Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50954 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 50954 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Corcione Angelo n. il 31.8.1968
avverso la SENTENZA della Corte di Appello di Milano
del 31.1.2013
udita la relazione del consigliere dr. Antonio Prestipino
sentito il Procuratore Generale, in persona del dr. Eduardo Scardaccione, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 03/12/2013

Ritenuto in fatto
1. Ha proposto ricorso per cassazione Corcione Angelo, avverso la sentenza della Corte di Appello
di Milano del 31.1.2013, che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal
locale tribunale il 30.5.2012 per vari fatti di rapina e reati connessi, deducendo il difetto di
motivazione della sentenza con riguardo alla questione fondamentale della efficacia probatoria del
riconoscimento informale eseguito nei suoi confronti dai testi dell’accusa nel corso delle indagini
preliminari, e la violazione dell’art. 195 c.p.p. in riferimento all’utilizzazione della testimonianza
indiretta di alcuni verbalizzanti.
Considerato in diritto
Il ricorso è manifestamente infondato.
1. La questione del riconoscimento dell’imputato è affrontata alle pagg. 3 e ss della sentenza
impugnata con apprezzamento conclusivo esente da qualunque censura di legittimità. Anzitutto, la
Corte territoriale ricorda che i testi non avevano in realtà “sconfessato” in dibattimento le precedenti
individuazioni, rivedendole soltanto in termini più dubitativi rispetto alle certezze già manifestate, e
in ogni caso pur sempre rievocate a contestazione del PM ; ma ricorda, ancora, che l’identificazione
del ricorrente in occasione delle varie rapine era stata
resa possibile da particolari
dell’abbigliamento, dalla rilevazione delle caratteristiche macro somatiche di uno dei rapinatori, dal
fermo del ricorrente a bordo del ciclomotore utilizzato nella rapina del 13.10.2011, del quale un
teste aveva annotato il numero di targa ecc…
1.1. Per il resto, la Corte di merito ha fatto retta applicazione del principio secondo cui
L’individuazione di un soggetto – sia personale che fotografica- costituisce una manifestazione
riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di
dichiarazione; pertanto, la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del
riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della
deposizione testimoniale (Corte di Cassazione SEZ. 6, 05/12/2007, Major e altri).
1.2. Naturale coronario di tale principio, è poi l’assoggettabilità dell’individuazione alle regole
processuali che consentono l’utilizzazione in dibattimento di dichiarazioni rese da un teste nella
fase delle indagini preliminari. L’affermazione è peraltro coerente con l’ammissibilità, nel nostro
ordinamento processuale, di prove non espressamente disciplinate dalla legge (art. 189 c.p.p.), alle
quali deve essere assimilata anche l’individuazione dell’autore del reato con modalità diverse da
quelle regolate dall’art. 213 c.p.p. (cass. 15.1.2002, Deda). E in tema di ricognizione personale deve
ammettersi che il giudice possa ritenere maggiormente attendibile l’esito positivo
dell’individuazione effettuata dalla persona offesa nel corso delle indagini preliminari, in
prossimità temporale rispetto al fatto, rispetto a quello incerto della ricognizione effettuata in
dibattimento, valorizzando, a fondamento del proprio convincimento, il decorso del tempo
(Cassazione pen., SEZ. 4,22/01/2008 Distinto).
1.3. Non è ben chiaro,infine, sotto quale altro profilo la Corte di merito avrebbe dovuto
approfondire la questione dell’attendibilità dei testi, che si riduce senza residui a quella
dell’attendibilità dei riconoscimenti, considerando che nemmeno il ricorrente avanza dubbi sulla
“serenità” dei vari dichiaranti.
2. Nessuna violazione dell’art. 195 c.p. è poi ravvisabile nella specie. Le dichiarazioni dei
verbalizzanti sono state utilizzate solo per i fatti caduti sotto la loro diretta percezione, a nulla
rilevando che in questo essi fossero stati agevolati da indicazioni raccolte nell’immediatezza dei
fatti da alcuni testi presenti, trattandosi di una situazione in cui il divieto di testimonianza di agenti
e ufficiali di polizia giudiziaria stabilito dall’art. 195 co 4 c.p.p. non può ritenersi operante (cfr.
Cass. Sez. 1, Sentenza n.41090de104/07/2012 Imputato: Morfei e altro, dove la precisazione che il
divieto di testimonianza indiretta per gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria non opera
relativamente alle dichiarazioni rese da terzi percepite al di fuori di uno specifico contesto
procedimentale, in una situazione eccezionale o di straordinaria urgenza caratterizzata dall’assenza
di un dialogo tra teste e ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ciascuno nella propria qualità).

Alla stregua delle precedenti considerazioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con

la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 alla Cassa
delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della
causa di inammissibilità.
P.Q.M.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
IL

17 DIC 2013

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delf spese processuali e
della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così dec o Roma, i1.3.12. 2013
Il co»slier rela re

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