Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50977 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 50977 Anno 2013
Presidente: SERPICO FRANCESCO
Relatore: CITTERIO CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI DIECO ANTONIO N. IL 13/07/1966
ALBANO GIULIO N. IL 09/09/1973
CIRILLO LUIGI GIUSEPPE N. IL 04/09/1973
avverso la sentenza n. 2319/2011 CORTE APPELLO di ANCONA, del
25/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CARLO CITTERIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per i i ku a
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parte civile, l’Avv

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Data Udienza: 21/11/2013

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1

CONSIDERATO IN FATI-0
1. ANTONIO DI DIECO, GIULIO ALBANO e LUIGI GIUSEPPE CIRILLO erano
imputati del reato di cui all’art. 74.1, .3 e .4 dPR 309/90 (in Ancona e altrove fino al
1995-Capo 4; del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv c.p. 73, 80.2 dPR 309/90 (in
Ancona e altrove nel corso del 1993-1995: capo B); il solo CIRILLO, poi, anche di

novembre 1993 (capo C).
1.1 Il GUP di Ancona con sentenza del 21.4.2010 deliberava la colpevolezza di
/
/
tutti gli imputati per tutti i delitti loro ascritti, escludendo l’aggravante ex art. 80.2;
riconosceva a6VLBANO e DI DIECO le attenuanti generiche, con giudizio di
prevalenza sulle residue aggravanti, a CIRILLO le attenuanti di cui all’art. 74 dPR
309/90 e 8 dl 152/1991, anch’esse ritenute prevalenti; riconosceva altresì la
continuazione, per ALBANO con i reati di cui alla sentenza Trib. Ancona 9.11.1994
(parz. mod. Corte App. Ancona 26.7.1995), per CIRILLO con delitti giudicati da
Trib. Ancona 15.6.98 e Corte app. Ancona 21.3.2006; quantificava le pene per
ALBANO in sei anni di reclusione, per CIRILLO in otto anni di reclusione, per DI
DIECO in sei anni di reclusione.
1.2 Con sentenza del 25.10.2012-15.1.2013 la Corte d’appello di Ancona:
escludeva per tutti gli imputati l’aggravante ex art. 74.3; dichiarava non doversi
procedere nei confronti di CIRILLO in ordine al reato associativo perché estinto per
prescrizione, rideterminando la residua pena in cinque anni di reclusione; riduceva
le pene di ALBANO a cinque anni di reclusione e del DI DIECO a cinque anni dieci
mesi venti giorni di reclusione; confermava nel resto.

2. Nell’interesse di tutti gli imputati sono stati proposti ricorsi dai rispettivi
difensori.

3. CIRILLO enuncia unico motivo per violazione dell’art. 649 c.p.p., perché i
fatti sarebbero stati “giustiziati” dal Tribunale di Ancona con sentenza 718/04.

4. ALBANO enuncia cinque motivi (qui presentati nell’ordine indicato dal
ricorrente):
– violazione degli artt. 73, 74 dPR 309/90, 62 bis, 69 c.p., 597 c.p.p. con
riferimento alle lettere B, C ed E art. 606 c.p.p., perché la Corte distrettuale

reato ex art. 73 dPR 309/90 per una cessione di 300-400 gr. di eroina tra agosto e

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avrebbe determinato la pena base con riferimento al primo comma dell’art. 74, e
non più al quarto comma, senza tuttavia muovere ancora dal minimo edittale, con
ciò violando il principio del divieto di reformatio in pejus;
– medesime censure, perché nel rideterminare la pena la Corte d’appello non
avrebbe confermato la continuazione esterna, già giudicata sussistente in primo
grado;
– motivazione omessa e apparente sul ritenuto concorso di persone in

deduzioni difensive secondo cui Cirillo e gli altri collaboratori avrebbero escluso ogni
partecipazione del ricorrente;
– medesima censura, relativamente all’affermazione di colpevolezza anche per
le condotte successive al 18 marzo 1994, data del suo arresto con detenzione poi
protrattasi, ed in particolare per l’acquisto di 500 gr. di cocaina che CIRILLO
avrebbe compiuto in epoca successiva a tale arresto. Sarebbe pertanto erronea la
conferma della condanna per tutto il quantitativo di 1600 gr. di cocaina indicato nel
capo di imputazione B;
– violazione dell’art. 649 c.p.p., perché per le medesime condotte associative,
relative a stupefacenti, l’imputato sarebbe stato ‘giustiziato’ già con sentenza
718/04 del Tribunale di Ancona, con la conseguente (secondo

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assorbente litispendenza. La Corte d’appello avrebbe innanzitutto travisato la
censura, prospettando un tema (il possibile concorso tra associazioni ex artt. 416
bis c.p. e 74 dPR 309/90) diverso da quello effettivamente devolutole, che
evidenziava come già nell’imputazione ex art. 416 bis c.p. si contestava pure la
medesima attività avente ad oggetto gli stupefacenti, in questo processo oggetto
invece di autonoma contestazione. In secondo luogo, sarebbe erroneo il rilievo che
nel primo processo i fatti afferenti gli stupefacenti non sarebbero stati oggetto
concreto di giudizio perché – pare essere il rilievo del ricorrente – a fronte di una
contestazione specifica i l’eventuale omessa pronuncia avrebbe dovuto esser fatta
valere in quella stessa sede con l’impugnazione dalla parte pubblica: in sua
assenza, vi sarebbe comunque giudicato sull’imputazione.

5. In favore di DI DIECO sono stati presentati due ricorsi.
Il ricorso a firma dell’avv. Conidi enuncia tre motivi:
– nullità della sentenza ex art. 178 lett. C c.p.p., perché DI DIECO non
sarebbe stato tradotto per l’udienza del 25.10.12 (quella di deliberazione della
sentenza d’appello) né informato della stessa, erroneamente essendo stato

relazione al capo B, perché la Corte d’appello non avrebbe argomentato sulle

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considerato ‘assente’. La rinuncia a comparire da lui fatta pervenire per l’udienza
del 1.3.2012 avrebbe avuto ad oggetto solo quell’udienza e non le successive;
– motivazione apparente e insufficiente in relazione all’art. 8 legge 203/91,
perché il richiamo a precedenti condanne non avrebbe tenuto conto del fatto che le
stesse sarebbero state deliberate solo a seguito della sua collaborazione, essendo
irrilevante che la stessa non fosse stata nelle stesse riconosciuta con specifica
applicazione della stessa attenuante, presente invece nelle condanne successive;

della pena in appello in esito all’esclusione dell’aggravante ex art. 74.3 dPR 309/90.
Il ricorso a firma dell’avv. Benni pare enunciare tre motivi (le modalità
grafiche non appaiono coordinate, comunque risultando in concreto ‘attaccati’ tre
punti della decisione):
– violazione degli artt. 125, 192, 598 c.p.p., 74 dPR 309/90, in relazione alle
lettere B ed E art. 606.1 c.p.p., con riferimento al capo A, in relazione: ai rapporti
del ricorrente con i clan camorristi per le forniture di droga, al ruolo del ricorrente
nell’attività criminosa comune gestita dai Cirillo, alle dichiarazioni di Cirillo e
Albanese Gaetano, ai diversi apprezzamenti dei Giudici del merito sui ruoli di Cirillo
Luigi Giuseppe e Di Dieco, sulla rilevanza delle sentenze assolutorie della Corte
d’assise di Catanzaro 28.6.1999 e del Tribunale di Ancona 21.6.2004,
sull’appartenenza del ricorrente alle due associazioni capeggiate da Cirillo Luigi
Giuseppe e Fiocco Fabrizio, alle forniture di cocaina del Di Dieco, all’attendibilità di
Cirillo Luigi Giuseppe;
– carenza di motivazione e manifesta illogicità in ordine alla ritenuta
aggravante dell’associazione armata, essendo le armi strumentali a condotte
diverse da quelle in materia di stupefacenti e mancando la prova della
consapevolezza del ricorrente sulla loro disponibilità;
– eccessività della pena.

5.1 L’avv. Conidi ha depositato memoria a sostegno dei motivi primo e terzo
del ricorso a propria firma.

RAGIONI DELLA DECISIONE
6. Il ricorso di CIRILLO va dichiarato inammissibile per mancanza di
interesse. La Corte d’appello ha già dichiarato l’improcedibilità del reato associativo,
per intervenuta prescrizione. Nulla deduce il ricorrente sull’interesse concreto alla
pronuncia della diversa causa di improcedibilità ex art. 649 c.p.p., interesse che
neppure è immediatamente evidente nella fattispecie concreta.

I

– violazione dell’art. 597.3 c.p.p. in relazione alla concreta quantificazione

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7. Il ricorso di ALBANO va rigettato.
Il primo motivo è manifestamente infondato: il passaggio dall’ipotesi
aggravata all’ipotesi semplice del delitto associativo restituisce al giudice del merito
ogni potere di apprezzamento della congruità della pena, con il solo limite di non
poter quantificare la pena finale in termini peggiorativi (il che non è nel nostro
caso). E’ infatti evidente che, a fronte di limiti edittali diversi, l’apprezzamento
dell’adeguatezza del più grave minimo edittale previsto dall’ipotesi di reato

congruità del minimo edittale in sé, quindi quale che sia ed anche nel caso di
mutamento della fattispecie per cui interviene poi condanna definitiva.
Il secondo motivo è manifestamente infondato: la sentenza d’appello ha
ridotto la pena, confermando nel resto la decisione di primo grado. Si è pertanto
limitata a ridurre in concreto la quantificazione della pena i previa conferma della già
riconosciuta continuazione (della quale / tra l’altro, dà espresso atto nella
motivazione).
Il terzo motivo è inammissibile perché generico. A p. 15 della propria
sentenza la Corte di Ancona ha richiamato specifici contenuti di conversazioni
intercettate e di dichiarazioni di collaboratori, tra cui proprio il CIRILLO, che, con
apprezzamento certo non palesemente incongruo ad essi, ha giudicato costituire
prove della compartecipazione. Il ricorso evita il confronto puntuale con la specifica
argomentazione sul punto, risolvendosi così in censure assertive e, appunto,
generiche.
Il quarto motivo è infondato. La Corte distrettuale ha dato conto del
corrispondente punto dei motivi d’appello (p.2 e 3) ) interpretandolo come
sollecitazione alla riduzione dell’aumento per la continuazione proprio in relazione
alla parziale attribuibilità del quantitativo indicato nell’imputazione ad ALBANO. E ha
poi provveduto in conformità, riducendo la pena (p.17).
Anche l’ultimo motivo è infondato. Il ricorrente riconosce che in realtà la Corte
d’appello ha risposto pure nel merito della censura (che era quella di una
contestazione associativa relativa agli stupefacenti già prospettata nell’ambito della
più generale contestazione di criminalità organizzata) / osservando che la sentenza
richiamata da ALBANO non si era pronunciata sul punto. Sostiene allora una sorta
di giudicato implicito processuale, sull’assunto che, presente un’imputazione,
l’omessa pronuncia su di essa non avrebbe rilievo perché, al più, idonea a costituire
una nullità interna allo specifico processo che in quella stessa e sola sede avrebbe
dovuto esser fatta valere.

aggravato non costituisce affermazione di una generalizzata determinazione di

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Va quindi, innanzitutto, osservato che il ricorrente con tali deduzioni non
contesta in fatto l’assunto della Corte distrettuale (p. 5 e 6) che la sentenza
Tribunale Ancona 718 del 21.6.04, parzialmente riformata da C. App. Ancona
26.4.2010, non abbia valutato e giudicato fatti associativi in materia di
stupefacente.
Ed in effetti la sentenza impugnata argomenta che l’indicazione del traffico
organizzato di sostanze stupefacenti del tipo eroina e cocaina tra le attività svolte

livello descrittivo” (p.6).
L’apprezzamento di merito del Giudice d’appello è statopertanto i che il capo di
imputazione del precedente processo non contenesse una specifica contestazione
per fatti (anche associativi) determinati nell’ambito del traffico di stupefacenti, il
che dava conto della mancanza di alcun espresso giudizio sul punto (mancando
alcun ‘capo’ di imputazione associativo in materia di stupefacenti), necessario
invece perché operi l’improcedibilità ex art. 649 c.p.p.; ed in effetti, come evidenzia
inequivocamente il testo della norma, l’improcedibilità presuppone un
proscioglimento o una condanna.
Né va oltre la mera suggestione l’assunto difensivo che a fronte di una
contestazione specifica, l’eventuale omessa pronuncia avrebbe avuto solo rilevanza
interinale, comunque realizzando quella pendenza idonea, per sé, a determinare
improcedibilità secondo il richiamato insegnamento di

SU sent. 34655/2005:

assorbente è il precedente rilievo, sulla mancanza di una contestazione specifica
per fatti determinati, piuttosto che di una mera indicazione descrittiva,
insuscettibile per sé di costituire autonomo esercizio di azione penale, possibile
appunto solo per fatti determinati. Tale assunto specifico della Corte distrettuale
(certamente non palesemente incongruo ai dati processuali, posto che la sentenza
26.4.10 della Corte d’appello di ancona attesta un capo di imputazione per 416 bis
c.p. dove la finalità del “traffico organizzato di sostanze stupefacenti del tipo
cocaina ed eroina” e della “dedizione alla gestione ed al traffico di stupefacenti” è
indicata tra altre numerose finalità, non va oltre le dizioni ora riportate, è seguita
da capi di imputazione per reati fine afferenti attività di estorsione) è rimasto in
concreto privo di efficace smentita nel ricorso, anche sul piano della mera
allegazione.

8. Il ricorso di DI DIECO, in entrambe le formulazioni, va rigettato.

Il primo motivo del primo ricorso è infondato. E’ vero che la rinuncia a
comparire dell’imputato, come formalizzata in concreto all’ufficio matricola del

JI

dal sodalizio criminoso era, nell’imputazione associativa di quella sentenza, solo “a

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carcere di Sulmona il 29.2.12, faceva riferimento solo all’udienza del 1.3.12 e che
non risultano esservi stati ulteriori avvisi o ordini di traduzione per le successive
udienze.
Ma, come osservato dal procuratore generale di udienza senza confronto
argomentativo sul punto del difensore, il processo d’appello si è svolto con rito
camerale: ad esso la partecipazione dell’imputato detenuto è subordinata ad una
sua manifestazione di volontà. Non risulta negli atti del processo d’appello (che

procedurali), né è stato anche solo dedotto in ricorso, che DI DIECO abbia
manifestato espressamente alcuna volontà di partecipare alle udienze del processo
d’appello; neppure può affermarsi che tale mancata richiesta (invece necessaria ai
sensi degli artt. 599.2 e 127.4 c.p.p.) sia stata giustificata dall’ignoranza del
seguito del procedimento d’appello, dopo l’udienza del 1.3.2012, per vizi della
procedura: all’udienza del 1.3.2012, infatti, avendo espressamente rinunciato a
comparire l l’imputato DI DIECO era ritualmente rappresentato dal difensore (ex art.
420 quinquies c.p.p.), sicché l’indicazione dell’udienza successiva fatta al presente
sostituto del difensore era pienamente efficace anche per lui (art. 148.5 c.p.p.; per
tutte: Sez.4, sent. 31657/2010; Sez.6, sent. 5502/1996).
Il secondo motivo è manifestamente infondato (la Corte d’appello ha
innanzitutto escluso che la condotta processuale nello specifico procedimento
permettesse di configurare la circostanza) e generico (risultando assertivo
sull’apporto collaborativo in relazione ai precedenti richiamati in sentenza).
Il terzo motivo è generico e diverso da quelli consentiti. Posto che riduzione
della pena vi è stata e tenuto conto dell’insegnamento di legittimità ampiamente
maggioritario, da ultimo confermato da SU sent. 33752/13 quanto alla possibile non
rilevanza sulla quantificazione dell’esclusione di una circostanza aggravante nel
giudizio di impugnazione, le censure sono solo assertive e non consentono di
comprendere quali sarebbero stati, nella prospettazione difensiva, i parametri
‘peggiorativi’ applicati dal Giudice d’appello, così risolvendosi in mera censura di
merito sull’adeguatezza della pena finale.
Quanto al secondo ricorso, il primo articolato motivo è inammissibile perché si
risolve in censure di merito. Le critiche che infatti vengono dedotte
all’apprezzamento del Giudice d’appello sui vari punti indicati (sorretto da
altrettanto articolata motivazione specifica, p. 18-25), quando anche
incidentalmente richiamano gli aspetti che – soli – legittimerebbero il ricorso
(tassativamente: omessa motivazione anche nella forma della mera apparenza,
manifesta illogicità, contraddittorietà intrinseca o con riferimento ad atti di prova

questa Corte conosce come giudice del fatto nella trattazione delle questioni

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autonomamente determinanti), in realtà poggiano le deduzioni su un continuo
richiamo diretto a porzioni di fonti di prova per dimostrare che l’interpretazione o la
valutazione della Corte distrettuale – conforme nelle conclusioni a quella del primo
Giudice – sarebbe non condivisibile. Anche le marginali deduzioni di omesso
confronto con i motivi d’appello in realtà sono svolte in termini del tutto generici,
non venendo mai indicate la specifica censura in fatto prospettata nel motivo
d’appello, con la sua autonoma decisività, cui la Corte non avrebbe risposto. In

ricorso (sicché il richiamo a porzioni di dichiarazioni presupporrebbe il non
consentito accesso diretto di questa Corte all’integrale fonte di prova), svolge
censure alla valutazione della prova che dichiaratamente contestano non l’esistenza
di un determinante tassativo vizio tra quelli sopra indicati che soli rilevano ) bensì
l’adeguatezza della valutazione rispetto al contenuto del materiale probatorio, è
generico ogni volta che accenna a vizi di effettiva legittimità.
Il secondo motivo è manifestamente infondato. A itg 15-17 la Corte
distrettuale ha argomentato specificamente le ragioni per le quali ha giudicato che:
l’associazione avesse disponibilità di armi utilizzate anche per la tutela delle
incombenze connesse alla gestione concreta dello stupefacente ed al recupero dei
relativi crediti (finalità comunque non necessaria: per tutte

Sez. 1, sent.

21040/2010); anche Di Dieco ne fosse a conoscenza. Su tale ultimo punto il motivo
è anche generico, perché richiama in modo assertivo il contenuto degli atti senza
confrontarsi con la specifica argomentazione della Corte d’appello.
Il terzo motivo è palesemente diverso da quelli consentiti, risolvendosi in
censura e sollecitazione di puro merito.

9. Consegue la condanna dei tre ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e del solo CIRILLO anche a quello della somma di euro 1000 in favore
della Cassa delle ammende, equa al caso.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di CIRILLO LUIGI GIUSEPPE e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e – della somma di euro
1000 in favore della Cassa delle ammende. Rigetta i ricorsi di DI DIECO ANTONIO e
ALBANO GIULIO che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21.11.2013

definitiva il pur articolato motivo: non osserva il principio di autosufficienza del

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