Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5098 del 14/11/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 5098 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sui ricorsi proposti da

ET’HEMI Gentian (detto “Gaetano”), nato in Albania il 31/3/1976
MENENDEZ ROJAS Cristina Laura (detta “Maria”), nata a Lima (Perù) il
9/11/1969

ET’HEMI Eduart (detto “Giuseppe”), nato a Kruje (Albania) il 13/1/1973
avverso la sentenza del 7/3/2012 della Corte di appello di Milano, che, in
parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del
17/5/2011, ha:
assolto la coimputata CHOEZ LINO dal reato sub b) e ha rideterminato la pena
nei suoi confronti;
disapplicato la recidiva nei confronti di ET’HEMI Eduard e ridotto la pena a quella
di sei anni e quattro mesi di reclusione e 40.000,00 euro di multa;
dichiarato inammissibile l’appello proposto da MENENDES ROJAS;
respinto l’appello proposto da ET’HEMI Gentian;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Enrico
Delehaye, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 14/11/2013

1.

Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano in data

17/5/2011, decidendo all’esito di giudizio abbreviato, ha pronunciato sulle
imputazioni mosse agli odierni ricorrenti, alla coimputata Choez Lino Patricia
Teresa e altri coimputati in relazione a una pluralità di episodi di detenzione e
commercio di sostanze stupefacenti, specificamente cocaina (si vedano le pagine
1-4 della sentenza di appello), commessi nell’area milanese nel periodo che va
dal mese di maggio 2008 al mese di ottobre 2008, cessando le condotte
contestate agli odierni ricorrenti nel mese di agosto 2008.

rispettivamente contestati, ha:
condannato ET’HEMI Gentian alla pena di otto anni di reclusione e 60.000,00
euro di multa, ritenuta la continuazione con i fatti giudicati con sentenza messa
dal Giudice delle indagini preliminari in sede in data 2/4/2009 e valutata più
grave l’imputazione contestata al capo B) del presente procedimento;
condannato CHOEZ LINO Teresa Patricia alla pena di tre anni e tre mesi di
reclusione e 16.000,00 euro di multa, valutato più grave il reato sub B);
condannato MENENDEZ ROJAS Cristina Laura alla pena di otto anni di reclusione
60.000,00 euro di multa, ritenuta la continuazione con i fatti giudicati con
sentenza messa dal Giudice delle indagini preliminari in sede in data 2/4/2009 e
valutata più grave l’imputazione contestata al capo B) del presente
procedimento;
condannato ET’HEMI Eduart alla pena di sette anni di reclusione e 40.000,00 di
multa, valutato più grave il reato sub B).
2. Con sentenza del 7/3/2012 la Corte di appello di Milano ha parzialmente
riformato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare e, in particolare, ha:
assolto CHOEZ LINO dal reato sub B) e ha rideterminato la pena nei suoi
confronti;
disapplicato la recidiva nei confronti di ET’HEMI Eduart e ridotto la pena a quella
di sei anni e quattro mesi di reclusione e 40.000,00 euro di multa;
dichiarato inammissibile l’appello proposto da MENENDES ROJAS;
respinto l’appello proposto da ET’HEMI Gentian.
2.A – Con riferimento alla posizione Menendez Rojas, la Corte di appello ha
pronunciato (pag.12) per la inammissibilità dell’impugnazione. Si legge in
sentenza che l’atto di appello contiene esclusivamente una generica richiesta di
contenere la pena in termini più lievi attesa la relazione personale che legava
l’imputata al sig. Gentian ET’HEMI, ma non esprime alcuna specifica censura alle
valutazioni operate puntualmente dal primo giudice, con conseguente vizio di
genericità dell’impugnazione ex art.581, lett.c), cod. proc. pen.

2

Il Giudice dell’udienza preliminare, ritenuta la responsabilità penale per i fatti

2.B – Con riferimento alle posizioni dei sigg. ET’HEMI (pagg.12 e ss.), la Corte di
appello, respinte in via generale le censure relative alla non chiarezza del
contenuto delle conversazioni telefoniche e all’assenza di riscontri, procede
all’esame dei singoli capi di imputazione rispettivamente ascritti agli imputati
(capi B, K e R per entrambi; capo C e I per Eduart; capi G, H e H-bis per
Gentian), muovendo dal capo B, ritenuto dal primo giudice quale violazione più
grave su cui parametrare poi il trattamento sanzionatorio; ha quindi proceduto
(pagg.30 e ss.) all’esame delle singole posizioni per valutare le specifiche

attenuanti, al trattamento sanzionatorio, alla irrogazione della misura
dell’espulsione dal territorio dello Stato e alla confisca disposta ex art.12-sexies,
comma 1, della legge n.356 del 1992.
Come accennato, tutte le censure sono state respinte, ad eccezione di
quella concernente la recidiva contestata al sig. Eduart ET’HEMI, e nei confronti
dell’imputato è stato rideterminato il trattamento sanzionatorio.
2.0 – In ordine alla posizione della sig.ra CHOEZ LINO, la Corte di appello
(pagg.33-34) ha accolto l’impugnazione con riguardo al reato contestato al capo
B, per cui è stata esclusa la responsabilità, e ha provveduto a rideterminare la
pena alla luce del venir meno del reato ritenuto più grave dal primo giudice.
3. La sentenza è divenuta irrevocabile in data 13/7/2012 nei confronti della
sig.ra Choez Lino, mentre hanno proposto ricorso i restanti appellanti.
3.A – La sig.ra MENENDEZ ROJAS ha proposto personalmente ricorso, in
sintesi lamentando:
Errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. per avere la Corte
di appello omesso di considerare che la ricorrente non ha mai avuto un ruolo
attivo nelle condotte legate al commercio di sostanze stupefacenti, risultando
anche dalle conversazioni intercettate una sua mera presenza accanto al
compagno, Gentian Et’Hemi; si tratta di situazione che è alla base anche
dell’unica condanna riportata in precedenza, così che il trattamento sanzionatorio
avrebbe dovuto essere ben più lieve alla luce dei criteri fissati dall’art.133 cod.
pen.
3.B – Ha proposto ricorso l’avv. Fabrizio Cardinali in favore dei sigg.
ET’HEMI, in sintesi lamentando:
per entrambi, errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e
vizio di motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. difettando la
motivazione in ordine all’esistenza di un accordo illecito fra i due ricorrenti e in
ordine a quali elementi di riscontro sussistano al fine di attribuire alle

3

censure in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti, alle invocate circostanze

conversazioni intercettate il contenuto e l’oggetto che i giudici hanno, invece,
ritenuto desumibili dalle stesse;
per entrambi, con riferimento ai capi rispettivamente ascritti, errata applicazione
di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di motivazione ai sensi
dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. con riferimento alla mancata applicazione
dell’ipotesi disciplinata dall’art.73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309
anche con riferimento alle condotte che hanno ad oggetto modeste quantità di
sostanza stupefacente: l’applicazione dell’ipotesi attenuta con riguardo a singoli

reato associativo ex art.74 della medesima legge, è stata esclusa dalla Corte di
appello senza fornire alcuna specifica motivazione;
per Eduart Et’Henni, errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc.
pen. con riguardo alla confisca della vettura, confisca per la quale difetta ogni
vincolo di pertinenzialità fra la cosa e il reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Osserva preliminarmente la Corte che il ricorso della sig.ra Merendez

Rojas è palesemente viziato da genericità. A fronte di una sentenza di appello
che ha ritenuto inammissibile l’impugnazione proposta dall’imputata, il ricorso
non propone alcuna censura specifica della motivazione e della decisione e si
limita a riproporre le censure contenute nell’atto di appello con riguardo alla
natura delle condotte incriminate e al trattamento sanzionatorio. Secondo il
costante orientamento di questa Corte, si considerano generici – con riferimento
al disposto degli artt.581, comma primo, lett.c) e 591, comma primo, lett. c)
c.p.p. -, i motivi che ripropongono davanti al giudice di legittimità le medesime
doglianze presentate in sede di appello avverso la sentenza di primo grado e che
nella sostanza non tengono conto delle ragioni che la Corte di appello ha posto a
fondamento della decisione sui punti contestati. Si tratta di interpretazione
costantemente applicata dalla giurisprudenza di questa Corte ed espressa, da
ultimo, con la sentenza della Sez.6, n.22445 del 2009, P.M. in proc.Candita e
altri, rv 244181, ove si afferma che “e’ inammissibile per genericità il ricorso per
cassazione, i cui motivi si limitino a enunciare ragioni ed argomenti già illustrati
in atti o memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato dalla
motivazione del provvedimento impugnato”.

L’impugnazione va, dunque,

considerata inammissibile, con ogni conseguente pronuncia.
2.

Un giudizio di infondatezza deve essere formulato nei confronti dei

motivi di ricorso proposti dai sigg.ri Et’Hemi. Il contenuto degli stessi impone alla
Corte di ricordare in via preliminare che il giudizio di legittimità rappresenta lo
4

episodi, che la giurisprudenza ritiene applicabile anche in casi di sussistenza di

strumento di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e
processuale e non può costituire un terzo grado volto alla ricostruzione dei fatti
oggetto di contestazione. Si tratta di principio affermato in modo condivisibile
dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n.2120, del 23 novembre 1995-23
febbraio 1996, Fachini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le Sezioni
Unite hanno definito i concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione (n.47289 del 2003, Petrella, rv 226074).
Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due giudizi può

Corte costituzionale, che (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica
introdotta dalla legge n.46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico
ministero, afferma che la esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello
costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle decisioni
giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di cassazione è “rimedio (che) non
attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece)
dall’appello”.
Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha “la
pienezza del riesame di merito” che è propria del controllo operato dalle corti di
appello, ben si comprende come il nuovo testo dell’art.606, lett. e) c.p.p. non
autorizzi affatto il ricorrente a fondare la richiesta di annullamento della sentenza
di merito chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l’intera ricostruzione
della vicenda oggetto di giudizio.
Ancora successivamente alla modifica della lett.e) dell’art.606 c.p.p.
apportata dall’art.8, comma primo, lett.b) della legge 20 febbraio 2006, n.46,
l’impostazione qui ricordata è stata ribadita da plurime decisioni di legittimità, a
partire dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n.23419 del 23 maggio-14
giugno 2007, P.G. in proc.Vignaroli (rv 236893) e della Prima Sezione Penale, n.
24667 del 15-21 giugno 2007, Musumeci (rv 237207). Appare, dunque, del tutto
convincente la costante affermazione giurisprudenziale secondo cui è “preclusa al
giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti” (fra tutte: Sez.6, n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006,
Bosco, rv 234148).
3. L’applicazione di tali principi al caso in esame impone di concludere per la
palese infondatezza del primo dei due motivi di ricorso. A fronte della chiara e
non manifestamente illogica motivazione resa dai giudici di merito in ordine a
tutti gli elementi essenziali della fattispecie, i ricorrenti sollecitano questa Corte a
un nuovo esame del materiale probatorio, non consentito in sede di legittimità.
Inoltre, si tratta di richiesta che non viene fondata su specifici elementi e diretta

5

essere ricavata, tra l’altro, dalla motivazione della sentenza n.26 del 2007 della

a specifici passaggi motivazionali; le censure dei ricorrenti, infatti, espongono in
termini aspecifici la critica che assume non univoco e decisivo il contenuto delle
conversazioni intercettate, omettendo di dare risposta alla puntuale lettura che
la Corte di appello ha effettuato di alcune conversazioni alle pagine 15 e seguenti
della motivazione.
4. Quanto, poi, alla censura concernente la mancata applicazione dell’ipotesi
disciplinata dal comma 5 dell’art.73, citato, la giurisprudenza di questa Corte è
costate nel ritenere che spetti al giudice di merito, con giudizio non sindacabile

essere valutata di minore offensività; tale giudizio deve tenere conto sia delle
complessive modalità della condotta sia della natura e caratteristiche delle
sostanze (da ultimo, Sez.4, n.6732/2012, ud. 22/12/2011, P.G. in proc.
Sabatino). Tale principio si pone in linea con le valutazioni operate dalle Sez.Un.
Penali che, chiamate a valutare la compatibilità fra circostanze aggravanti e
attenuanti previste dagli artt.73 e ss. del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, ha tra
l’altro affermato (sent. n.35737 del 24/6/2010, P.G. in proc. Rico):

“Non può

sussistere, dunque, una incompatibilità logica in astratto fra aggravanti e
attenuante specifica, ma solo una non concedibilità in concreto, valutati i mezzi,
le modalità o le circostanze dell’azione ovvero la qualità e quantità delle
sostanze. In altri termini, la questione non può essere risolta in astratto,
stabilendo incompatibilità in via di principio, ma deve trovare soluzione caso per
caso, con valutazione che di volta in volta tenga conto di tutte le specifiche e
concrete circostanze nelle quali la cessione di stupefacente a persona minore si
realizza. Su quest’ultimo punto deve richiamarsi la rigorosa giurisprudenza di
questa Suprema Corte, secondo la quale l’attenuante in questione può essere
riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta deducibile
sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla
disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che
ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni
altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (per tutte, Sez. Un. n.
17 del 2000 cit. e, da ultimo, Sez. IV, 29 settembre 2005, n. 38879, Frank, rv.
232428; Sez. VI, 14 aprile 2008, n. 27052, Rinaldo, rv. 240981).
Si consideri, peraltro, che la Corte costituzionale non considera strettamente
oggettiva l’attenuante in questione poiché «tra le “circostanze dell’azione”
menzionate nella disposizione citata sono comprese anche le “circostanze
soggettive” tutte, e quindi anche le finalità della condotta tenuta dall’agente»
(Corte cost. n. 333 del 1991).”
5.

L’applicazione dei principi ora ricordati al caso in esame impone di

considerare nfondata la censura mossa alla sentenza impugnata col secondo dei
6

se sorretto da adeguata motivazione, valutare se la fattispecie concreta possa

motivi di ricorso, avendo i giudici di appello offerto una motivazione coerente e
non illogica delle ragioni che escludono la riconducibilità delle condotte, ivi
comprese quelle relative a cessioni di non elevata quantità, nella sfera di
operatività del comma 5 del citato art.73.
6. Venendo, infine, al terzo motivo di ricorso, si è in presenza di censura che
può essere qualificata come. La Corte di appello ha ritenuto di procedere alla
confisca delle vetture non sulla base del rapporto di pertinenzialità fra le cose e il
reato, ipotesi riconducibile alla disciplina fissata dall’art.240 cod. pen., bensì in

lecite del ricorrente, così applicando la disposizione prevista dall’art.12-sexies
della legge n.356 del 1992. Si tratta di decisione che la Corte di appello ha
puntualmente motivato, espressamente escludendo (pag.33) che venga in rilievo
il legame funzionale fra le vetture e il reato. A fronte di questa motivazione, il
ricorrente avanza una censura sollevata coi motivi di appello e chiaramente
ritenuta non rilevante dalla corte territoriale.
7. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso proposto dalla
sig.ra Menendez Rojas deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente
condanna della ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese
del presente grado di giudizio.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13
giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
8. Va, infine respinto il ricorso dei sigg. Et’Hemi e i ricorrenti condannati, ai
sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di merende Rojas e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio, nonché al versamento della somma
di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende. Rigetta il restante ricorso e
condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/11/2013

base alla assenza di congruità fra il valore dei beni e le possibilità economiche

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA