Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 51041 del 15/12/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 51041 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
CUNEO nel proc. c/:
– BOSTICARDO SERGIO, n. 18/01/1941 a La Morra

avverso la sentenza del GIP del tribunale di CUNEO in data 30/12/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. F. Salzano, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della
sentenza con restituzione degli atti al tribunale per l’ulteriore corso;

Data Udienza: 15/12/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 30/12/2014, depositata in data 31/12/2014, il
GIP presso il tribunale di CUNEO ha assolto BOSTICARDO SERGIO, con la
formula perché il fatto non costituisce reato, dal reato di cui all’art. 256, corna
primo, d. Igs. n. 152 del 2006 (raccolta, trasporto e commercio non autorizzati di
rifiuti metallici) perché, pur non essendo iscritto all’Albo Nazionale dei Gestori

società rifiuti metallici (fatti contestati come commessi tra il 1/01/2013 ed il
4/06/2013).

2. Ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
CUNEO, impugnando la sentenza predetta con cui deduce tre motivi di ricorso, di
seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173
disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c), cod. proc.
pen., sotto il profilo della violazione di legge in relazione all’art. 459, comma
terzo, cod. proc. pen.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il
ricorrente, il giudice avrebbe erroneamente prosciolto l’imputato dal reato
addebitato, anziché provvedere alla restituzione degli atti al PM procedente; ed
invero, si osserva, nella sentenza si fa riferimento a lacune investigative,
sostenendo che difetti nella richiesta di emissione di decreto penale ogni
accertamento su tipologia esatta di materiale, sull’esatta entità dei ricavi per
averne indicazioni sulla estemporaneità o sistematicità delle condotte in capo ai
soggetti agenti; se tale era la situazione del materiale all’esame del giudice,
sostiene il PM ricorrente, non sarebbe stato possibile per il GIP prosciogliere ex
art. 129 cod. proc. pen. l’imputato, ma, versandosi in una situazione di
mancanza di dati su elementi ritenuti rilevanti per la decisione, avrebbe dovuto
essere disposta la restituzione a norma dell’art. 459, comma terzo, cod. proc.
pen.; in tal senso, del resto, osserva il ricorrente, si è pronunciata la
giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite (il riferimento, nel ricorso
è alla nota decisione delle Sezioni Unite Cardoni n. 18 del 9/06/1995 ed alla
conforme giurisprudenza successiva, di cui il ricorrente richiama Sez. 3, Carboni
n. 15034/2012 e Sez. 3, Fusco, n. 45934/2014).

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Ambientali, nel corso del 2013 raccoglieva, trasportava e rivendeva ad una

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod. proc.
pen., sotto il profilo della violazione di legge in relazione all’art. 5 cod. pen.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il
ricorrente, non vi erano in atti gli estremi per ipotizzare la sussistenza di un
errore inevitabile sulla norma penale, in particolare per escludere che i soggetti
agenti si trovassero in una situazione di “errore inevitabile”; a tal proposito,
ricorda il PM ricorrente, esiste un sistema pubblico di raccolta di rifiuti urbani,

198, d. Igs. n. 152 del 2006; il servizio comunale di raccolta differenziata si
occupa dei rifiuti urbani ingombranti metallici o meno e, nel territorio
interessato, con servizio di raccolta sotto casa; i soggetti agenti, invece, hanno
operato in una prospettiva di privatizzazione dei ricavi e di collettivizzazione dei
costi, in quanto gli stessi avrebbero individuato centro di recupero disposti ad
acquistare irregolarmente materiale che tutti hanno venduto come privati e non
come ditte – come emergerebbe dal fatto che presso la ditta che riceveva i rifiuti
l’imputato ha utilizzato non la propria partita IVA ma il proprio codice fiscale
individuale-, e, nel fare tali operazioni, i privati non avrebbero contatto né il
servizio comunale né avrebbero avuto alcuna indicazione né dall’Amministrazione
comunale né da orientamenti giurisprudenziali; in sostanza, sostiene il PM
ricorrente, nello svolgimento di tale attività economica motivata da scelte di
profitto, seppur minimale, è mancato qualsiasi accertamento delle regole che
avrebbero dovuto trovare applicazione, condotta inquadrabile quantomeno nella
colpa per negligenza ed imperizia; censurabile, peraltro, sarebbe la sentenza
laddove sostiene l’esistenza di una complessità normativa in materia, smentita
dal dato oggettivo per il quale non è in corso alcuna liberalizzazione del mercato
dei rifiuti, metallici e non; a tal proposito, il PM ricorda le decisioni di questa
Corte circa la rilevanza della c.d. ignoranza inevitabile con riferimento ai reati
contravvenzionali (Sezioni Unite Calzetta n. 8154 del 10/06/1994), richiamando
anche la più recente giurisprudenza (Sez. 3, Cangialosi, n. 49910/2009) che, con
riferimento alla buona fede idonea ad escludere nei reati contravvenzionali
l’elemento soggettivo, richiede pur sempre un fattore positivo esterno che abbia
indotto il soggetto in errore incolpevole; nel caso in esame, invece, di ciò non vi
sarebbe traccia, non esistendo né un consolidato indirizzo né tantomeno una
pronuncia di legittimità, conclude il ricorrente, che escluda la rilevanza penale
alle condotte di gestione di rifiuti.

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come ricorda la stessa motivazione dell’impugnata sentenza che richiama l’art.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod. proc.
pen., sotto il profilo della violazione di legge in relazione all’art. 256, comma
primo, d. Igs. n. 152 del 2006.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il
ricorrente, il giudice avrebbe erroneamente prosciolto l’imputato dal reato
addebitato richiamando il disposto dell’art. 193, comma quinto, d. Igs. n. 152 del
2006, ossia facendo riferimento all’espressa esenzione dal FIR (formulario di

e sporadici; sul punto, sostiene il PM ricorrente, non v’è dubbio che il fatto
addebitato rientri nel capo di applicazione della norma contestata, in quanto il
reato de quo è un reato impropriamente comune in quanto necessariamente
legato allo svolgimento di un’attività di gestione di rifiuti anche se limitata ad
una sola tra le varie condotte elencate dalla norma, trattandosi di fattispecie a
condotta plurima; ciò sarebbe confermato, prosegue il ricorrente, dalla
interpretazione fornita da questa stessa Corte (il riferimento è alla recente
sentenza di questa Sezione, ric. Lazzaro, n. 29992/2014), che ha anche
precisato come a nulla rilevi la minore o maggiore entità del volume di affari al
quale il giudice del merito sembra attribuire rilievo; in sostanza, puntualizza il PM
ricorrente, un’attività di ripetuto commercio di rifiuti metallici per quantitativi
significativamente eccedenti i trasporti occasionali e sporadici come definiti dal
legislatore, anche se non integra la principale o l’esclusiva fonte di reddito
dell’agente integrerebbe comunque l’attività sanzionata penalmente; nella
sentenza impugnata, invece, difetterebbe ogni indicazione dell’assoluta
occasionalità richiesta da questa Corte per derivarne l’irrilevanza penale della
stessa; anzi, conclude il PM, nel caso in esame in almeno due distinte occasioni
nel corso del primo semestre 2013 l’imputato avrebbe rivenduto
complessivamente alla società destinataria dei rifiuti metallici oltre due volte il
quantitativo massimo annuale di quanto definito dalla legge come trasporto
occasionale e sporadico, indice di una vera e propria attività ancorchè secondaria
e non ad un’operazione assolutamente occasionale.

3. Con requisitoria scritta depositata presso la cancelleria di questa Corte in data
4/06/2015, il Procuratore Generale presso la S.C. ha chiesto annullarsi
l’impugnata sentenza, essendo fondati tutti e tre i motivi di ricorso, richiamando
le argomentazioni già sviluppate dall’impugnante con il ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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identificazione del rifiuto) per trasporti del produttore rifiuti che siano occasionali

4. Il ricorso è fondato.

5. Ed invero, quanto al primo motivo, come correttamente osservato dal PM
ricorrente, nella sentenza si fa riferimento a lacune investigative, sostenendo che
difettasse nella richiesta di emissione di decreto penale ogni accertamento su
tipologia esatta di materiale, sull’esatta entità dei ricavi per averne indicazioni
sulla estemporaneità o sistematicità delle condotte in capo ai soggetti agenti.

Corte che, se tale era la situazione del materiale all’esame del giudice, non
sarebbe stato possibile per il GIP prosciogliere ex art. 129 cod. proc. pen.
l’imputato, ma, versandosi in una situazione di mancanza di dati su elementi
ritenuti rilevanti per la decisione, avrebbe dovuto essere disposta la restituzione
a norma dell’art. 459, comma terzo, cod. proc. pen.
Sul punto pacifico è infatti l’orientamento giurisprudenziale, correttamente
ricordato dal PM e dal PG, secondo cui il giudice per le indagini preliminari può,
qualora lo ritenga, prosciogliere la persona nei cui confronti il Pubblico Ministero
abbia richiesto l’emissione di decreto penale di condanna solo per una delle
ipotesi tassativamente indicate nell’art. 129 cod. proc. pen., e non anche per
mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova ai sensi dell’art. 530,
comma secondo, stesso codice, alle quali, prima del dibattimento – non essendo
stata la prova ancora assunta – l’art. 129 non consente si attribuisca valore
processuale (Sez. U, n. 18 del 09/06/1995 – dep. 25/10/1995, P.G. in proc.
Cardoni, Rv. 202375; conf. Sez. Unite, 9 giugno 1995 n. 19, 20, 21, 22,
rispettivamente in proc. Omenetti, Valeri, Solustri e Tupputi). Trattasi di
principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (v., da
ultimo: Sez. 3, n. 45934 del 09/10/2014 – dep. 06/11/2014, P.G. in proc. Fusco,
Rv. 260941). L’affermazione, contenuta in sentenza, secondo cui l’imputato
sarebbe caduto in errore scusabile allorquando ha conferito il materiale al centro
di raccolta anziché all’isola ecologica, si fonda invero su una serie di elementi che
danno per presupposte anche lacune investigative che finirebbero per incidere
sull’elemento soggettivo, nel senso che non vi sarebbe prova che l’imputato
fosse consapevole del carattere illecito della propria condotta né che fosse stato
messo nella condizione di conoscere che il conferimento da parte sua del
materiale di scarto alla società destinataria fosse contrario alla normativa di
settore.
Tutto ciò, però, avrebbe dovuto condurre non al proscioglimento ex art. 129 cod.
proc. pen., ma ad adottare il provvedimento restitutorio di cui all’art. 459,

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Orbene, non può non convenirsi con l’impugnante e con il P.G. presso questa

comma terzo, cod. proc. pen., come correttamente sostenuto dal PM ricorrente e
dal P.G. presso questa S.C.

6. L’accoglimento del primo motivo, di natura processuale, esime questa Corte
dall’esame dei restanti motivi, che restano assorbiti.

7. La sentenza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio, con

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli
atti al tribunale di CUNEO per il prosieguo.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 15 dicembre 2015

trasmissione degli atti per l’ulteriore corso al Tribunale di CUNEO, altro giudice.

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