Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 51057 del 13/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 51057 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: VILLONI ORLANDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

GALLETTI Filippo, n. Spinetoli (Ap) 5.11.1952
avverso l’ordinanza n. 271/15 del Tribunale del Riesame di Ancona del 28/07/2015

esaminati gli atti e letti il ricorso ed il provvedimento decisorio impugnato;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere, dott. Orlando Villoni;
sentito il pubblico ministero in persona del sostituto P.G., d.ssa P. Filippi, che ha concluso

Data Udienza: 13/11/2015

per il rigetto;
udito il difensore del ricorrente, avv. Carlo Bernnone in sostituzione dell’avv. Mauro Gionni,
che ha insistito per l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del Riesame di Ancona ha respinto l’appello proposto ex art. 310 cod. proc. pen. da Galletti Filippo avverso quella emessa il 25/06/2015, con cui

o/

il GIP del Tribunale di Ascoli Piceno aveva applicato nei suoi confronti la misura interdittiva

della sospensione da qualsiasi pubblico ufficio e servizio (art. 289 cod. proc. pen.), in quanto

-r
,

dipendente del Comune di Spinetoli (Ap) e perché provvisoriamente accusato dei delitti di falso
continuato in atto pubblico (artt. 81 cpv., 110, 479 cod. pen.) e corruzione continuata per atti
contrari ai doveri d’ufficio (artt. 81 cpv., 319, 321 cod. pen.) in relazione alla falsa attestazione di residenza ed iscrizione nelle liste comunali di trentuno cittadini stranieri nonché alla
indebita percezione di denaro per commettere tali condotte ed omettere di verificare la sussistenza del requisito della dimora abituale da parte dei richiedenti residenza.
Il Tribunale ha respinto il primo motivo dell’appello proposto, riguardante l’omessa indicazione del termine di durata della misura nel provvedimento cautelare genetico, rilevando la
assenza di qualsiasi nullità e sostenendo che il Tribunale può in sede di riesame supplire a tale

Nel merito, ha ritenuto l’ordinanza impugnata congruamente motivata, frutto di autonoma
valutazione del primo giudice in rapporto al compendio indiziario offerto dal PM, escluso la
buona fede dell’indagato in rapporto alle condotte ascrittegli ed infine ritenuto la sussistenza di
concrete ed attuali esigenze cautelari, per fatti plurimi reiteratisi in un arco temporale a cavallo
tra gli anni 2011 e 2014.

2. Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso l’indagato, deducendo la violazione del divieto di
reformatio in pejus per avere il Tribunale integrato l’ordinanza genetica impugnata, indicando
autonomamente la durata della misura interdittiva applicata mediante apposizione del termine
massimo di dodici mesi, in tal modo applicando un trattamento cautelare deteriore rispetto a
quello individuato dal primo giudice.
Quale secondo motivo di censura, il ricorrente deduce vizio di motivazione in relazione ai requisiti dell’attualità e della concretezza delle esigenze cautelari, osservando che i fatti commessi risalgono al massimo al mese di giugno del 2014 e che la misura interdittiva è stata
applicata a distanza di oltre un anno dalla cessazione della consumazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e come tale deve essere respinto.

2. Il ricorrente sostiene la tesi che alla mancata indicazione nell’ordinanza genetica del termine di efficacia della misura interdittiva adottata ai sensi dell’art. 289 cod. proc. pen. non
possa ovviare autonomamente il Tribunale del Riesame; logici corollari di tale prospettazione
sono che la mancata indicazione del termine di durata massima implica che la misura sia stata
applicata per la durata minima di un solo giorno e di conseguenza che l’apposizione da parte
del Tribunale di un diverso termine determini la violazione del principio del divieto di reformatio in pejus valevole anche per la procedura d’appello di cui all’art. 310 cod. pen.
L’assunto è infondato.
Come la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione ha già avuto modo di precisare, l’art.
289 cod. proc. pen. non prevede che l’ordinanza che dispone la sospensione dall’esercizio di un
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carenza, indicando il termine di durata ritenuto congruo in relazione alle esigenze cautelari.

pubblico ufficio o servizio debba indicare un termine di efficacia, applicandosi, infatti, la regola
generale prevista per le misure interdittive dall’art. 308, comma 2 cod. proc. pen. (Sez. 2,
sent. n. 29132 del 12/03/2013, Tomassetti, Rv. 256347).
Tale ultima previsione stabilisce unicamente che la durata della misura non può essere superiore a dodici mesi, ma che il giudice può apporre un termine diverso ovvero disporne la rinnovazione, ancorché entro il termine massimo di dodici mesi.
L’omessa indicazione del termine nell’ordinanza genetica comporta, pertanto, che la durata
della misura sia quella massima, salva la possibilità per il Tribunale di integrare il provvedimento indicando un termine inferiore; va da sé, invece, che l’eventuale indicazione espressa

operata dal primo giudice.
Come correttamente rilevato dal Tribunale del Riesame di Ancona, inoltre, l’omessa indicazione del termine non determina alcuna nullità, non rientrando tra le cause di nullità dell’ordinanza tassativamente indicate all’art. 292, comma 2 cod. proc. pen.
Vale, infatti, considerare che solo nel caso di una misura coercitiva disposta a garanzia delle
esigenze di acquisizione probatoria di cui all’art. 274 lett. a) cod. proc. pen., l’omessa indicazione della data di scadenza comporta la nullità della relativa ordinanza ai sensi dell’art. 292
lett. d) cod. proc. pen., ma in assenza di espressa previsione non è dato evidentemente
estendere tale regime alle misure interdittive.
Quanto, invece, all’equivalenza della mancata indicazione del termine di scadenza con l’applicazione della misura interdittiva nella sua massima durata, vale ricordare che l’originaria versione dell’art. 308, comma 2 cod. proc. pen. stabiliva che le misure interdittive perdessero
efficacia decorsi due mesi dalla relativa esecuzione, salva la facoltà del giudice di prorogarne la
durata per esigenze probatorie entro i limiti previsti dal comma 1 dello stesso art. 308.
La legge n. 190 del 6 novembre 2012 ha poi introdotto il comma 2-bis riferito ad alcuni reati
contro la pubblica amministrazione, stabilendo che in tali casi le misure perdessero efficacia
decorsi sei mesi dall’inizio dell’esecuzione, fatta sempre salva la possibilità per il giudice di
disporne la rinnovazione entro i limiti temporali più ampi indicati dallo stesso comma.
La legge n. 47 del 16 aprile 2015 ha, infine, riscritto il comma 2 dell’art. 308, abrogato il
comma 2-bis e individuato un termine unico di durata massima delle misure riferito a tutte le

del termine di dodici mesi altro non significa che la conferma della valutazione implicitamente

ipotesi di reato.
L’omessa previsione della necessaria fissazione di un termine nel provvedimento di applicazione della misura discende, perciò, anche storicamente dall’originaria mancata previsione di
un ambito di discrezionalità del giudice nella determinazione della durata, oggi certamente
superata dall’espressa previsione contraria che, tuttavia, non implica necessariamente l’obbligo
di indicare il termine di efficacia, non essendo la novella intervenuta sul citato art. 292 lett. d)
cod. proc. pen. né avendo introdotto alcuna previsione che alla prima faccia espresso richiamo
applicativo.
Per completezza espositiva va oltre tutto ricordato che la giurisprudenza di questa Corte di
legittimità riconosce al tribunale del riesame, nel procedimento incidentale di impugnazione
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ci

< anche di una misura cautelare finalizzata a garantire la genuinità dell'acquisizione della prova ai sensi dell'art. 274, lett. a), cod. proc. pen., la possibilità di sanare comunque la menzionata nullità derivante dall'omessa indicazione della data di scadenza della misura stessa, fissando di propria iniziativa il termine non indicato nell'ordinanza genetica (Sez. 3, sent. n. 3577 del 20/10/ 1995, Pardi, Rv. 203114 e Sez. 1, sent. n. 554 del 05/02/1992, Scarfò ed altro, Rv. 189727). 3. Anche il secondo motivo di censura risulta infondato. Il ricorrente deduce vizio di motivazione in relazione ai requisiti dell'attualità e della con- che la misura interdittiva è stata applicata a distanza di oltre un anno dalla cessazione delle condotte ascrittegli. A tale riguardo, tuttavia, non è dato ravvisare alcun vizio argomentativo nell'ordinanza impugnata, che ha ricordato la pluralità dei fatti - reato provvisoriamente contestati (trentuno), il lungo arco temporale entro cui sono stati consumati (circa tre anni), l'intervenuta strumentalizzazione della funzione da parte dell'indagato, l'esistenza di una diffusa prassi d'illegalità nell'ufficio di appartenenza e soprattutto la concreta possibilità per il ricorrente di continuare ad influire sulla relativa attività, anche in ipotesi di mero spostamento ad altro settore del già ristretto ambito lavorativo costituito dell'amministrazione comunale del Comune di Spinetoli. Trattasi di argomentazioni del tutto congrue e conformi alle risultanze indiziarie - avendo il Tribunale ricordato che il dedotto trasferimento a diverse funzioni non risulta essere mai intervenuto - e soprattutto in linea con il principio affermato da questa Corte di legittimità secondo cui nei reati contro la pubblica amministrazione, può essere legittimamente adottata una misura cautelare personale nei confronti di un pubblico dipendente, per reati commessi nello esercizio delle sue funzioni, anche in ipotesi di trasferimento del medesimo, su disposizione dell'amministrazione di appartenenza, ad altro settore, attesa la temporaneità della misura disciplinare che non esclude di per sé il pericolo di reiterazione dei reati (Sez. 2, sent. n. 15606 del 22/03/2013, Mascitti e altri, Rv. 255796). 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P. Q. M . rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. DEPOSITATO IN CANCELLERIA` cretezza delle esigenze cautelari, ricordando che i fatti risalgono al mese di giugno del 2014 e

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