Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5104 del 12/12/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 5104 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE BELLIS EMILIO N. IL 24/02/1978
avverso la sentenza n. 3841/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del
23/11/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. VíTo b1913ROSt O
che ha concluso per
(24-2A-Lte2Q0’be
.9e-V.-LvCo
vr:Tr-(29&(24tggba„
;

..e`

Udito, per la paptefile, l’Avv
, ceL sp,:cet~
UdithlifensocAvv. livizirta.m.•;~
e01,~0 ()-,e9c, .22acceTe,e4ru2A–0 ged 9e.&49e,d,o

li

Data Udienza: 12/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Appello di Milano, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente Emilio De Bellis, con sentenza del 23.11.2011 (dep. il 4.1.2012), confermava la sentenza di condanna alla pena di anni uno di reclusione emessa nei
confronti dello stesso dal Tribunale di Milano 1’11.11.2009, con condanna alla rifusione delle ulteriori spese processuali.

uno di reclusione per il reato di cui all’art. 10 Divo 74/00 in riferimento
all’avvenuto occultamento della documentazione fiscale della Teknopali, quale
detentore della documentazione stessa, fatto accertato in Paderno Dugnano il
15.9.04.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione nei termini di legge il De Bellis, con l’ausilio, del proprio difensore, deducendo i motivi
di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come
disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:

a. violazione dell’art. 606 lett. b) con riferimento all’art. 10 del Divo 74/00.
Sul punto il ricorrente censura la motivazione della Corte d’Appello di Milano
laddove la stessa ha dato conto del proprio convincimento circa la sussistenza
dell’elemento psicologico.
Il ricorrente sottolinea che la Corte di appello di Milano trae il convincimento
della sussistenza del dolo specifico in capo al De Bellis, recependo integralmente
la motivazione dei giudici di prima cure e, in particolare, per avere “egli avuto un

ruolo in SIDERCOMIT, per aver ritirato la documentazione presso il commercialista unitamente al FUSCA’ (amministratore della TEKNOPAW e per essere stata
rinvenuta la stessa presso la sua abitazione”.
In realtà la corte territoriale, omettendo di prendere in considerazione le dichiarazioni rese dal DE BELLIS durante il dibattimento, sarebbe giunta a tale determinazione -secondo quanto si legge in ricorso- in palese e stridente contrasto
con le emergenze processuali.
Ciò in quanto, come risulterebbe anche dagli atti di causa, l’abitazione ove
venivano rinvenute le scritture contabili della TEKNOPALI non era del DE BELLIS
Emilio, bensì di proprietà esclusiva del padre, DE BELLIS Michele che, peraltro,
aveva provveduto a concederla in locazione alia società TEKNOPALI. Questi, nel
momento in cui la predetta società decideva di trasferire la propria sede altrove,
su specifica richiesta dell’amministratore p.t. FUSCA’, in attesa di perfezionare il
2

Il giudice di prime cure aveva condannato De Bellis Emilio alla pena di anni

trasloco chiedeva di conservare temporaneamente le scritture contabili presso
quell’immobile ove, medio tempore, il DE BELLIS Emilio si era trasferito con la
propria fidanzata.
Secondo tale assunto, dunque, sarebbe evidente che difetterebbe tanto l’elemento psicologico quanto l’elemento materiale del reato in quanto il DE BELLIS
Emilio, dietro semplice richiesta dell’amministratore della società TEKNOPALI, si
era limitato alla custodia delle scritture contabili.
La norma incriminatrice prevedendo, invece, che la condotta di occultamen-

della società.
Nel caso specifico – secondo la tesi del ricorrente- non solo il DE BELLIS
Emilio non era amministratore della società e, pertanto, non avrebbe avuto alcun
motivo per occultare le scritture contabili non avendovi un interesse diretto ma,
dall’esame degli atti processuali, emergerebbe che le stesse risultavano custodite
regolarmente presso il consulente della società fino alla fine dell’anno 2003,
quando è pacifico dalla lettura dei capi di imputazione che i fatti contestati sono
relativi alla emissione di due fatture utilizzate dalla TEKNOPALI nell’anno 2001.
Né dalla lettura degli atti processuali risulterebbe in alcun modo che vi sia stata
un’attività ispettiva o di accertamento a seguito della quale i documenti successivamente rinvenuti nella disponibilità del DE BELLIS Emilio, siano stati richiesti e
non prodotti. Ne discenderebbe, quindi, che la corte territoriale avrebbe dovuto,
ove valutati correttamente gli elementi processuali, giungere ad emettere una
sentenza assolutoria, quanto meno difettando il profilo psicologico.
b. violazione ex art. 606 lett. b) con riferimento all’art. 158 c.p.
Ad avviso del ricorrente, infatti, è pacifico dalla lettura del capo
d’imputazione che le due fatture sono state utilizzate dalla TEKNOPALI nell’anno
2001 e quindi a tale data si sarebbe dovuto fare riferimento per il computo della
prescrizione e non alla data indicata dalla Procura, e recepita dai giudici di merito, del settembre 2004.

to sia finalizzata ad impedire la ricostruzione del volume di affari o dei redditi

La Corte territoriale, invece, ha fatto decorrere il momento di cessazione
della permanenza del reato nell’atto di rinvenimento operato dalla Guardia di Finanza, con ciò posticipando ad avviso del ricorrente il momento di consumazione
del reato, in palese violazione di legge.
c. violazione ex art. 606 (non si specifica la lettera) con riferimento all’art.62
bis c.p. in quanto, come rileva il ricorrente, la Corte ha motivato il diniego della
concessione delle circostanze attenuanti generiche “con il ruolo in concreto svol-

to anche in SIDERCOMIT e la non occasionalità della condotta”.
Chiedeva, pertanto che questa Corte di Cassazione volesse annullare, con o
senza rinvio, la sentenza impugnata.

3

4

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il proposto ricorso è manifestamente infondato.
Lo stesso, infatti, ripropone, in buona sostanza, doglianze già esaminate
dalla Corte d’Appello, senza confutare in maniera convincente le ragioni del convincimento da questa espresso.

2. Nella sentenza impugnata emerge una puntuale motivazione in punto di

Quanto alla doglianza secondo cui la Corte di Appello di Milano “ha recepito
integralmente la motivazione dei giudici di prime cure” va ricordato che per giurisprudenza pacifica di questa Corte, in caso di doppia conforme affermazione
di responsabilità, deve essere ritenuta pienamente ammissibile la motivazione
della sentenza d’appello

per relationem

a quella della sentenza di

primo grado, sempre che le censure formulate contro la decisione impugnata non
contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi.
Il giudice di secondo grado, infatti, nell’effettuare il controllo in ordine alla
fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame,
sulle quali si sia già soffermato il primOgiudice, con argomentazioni che vengano
ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate.
In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo
grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un
risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento
per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di
primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze
dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (confronta l’univoca giurisprudenza di legittimità di questa Corte: per tutte Sez. 2 n. 34891 del
16.05.2013, Vecchia, rv. 256096; conf. sez. III, n. 13926 del 1.12.2011, dep.
12.4. 2012, Valerio, rv. 252615: sez. II, n. 1309 del 22.11.1993, dep. 4.2.
1994, Albergamo ed altri, rv. 197250).
La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini,
se il giudice d’appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono rossatura”
dello schema difensivo dell’imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell’iter
argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali
4

responsabilità dell’odierno ricorrente.

motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate
dalla parte, In altri termini, egli non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell’impugnazione, potendo le stesse essere disattese per
implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata (per tutte, sez. VI, n. 1307 del
26.9.2002, dep. 14.1.2003, Delvai, rv. 223061).
Peraltro, nel caso in esame la Corte di Appello di Milano non si è limitata a
richiamare per relationem la pronuncia di primo grado, ma ha evidenziato il ruolo

i terzi che avevano contatti con le società, riferendosi in particolar modo alle testimonianza resa dal teste Friss all’udienza del 10 febbraio 2009.
In motivazione si sottolinea, peraltro, come l’avere De Bellis Emilio ritirato
presso il Di Bella la documentazione sociale insieme al Fuscà e l’essere stata la
stessa rinvenuta proprio presso la sua abitazione porti a ritenere assolutamente
provato il reato non solo nella sua materialità, ma anche nell’elemento soggettivo della consapevolezza e della finalizzazione di tale occultamento a non permettere la ricostruzione degli affari e del volume dei redditi.
Il percorso argomentativo che si rileva nella motivazione dell’impugnata
sentenza, ad avviso del Collegio, ha una sua logica e coerenza interna e nessuna
rivisitazione è consentita in questa sede, se non a rischio di operare una nuova
lettura degli elementi del processo sulla base di nuovi parametri di valutazione,
come peraltro il ricorrente finisce per richiedere nel suo ricorso.

3. Quanto al tempus commissi delicti i giudici di secondo grado evidenziano
come mai vi era stata una richiesta di retrodatazione della data di commissione
del fatto rispetto all’accertamento del 15.9.2004 e come in ogni caso non emergessero ragioni per individuare in un momento anteriore all’esecuzione dell’attività di polizia giudiziaria di accertamento della Guardia di Finanza l’attività di occultamento della documentazione.

dell’odierno ricorrente quale soggetto di riferimento, insieme al padre, anche per

Va in proposito ricordatq,la costante giurisprudenza di questa Corte (in ultimo questa Sez. 3, n. 5974 del 5.12.2012, P.G. in Proc. Buonocore, Rv. 254425;
conf. Sez. 3, n. 3055 del 14.11.2007, Allocca, Rv. 238612) secondo cui il reato
di occultamento della documentazione contabile (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74,
art. 10), consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione richiesta dagli organi verificatori, ha natura di reato permanente, posto
che la condotta di occultamento perdura sino al momento dell’accertamento fiscale.
Il reato, infatti, si manifesta nel momento dell’ispezione, allorquando gli
agenti chiedono di esaminare la documentazione che l’imprenditore è tenuto a

5

k

conservare ed esibire, per cui è a tale momento che ci si deve riferire per l’individuazione del dies a quo del decorso del termine di prescrizione.
Com’è stato sottolineato in altra pronuncia (sez. 3, n. 13716 del 7.3.2006,
Cesarini, rv. 234234) tale figura delittuosa, che consiste nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori, si
differenzia perciò dalla distruzione di scritture contabili, che realizza invece un’ipotesi di reato istantaneo, che si consuma al momento della soppressione della
documentazione

il 15 settembre 2004, da tale data deve computarsi il decorso del termine di prescrizione del reato contestato all’imputato.
Conseguentemente, tenuto conto di 60 gg. di sospensione della prescrizione
dall’11.7.2009 a seguito di rinvio del processo per impedimento del difensore, il
processo non era prescritto all’atto dell’emanazione della sentenza di secondo
grado oggi appellata.
Né può porsi in questa sede la questione di un’eventuale declaratoria della
prescrizione maturata dopo la sentenza d’appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che
l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza
dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a
norma dell’art. 129 cod. proc. pen (Cass. pen., Sez. un., 22 novembre 2000, n.
32, De Luca, rv. 217266: nella specie la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., 2 marzo 2005, n. 23428, Bracale, rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601,
Niccoli, rv. 239400; in ultimo Cass. pen. Sez. 2, n. 28848 dell’8.5.2013, rv.
256463).

4. La Corte d’Appello di Milano motiva compiutamente anche in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche con riferimento al ruolo in
concreto svolto dal De Bellis anche nella Sidercomit e alla non occasionalità della
sua condotta.
La doglianza proposta sul punto palesa generica in quanto il ricorrente non
indica l’elemento in ipotesi non valutato o mal valutato, mentre la corte territoriale ha valorizzato, a fondamento del diniego, i due elementi sopra ricordati..
Peraltro, va rilevato che ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice
non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discre6

Nel caso di specie, poiché l’ispezione della Guardia di Finanza è intervenuta

zionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo;

5. Il ricorso, pertanto, è inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p, non
ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità
(Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzio-

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma il 12/12/2013.

ne pecuniaria nella misura indicata in dispositivo

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA