Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 51029 del 16/12/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 51029 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: MOCCI MAURO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
1. Palaia Gianluca, nato a Rosarno il 12/07/1975
2. Palaia Gaetano, nato a Rosarno il 02/01/1946
3. Palaia Giovanni, nato a Cin q uefrondi il 06/01/1982

avverso la sentenza del 22/05/2014 della Corte d’Appello di Re gg io Calabria

visti g li atti, il provvedimento impu g nato e il ricorso;
Udita la relazione svolta dal consi g liere Mauro Mocci;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore g enerale Giulio
Romano, che ha concluso chiedendo il ri g etto del ricorso;
uditi per g li imputati l’avv. Francesco Collia, per Gaetano e Gianluca Palaia, e
l’avv. Michele Novella, per Giovanni Palaia.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del GUP presso il Tribunale di Palmi del 12 dicembre 2012,
Giovanni Palaia veniva condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di

Data Udienza: 16/12/2015

reclusione ed € 40.000,00 di multa, mentre Gaetano Palaia e Gianluca Palaia
erano condannati alla pena di anni uno, mesi sette e giorni 24 di reclusione ed €
53.333,00 di multa, con la confisca dell’area e degli impianti e con obbligo di
bonifica e ripristino dello stato dei luoghi. Gli imputati erano accusati di aver
realizzato e gestito una discarica non autorizzata destinata allo smaltimento di
rifiuti speciali, pericolosi e no, in un’area di circa 30.000 mq.

2.Su gravame degli imputati e del P.M., la Corte d’Appello di Reggio Calabria
confermava la sentenza di primo grado.

permanente, cessato con il provvedimento di sequestro. Premesso che, nel
medesimo opificio industriale, operavano la Agro Succhi di Palaia Gaetano e le
ditte Real Fruit di tale Bulletta Emore e Filda di Palaia Giovanni, era risultato che
l’area oggetto di accertamento era interessata dalla presenza di rifiuti ed anche
da un intervento edile, oltre alla giacenza di materiale di demolizione e
macchinari metallici fuori uso, che avevano alterato la morfologia del terreno.
Insomma, la descrizione era tale da escludere qualunque dubbio circa
l’abbandono permanente di rifiuti, anche per la presenza di opere verosimilmente
destinate a predisporre la zona per il successivo conferimento. Ha aggiunto che
l’area era completamente recintata ed accessibile soltanto a coloro L che
operavano presso i capannoni e che le società erano riconducibili unicamente a
Palaia Gaetano ed ai suoi figli Gianluca e Giovanni. Al primo, quale proprietario,
erano addebitabili condotte omissive e commissive, ai secondi essenzialmente
quella di essere produttori reali dei rifiuti e gestori reali dell’area.
Hanno proposto distinti ricorsi per cassazione i tre imputati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Con un unico motivo, Gianluca Palaia denuncia violazione ed erronea
applicazione di norme di legge, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione. La Corte territoriale avrebbe ritenuto sussistente la discarica
abusiva, pur in assenza dei presupposti per la configurazione giuridica del reato.
La gran parte dei rifiuti erano riconducibili alle società FILDA e Real Fruit, che
avevano utilizzato quell’area per il deposito temporaneo dei rifiuti, da rimuovere
e smaltire al più presto. Né vi sarebbe stata alcuna motivazione circa l’inizio del
deposito. D’altronde, il ricorrente sarebbe stato mero socio accomandante della
FILDA, nonché dipendente della stessa. La determinazione della sanzione
sarebbe stata inoltre priva della specificazione dei criteri di valutazione.
1.2. Gaetano Palaia deduce anch’egli violazione ed erronea applicazione di
norme di legge, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della

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Affermava la Corte territoriale che quello contestato era un reato di natura

motivazione, riproponendo in gran parte le censure del primo imputato.
L’odierno ricorrente puntualizza, peraltro, che la Agro Succhi sarebbe stata del
tutto inattiva e l’impianto lavorativo sarebbe stato abbandonato molti anni
prima, tanto che nulla del materiale rinvenuto in discarica avrebbe potuto essere
attribuito alla predetta società. A fronte del certificato della Camera di
Commercio che attestava l’attività della Agro Succhi – elemento di minima
valenza indiziaria – si contrapponeva il contratto di locazione e di comodato a
favore della Real Fruit e della FILDA. Inoltre, la Corte territoriale avrebbe omesso
di rispondere alle critiche rivolte agli elementi indicati dal GUP, che comunque

giudizio di colpevolezza.
1.3. A sua volta, Giovanni Palaia propone due motivi.
1.3.1. In primo luogo, eccepisce la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. b)
ed e) c.p.p., in relazione all’art. 6 comma 1° lett. e) del D.L. n. 172/2008,
convertito in legge n. 210/2008, oltre che mancanza, illogicità e contraddittorietà
della motivazione. Infatti, l’abbandono dei rifiuti avrebbe avuto carattere
occasionale, i materiali rinvenuti sarebbero stati omogenei e tale deposito,
proprio perché temporaneo, non avrebbe determinato un’alterazione permanente
dello stato dei luoghi. In particolare, le tre società – FILDA, Agro Succhi e Real
Fruit – si sarebbero occupate della lavorazione e trasformazione di prodotti
agrumari ed, al momento dell’accertamento, l’attività imprenditoriale sarebbe
stata appena riavviata, dopo un lungo periodo di crisi. Conseguentemente, le
prime operazioni sarebbero state quelle di provvedere alla ripulitura degli
impianti e delle aree adibite a deposito temporaneo dei materiali di scarto e dei
residui della stagione precedente, come dimostrava la verifica effettuata dai NAS
di Reggio Calabria. Erroneamente la Corte d’Appello avrebbe ritenuto il
compimento di interventi diretti alla realizzazione ed alla gestione della discarica,
sorretti da un atteggiamento psicologico di cointeressenza attiva. In realtà, la
recinzione dell’area avrebbe avuto la funzione di proteggere gli impianti e gli
uffici e non quella di celare o rendere inaccessibile la discarica. La quantità del
materiale depositato si sarebbe spiegata con l’utilizzo congiunto degli spazi
comuni ed avrebbe costituito il residuo della produzione industriale svolta dalle
predette società. Il richiamo al presunto intervento edile avrebbe fatto
riferimento ad un impianto di depurazione in disuso, preesistente alla condOtta
criminosa e con funzione strumentale all’attività imprenditoriale all’interno
dell’area interessata. L’occasionalità del deposito sarebbe stata dimostrata dal
carattere stagionale della produzione. Sarebbe altresì mancata la prova di
un’organizzazione dedita alla ricezione dei rifiuti ed, al limite, la fattispecie
avrebbe potuto essere integrata nel diverso reato di deposito incontrollato o
abbandono di rifiuti.

non apparivano gravi, precisi e concordanti e dunque idonei a supportare il

1.3.2. In secondo luogo, deduce la violazione dell’art. 606 lett. b) ed e)
c.p.p., in relazione agli artt. 133 e 62 bis c.p., giacché la Corte d’Appello avrebbe
omesso di valutare le effettive modalità di realizzazione della condotta criminosa,
alla luce degli indici forniti dall’art. 133 c.p. I giudici di merito avrebbero
mancato di indicare e di motivare la scelta della pena base su cui apportare la
riduzione per il rito abbreviato, che renderebbe dunque impossibile individuare
l’effettiva congruità della pena inflitta. D’altronde il reato contestato, per le
concrete modalità di realizzazione e consumazione, non apparirebbe di

minimo edittale: da ciò l’illogicità del diniego delle attenuanti generiche, tanto
più che, a differenza degli altri imputati, a Giovanni Palaia non era stata
contestata la recidiva, perché incensurato.

2. I ricorsi sono immeritevoli di accoglimento.
2.1. I motivi di Gianluca Palaia e Gaetano Palaia possono essere scrutinati
congiuntamente, perché propongono, sostanzialmente, un’analoga doglianza,
imperniata sulla negata sussistenza di una discarica abusiva.
Va però premesso che si tratta di censure già analogamente formulate con il
gravame, a cui la Corte d’Appello ha dato risposte logiche e persuasive.
Invero, a proposito del ruolo di Gianluca Palaia, con un ragionamento esente
da vizi logici, la sentenza impugnata ne ha ampiamente giustificato la funzione,
spiegandola con la carica di socio accomandante e col fatto che egli, che
pacificamente colà lavorava, si sarebbe comunque dovuto accertare che
l’utilizzazione del sito avvenisse nel rispetto della legalità. E se è vero che, in
materia di rifiuti, la responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo
giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell’evento lesivo, che
l’agente può assumere solo ove compia atti di gestione o movimentazione dei
rifiuti, è altrettanto vero che, nel caso di specie, la Corte territoriale ha indicato
l’esistenza di una cogestione di fatto, con il padre e con il fratello, della discarica
abusiva, che rende la condotta oggettivamente commissiva.
Quanto alla configurazione del reato, è stato affermato che, per deposito
controllato o temporaneo si intende ogni raggruppamento di rifiuti, effettuato
prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, nel rispetto delle
condizioni dettate dall’art. 183 D.Lgs. n. 152 del 2006; con la conseguenza che,
in difetto anche di uno dei requisiti normativi, il deposito non può ritenersi
temporaneo, ma deve essere qualificato, a seconda dei casi, come “deposito
preliminare” (se il collocamento di rifiuti è prodromico ad un’operazione( di
smaltimento), come “messa in riserva” (se il materiale è in attesa di
un’operazione di recupero), come “abbandono” (quando i rifiuti non sono
destinati ad operazioni di smaltimento o recupero) o come “discarica abusiva”
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particolare gravità, tanto che il GIP aveva ritenuto di applicare una pena vicino al

(nell’ipotesi di abbandono reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e
quantitativi) [Sez. 3, Sentenza n. 38676 del 20/05/2014 Ud. (dep. 23/09/2014)
Rv. 260384].
La Corte territoriale ha ben chiarito che l’oggettiva eterogeneità dei rifiuti
accumulati – solo in parte riconducibili a scarti alimentari – e l’area interessata
erano logicamente incompatibili con l’assunto difensivo che si fosse trattato di un
deposito temporaneo. E, d’altronde, in materia di reati ambientali, l’onere della
prova in ordine alla sussistenza delle condizioni fissate dall’art. 183 del D. Lgs. n.
152 del 2006 per la liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo,

derogatoria del deposito temporaneo rispetto alla disciplina ordinaria
[Sez. 3, Sentenza n. 23497 del 17/04/2014 Ud. (dep. 05/06/2014) Rv.
261507].
La prova al riguardo non è stata fornita ed i motivi del ricorso si traducono in
altrettante valutazioni sul materiale probatorio raccolto, come tali precluse a
questa Corte.
2.2. Le critiche di Giovanni Palaia appaiono più penetranti ma anch’esse non
colgono nel segno, giacché sono volte (1° motivo) ad ottenere un diverso
apprezzamento delle circostanze di fatto già esaminate dai giudici di merito
(recinzione dell’area, carattere definitivo dell’abbandono, diversa tipologia dei
rifiuti e loro giustificazione), senza alcun elemento ulteriore in grado di fornire la
prova contraria di cui sopra, oppure sono volte (2° motivo) ad una
riconsiderazione della quantificazione della pena – per presunta omessa
motivazione – che invece è stata ampiamente giustificata e calcolata in modo
corretto, anche con riguardo al diniego della concessione delle attenuanti
generiche.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 16/12/2015.

grava sul produttore dei rifiuti, in considerazione della natura eccezionale e

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