al senso comune ed alle massime di esperienza, escludendo la circostanza che la droga fosse detenuta per uso personale, tenuto conto delle condizioni economiche dell’imputato e della quantità di stupefacente.

c. inosservanza dell’art. 533 cod. proc. pen., in relazione all’art.606, comma
1 lett. b) cod. proc. pen., lamentando l’avvenuta condanna pur in presenza di ricostruzioni alternative rispetto a quella accusatoria.
Le circostanze che la Corte ha ritenuto determinanti ai fini della colpevolezza
dell’imputato, ad avviso del ricorrente, potevano essere interpretate in senso
contrario. Il ricorrente deduce che non è stato provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la sostanza non era detenuta per fini personali.

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costanze attenuanti generiche, alla pena condizionalmente sospesa di mesi otto

Chiede, pertanto, cassarsi la sentenza di appello, con sentenza di assoluzione con formula piena. In subordine, chiede l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato. In estremo subordine, in caso di conferma della condanna, applicarsi l’ipotesi dell’art.73 c.5 DPR 309/90, ridimensionando la pena rispetto a quella
confermata dalla Corte di Appello. In ultimo dichiarare l’estinzione della pena per
l’indulto.
CONSIDERATO IN DIRITTO

tanto dichiarato inammissibile.

2. In ordine al primo motivo – laddove il ricorrente lamenta la mancata motivazione della Corte d’appello in ordine all’inidoneità del quantitativo dello stupefacente rinvenuto in capo al ricorrente a qualificare la medesima detenzione a fine di spaccio, per essere inapplicabile la normativa di cui al DM 11.4.2006 al caso di specie, in quanto il fatto per cui è processo e risalente ad epoca precedente
11.2.2006 alla sua entrata in vigore 8.5.2006 – lo stesso non può trovare accoglimento in quanto il giudice del merito, come correttamente evidenziato dalla
corte d’appello in motivazione, non si è limitato a valorizzare solo il dato ponderale e la qualità dello stupefacente, ma ha fondato la propria condanna su altri
elementi inequivocabilmente negativi per l’imputato e che lo hanno fatto propendere per la detenzione a fine di spaccio della sostanza caduta in sequestro.
Ci si riferisce, in primis, all’occultamento dello stupefacente (suddiviso in dosi frazionate termosigillate nella parte interna della scarpa destra), condotta certamente inusuale per il mero assuntore,
Viene poi sottolineata in motivazione l’incongruenza della versione relativa
alla destinazione ad esclusivo uso personale a fronte della circostanza che l’imputato si sia portato al seguito tutto lo stupefacente nonostante l’avvenuto accesso all’interno della sua abitazione, nonché l’incompatibilità del quantitativo
con le condizioni economiche dell’imputato, il quale risultava guadagnare all’epoca circa 700-1000 euro mensili per cui l’acquisto dello stupefacente rinvenuto in
suo possesso (dichiarato in euro 500) avrebbe impegnato oltre la metà delle risorse economiche per la sussistenza di un intero mese.
Trattavasi, peraltro, di cocaina il cui possesso nella misura caduta in sequestro, connotata dagli elementi fattuali di cui si è appena detto, integrava il reato
contestato alla luce delle tabelle ministeriali vigenti al momento della commissione del fatto.

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1. I proposti motivi appaiono manifestamente infondati e il ricorso va per-

3. Quanto al secondo motivo di doglianza, che assume esservi stata una
motivazione contraddittoria, va rilevata la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta
sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi
di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi
questa Sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006).

per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di
spessore tale da risultare percepibile ictu ocull, dovendo il sindacato di legittimità
al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti
le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che,
anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni
del convincimento (Sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del
24.11.1999, Spina, RV. 214794).
Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’art.
606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione
non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due
requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (sez. 2, n. 21644 del
13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542)
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c’è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità
di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali.
E ciò anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc.
pen. come modificato dalla I. 20.2.2006 n. 46. Il giudice di legittimità non può
Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una
versione alternativa del fatto (la detenzione della sostanza stupefacente per uso
personale), senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione

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Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione

che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale
illogicità vada desunta.
Il vizio della manifesta illogicità della motivazione deve essere evincibile
dal testo del provvedimento impugnato.
Com’è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la
sentenza deve essere logica “rispetto a sé stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da

non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice
della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.
Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo” costituisce invero il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto “travisamento della

prova” che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove),
prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all’interno
della decisione.
In altri termini, vi sarà stato “travisamento della prova” qualora il giudice
di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad
esempio, un documento o un testimone che in realtà non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse
dell’imputato). Oppure dovrà essere valutato se c’erano altri elementi di prova
inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma -occorrerà ancora ribadirlo- non spetta comunque a questa Corte Suprema “rivalutare” il modo con
cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacché attraverso la verifica del travisamento della prova.
Per esserci stato “travisamento della prova” occorre che sia stata inserita
nel processo un’informazione rilevante che invece non esiste oppure si sia omesso di valutare una prova decisiva ai fini della pronunzia.
In tal caso, però, al fine di consentire di verificare la correttezza della motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per Cassazione quale sia l’atto
che contiene la prova travisata o omessa.
Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere
carattere di decisività. Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimità una rivalutazione complessiva delle prove che, come più volte detto, sconfinerebbe nel merito.
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“altri atti del processo”, purché specificamente indicati nei motivi di gravame,

Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano
manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza
della Corte d’Appello di Ancona alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
Il ricorrente non contesta il travisamento di una specifica prova, ma sollecita a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali non consentito in

La corte d’appello di Ancona peraltro ha offerto una motivazione assolutamente coerente, logica ed immune da censure laddove ha confutato in maniera
puntuale i motivi del gravame, evidenziando le inverosimiglianze della versione
difensiva dell’imputato, essendo chiaramente riconducibile all’ipotesi delittuosa
contestata la circostanza fattuale dell’occultamento dello stupefacente ed essendo contrario al senso comune che una persona in condizioni economiche disagiate spenda una somma proporzionalmente rilevantissima, quale quella indicata,
per l’acquisto di stupefacente da consumarsi nell’arco di poche ore.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede
una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto
sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.

4. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo di gravame in quanto, a
fronte di una motivazione logica e non contraddittoria dei giudici del merito, a
questa Suprema Corte è inibito proprio ciò che chiede il ricorrente, e cioè delineare una ricostruzione in fatto alternativa, che porterebbe ad una diversa quantificazione della pena. Peraltro la corte d’appello aveva evidenziato, quanto alla
pena, che già il giudice di prime cure si era mantenuto nei limiti edittali nell’irrogazione della stessa.

5. Quanto alla richiesta applicazione dell’indulto la stessa va disattesa in
quanto l’indulto potrà essere riconosciuto in sede esecutiva previa verifica dei
presupposti di legge.

6. A norma dell’art. 616 c.p.p, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del
13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedi-

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questa sede di legittimità .

mento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma il 19 dicembre 2013.

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