Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5106 del 11/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 5106 Anno 2015
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SILENZIO FRANCESCO N. IL 15/03/1975
avverso l’ordinanza n. 1789/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
17/04/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 11/12/2014

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa in data 17 aprile 2013 la Corte di Appello di Napoli,
pronunciando quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta da
Francesco Silenzio di applicazione in sede esecutiva della continuazione fra i reati
indicati nell’istanza.
2.Avverso l’indicato provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione

applicazione della legge in relazione al disposto degli artt. 81 cod. pen. e per
mancanza e manifesta illogicità della motivazione in merito alla ritenuta
insussistenza dei presupposti applicativi della continuazione. Secondo il ricorrente,
la Corte di merito, oltre ad avere esaurito la motivazione in sintetiche e lapidarie
affermazioni, mere formule di stile, aveva erroneamente omesso di considerare che
tra gli indici esteriori significativi dell’identità del disegno criminoso vi era la
distanza cronologica tra i reati, le modalità dei fatti, la sistematicità e le abitudini
programmate di vita, l’omogeneità delle violazioni. Nel caso di specie tali requisiti
erano ricorrenti, in quanto la distanza tra i due delitti associativi, profilo non
decisivo in senso negativo, era dipesa soltanto dai periodi di carcerazione subiti,
tant’è che non appena egli aveva ottenuto la libertà aveva realizzato la condotta di
tentata estorsione in danno di un commerciante della zona di pertinenza del clan
Formicola, tipico reato fine dell’associazione di stampo mafioso ed aveva protratto
la militanza nello stesso gruppo con gli stessi sodali e nella stessa area territoriale.

Considerato in diritto

L’impugnazione è inammissibile perché basata su motivi manifestamente
infondati ed aspecifici.
1.L’ordinanza impugnata ha analizzato le vicende fattuali, oggetto di
accertamento nelle tre pronunce di condanna e ha evidenziato che il Silenzio era
risultato intraneo ad associazione a delinquere di stampo mafioso, denominata clan
Formicola, dapprima a partire dal 1993 e sino al 1998, quindi dal luglio 2007,
periodo quest’ultimo nel quale aveva militato anche in organizzazione finalizzata al
traffico di stupefacenti, realizzando nel 2002 un tentativo di estorsione aggravato ai
sensi dell’art. 7 d.l. 152/91. Ha dunque affermato che la parziale identità dei fatti
associativi e la contestazione dell’aggravante sopra citata non potevano
considerarsi sufficienti a ravvisare l’identità del disegno criminoso, necessaria per
l’applicazione anche in sede esecutiva dell’istituto della continuazione, richiedente la
dimostrazione dell’unitaria preordinazione di un programma antigiuridico, risalente
a momento antecedente la commissione del primo reato e poi attuato nel tempo. Vi
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l’interessato a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento per erronea

ostavano, infatti, la mancata dimostrazione della permanenza del vincolo
associativo anche nel periodo intermedio tra il 1998 ed il 2007, nonché la notevole
distanza temporale tra tali condotte anche rispetto al delitto intermedio di tentata
estorsione aggravata. Deve dunque concludersi che il provvedimento in verifica è
corredato da motivazione sintetica, ma sufficiente, compiuta e razionale.
1.1 Per contro, il ricorso ribadisce la medesima prospettazione già respinta dai
giudici di merito, sostiene circostanze non riscontrate e genericamente prospettate

giudiziali contenuti nelle pronunce di condanna e sulla finalità unitaria perseguita
dal ricorrente, senza però illustrare in dettaglio con quali modalità avrebbe
continuato a militare nel clan Formicola anche durante il periodo di espiazione della
pena detentiva.
1.2 L’ordinanza in verifica ha offerto puntuale applicazione in punto di diritto
all’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale, qualora uno
dei reati da unificare per continuazione sia un reato associativo, devono negarsi
soluzioni aprioristicamente negative, basate sulla struttura della fattispecie astratta,
così come, all’opposto, vanno respinte presunzioni legate alla permanenza del
vincolo partecipativo ed alla generica indeterminatezza del programma criminoso.
La questione della configurabilità della continuazione non “va impostato in
termini di compatibilità strutturale, in quanto nulla si oppone a che, sin
dall’inizio, nel programma criminoso dell’associazione, si concepiscano uno o più
reati-fine individuati nelle loro linee essenziali, di guisa che tra questi reati e
quello associativo si possa ravvisare una identità di disegno criminoso. Ne consegue
che tale problema si risolve in una “quaestio facti” la cui soluzione è rimessa di
volta in volta all’apprezzamento del giudice di merito” (Cass. sez. 1, ord. n. 12639
del 28/3/2006, rv. 234100, Adamo; sez. 5, n. 23370 del 14/5/2008, rv. 240489,
Pagliara; sez. 1, 6.12.2005 nr. 44606; 14/05/1997 nr. 1474; 14.10.1997 nr.
3650). Si è altresì correttamente affermato al riguardo: “In tema di associazione
mafiosa, ovvero di associazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74, non può
sostenersi che la commissione di reati fine rientri nel generico programma della
“societas sceleris”, nè che i medesimi siano consumati “per eseguire” il delitto
associativo, dal momento che tale reato, in entrambe le forme innanzi richiamate,
ha natura permanente ed è, di regola, preesistente rispetto ai fatti delittuosi
ulteriori; questi ultimi, a loro volta, pur essendo certamente episodi non inconsueti
nel panorama di attività criminosa della struttura delinquenziale, non rappresentano
la finalità per la quale l’associazione è stata costituita” (Cass., sez. 1, n. 8451 del
21/1/2009, rv. 243199, Vitale).
Né al riguardo può assumere rilievo l’avvenuta commissione di fatti criminosi
da parte del partecipe al sodalizio criminoso nel periodo di appartenenza allo stess
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e si basa sulla formulazione dei meri capi d’imputazione, più che sugli accertamenti

e nemmeno che quel tipo di attività delinquenziale rientri astrattamente nelle
finalità per le quali è stata costituita l’associazione: al contrario, l’identità del
disegno criminoso non può ravvisarsi nei casi in cui, ad esempio, un omicidio, un
fatto estorsivo, di usura, lo spaccio di droga, ancorchè appartenenti alle tipologie di
illecito cui usualmente si dedichino gli associati, siano stati commessi per eventi
imprevedibili, per effetto di impulsi subitanei o di esigenze estemporanee, ossia in
situazioni concrete nelle quali le azioni siano sollecitate da spinte motivazionali

essenziali al momento dell’adesione all’organizzazione (Cass. sez. 1, n. 13609 del
22/3/2011, rv. 249930, Bosti; sez. 1, n. 13611 del 22/3/2011, rv. 249931,
Aversano; sez. 6, n. 2960 del 27/9/1999, rv. 214555, Ingarao; sez. 1, n. 3834 del
15/11/2000, rv. 218397, Barresi). Infine, anche l’identità del bene giuridico violato
ed il lasso temporale intercorso fra le varie condotte costituiscono aspetti da soli
insufficienti a dare la dimostrazione dell’esistenza di quell’unico iniziale programma
in vista di uno scopo determinato, ricomprendente le singole violazioni, che
costituisce l’indefettibile presupposto per il riconoscimento della continuazione.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa
insiti nella proposizione di impugnazione di tale tenore, della somma che si stima
equa di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2014.

insuscettibilí di una preventiva ideazione e deliberazione nemmeno nelle linee

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