Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5096 del 10/10/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 5096 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da

DI CAVOLO Carlo, nato a Catania il 20/2/1966
avverso la sentenza del 12/6/2012 della Corte di appello di Catania, che ha
confermato la sentenza del 15/6/2010 del Tribunale di Catania, sez. dist. di
Paternò, che ha condannato il sig. Di Cavolo, previa concessione delle
circostanze attenuanti generiche, alla pena di sei mesi di reclusione e 300,00
euro di multa perché colpevole del reato previsto dall’art.349 cod. pen.;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale,
Gabriele Mazzotta, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Salvino Mondello in sostituzione dell’avv. Rosario
Pennisi, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 12/6/2012 la Corte di appello di Catania ha confermato
la sentenza del 15/6/2010 del Tribunale di Catania, sez. dist. di Paternò, che ha
condannato il sig. Di Cavolo, previa concessione delle circostanze attenuanti
generiche, alla pena di sei mesi di reclusione e 300,00 euro di multa perché
colpevole del reato previsto dall’art.349 cod. pen.

Data Udienza: 10/10/2013

2. Avverso tale decisione il sig. Di Cavolo propone ricorso, in sintesi
lamentando:
a.

Errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. per avere la Corte di
appello omesso di dare risposta alla questione, già proposta al giudice di
primo grado, circa l’irritualità della notificazione dell’avviso ex art.415-bis
cod. proc. pen. al Difensore di fiducia, vizio comportante nullità insanabile ex

b.

Carenza di motivazione ex art.606, lett.e) cod. proc. pen. in ordine alla
lamentata insussistenza di prove del reato contestato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Osserva preliminarmente la Corte che il vizio conseguente alla omessa

notificazione dell’avviso ex art.415-bis cod. proc. pen. alla parte o al difensore
comporta una nullità a regime intermedio (per tutte: Sez.6, n.1043/2013 del
20/12/2012, Cimmino) e può formare oggetto di ricorso in questa sede soltanto
se è stata ritualmente e tempestivamente eccepita in sede di merito. Ora, la
sentenza della Corte di appello affronta nel merito la questione e non ne segnala
la mancata rilevazione in primo grado, così che il motivo di ricorso può ritenersi
correttamente proposto, per quanto risulti non fondato.
2.

E, infatti, come emerge dagli atti e come lo stesso Avv. Mondello ha

osservato in sede di conclusioni, è pacifico che l’individuazione del difensore cui
indirizzare l’avviso ex art.415 cod. proc. pen. era corretta nel momento in cui
l’avviso stesso fu sottoscritto e quindi trasmesso per la comunicazione ai
destinatari; è altrettanto pacifico che la data di notificazione dell’atto e la data di
nomina del difensore di fiducia coincidono. Ciò impone di escludere che
sussistano i presupposti che fondano l’obbligo per l’ufficio giudiziario di procedere
a nuova notificazione al difensore nelle more nominato. L’esame della
giurisprudenza in materia impone di considerare che l’obbligo per l’ufficio di
notificare l’atto anche, o solo, al difensore di fiducia nominato nelle more nasce
quando la nomina di quest’ultima abbia luogo successivamente alla firma
dell’avviso di chiusura delle indagini da parte del pubblico ministero, con
indicazione del solo difensore d’ufficio, ma prima del momento in cui l’atto viene
materialmente inviato per la notificazione. In tal senso deve essere letta la
motivazione della sentenza di Sez.5, n.43763 del 21/11/2008, rv 241807, ove si
legge: “… già dalla lettera dell’art. 415 bis c.p.p., comma 1 (“… il p.m. fa
notificare…”) si intende che non è possibile scindere la deliberazione personale
del magistrato del p.m. di chiudere le indagini, per sè provvisoria e revocabile,

2

art.178, lett.c), cod. proc. pen.;

dall’esecuzione da parte del suo ufficio della comunicazione ai soggetti legittimati
a riceverla. E se l’indagato nomina un difensore di fiducia prima che l’avviso gli
sia notificato, lo stesso avviso deve essere notificato anche a tale difensore,
ancorché nel disporne la notifica dell’avviso il p.m. abbia indicato quale altro
destinatario, oltre all’indagato, un difensore di ufficio.”
3. Ancora più esplicita appare la motivazione della sentenza di Sez.3,
n.20931 del 11/372009, P.M. in proc. Fanin, ove si legge: “deve rilevarsi che
principio generale del sistema processuale è che gli avvisi e le comunicazioni

assegnato d’ufficio alla parte o da questa nominato, dovendosi in caso contrario
procedere per la prima volta alla nomina di un difensore d’ufficio; una volta
rispettate queste garanzie, non sussiste per l’autorità giudiziaria alcun obbligo di
rinnovazione dell’atto e della sua comunicazione e notificazione. Sul punto si
richiama l’esplicita disposizione contenuta nell’art. 548 c.p.p., comma 2.
Nel caso in esame, il provvedimento emesso dal Pubblico ministero in
applicazione dell’art. 415 bis c.p.p. è stato redatto e depositato in segreteria
anteriormente al deposito della nomina del difensore di fiducia, così che
correttamente indicava come destinatario il difensore d’ufficio, unico difensore al
momento incaricato di assistere l’indagato.
“Se, dunque, l’atto del Pubblico ministero era corretto e corretto il conseguente
ordine di notificazione all’indagato e al difensore d’ufficio, non sussiste alcuna
invalidità sopravvenuta che possa correlarsi alla nomina di un diverso difensore
di fiducia avvenuta successivamente, ancorché in epoca anteriore al
perfezionarsi della procedura di notificazione.
“Principio simile è stato affermato da questa Corte con riferimento ad una
diversa comunicazione (emissione del decreto di fissazione dell’udienza seguito
da deposito di nomina del difensore) per la quale appaiono operare i medesimi
aspetti problematici (Prima Sezione Penale, sentenza n. 14699 del 1-8 Aprile
2008, Conte). In conclusione, considerata la decisione appena citata e richiamata
in via analogica la disposizione contenuta nell’art. 548 c.p.p., comma 2, la Corte
ritiene che erroneamente l’ordinanza impugnata abbia ritenuto sussistere un
vizio radicale degli atti procedimen tali e disposto la restituzione al Pubblico
ministero”. Il motivo di ricorso dev’essere, dunque, rigettato.
4. Va, poi, considerato generico il secondo motivo di ricorso, che deduce in
termini aspecifici la inadeguatezza della motivazione di appello, senza indicare
quali profili di censura sarebbero stati ignorati dai giudicanti. Posto che la
motivazione della sentenza impugnata non risulta del tutto carente né priva di
logicità, se rapportata alla motivazione offerta dai primi giudici e alla semplicità
della fattispecie storica, il motivo di ricorso va dichiarato inammissibile.

3

debbono essere fatte dall’autorità giudiziaria al difensore che già risulti

5. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere
rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p.,
al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 10/10/2013

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