Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 5094 del 11/12/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 5094 Anno 2015
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RIZZI CLAUDIO N. IL 17/09/1979
avverso l’ordinanza n. 143/2013 GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE
di TRANI, del 11/03/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;

Data Udienza: 11/12/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza dell’11/3/2014, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Trani, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza di
riconoscimento della continuazione avanzata da Claudio Rizzi in relazione a due
sentenze di condanna per i reati di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del 1990, 337 e 635
cod. pen.. Precedente analoga richiesta era stata respinta dal Giudice e il ricorso
per cassazione era stato dichiarato inammissibile.

10/10/2011) e riteneva mancante la prova di una programmazione iniziale dei
due reati; riportava, inoltre, una lettera scritta personalmente da Rizzi, nella
quale il condannato riferiva di avere ripreso a spacciare subito dopo essere stato
scarcerato perché debitore nei confronti di alcune persone che gli avrebbero fatto
del male in caso di mancato pagamento: questo, secondo il Giudice, dimostrava
che la decisione di riprendere l’attività di spaccio era successiva al sequestro
della droga che aveva portato alla prima condanna perché derivava dalla volontà
di Rizzi di onorare il debito nei confronti di coloro che gliela avevano venduta.
In definitiva, secondo il Giudice, i delitti erano manifestazione di
un’abitualità criminosa e di una scelta di vita.

2.

Ricorre per cassazione Claudio Rizzi, deducendo contraddittorietà ed

illogicità della motivazione.
La distanza temporale tra i reati era minima, perché l’intero periodo era
stato coperto dalla carcerazione subita in relazione al primo reato; la prova della
continuazione si ricava dagli indici rivelatori più volte evidenziati da questa
Corte; infine, l’argomentazione concernente le dichiarazioni rese dal condannato
al Giudice dell’esecuzione era illogica: non esisteva reale contrasto tra esse e
quelle effettuate nel corso del processo di cognizione.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.
Preliminarmente occorre ricordare che l’istanza avrebbe dovuto essere
vagliata nella sua ammissibilità, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen.,
atteso che lo stesso Giudice dà atto che si tratta di riproposizione di una
domanda già rigettata e non affronta il quesito sulla sussistenza di nuovi
elementi che potessero giustificare la nuova istanza; il motivo per cui il ricorso

Il Giudice rilevava che i fatti contestati erano distanti tra loro (31/1/2011 e

per cassazione avverso la prima ordinanza di rigetto era stata dichiarato
inammissibile è irrilevante.
Non solo: la nuova domanda era stata presentata il 19/12/2013, quindi nella
pendenza del giudizio di cassazione. Si deve ricordare che l’inammissibilità per
manifesta infondatezza di una richiesta d’incidente di esecuzione può essere
rilevata, d’ufficio, in sede di legittimità, con conseguente declaratoria
d’inammissibilità del ricorso per Cassazione proposto avverso il provvedimento
del giudice dell’esecuzione il quale, anziché dichiararla inammissibile, l’abbia

In ogni caso – risultando impossibile a questa Corte verificare se la nuova
istanza fosse basata sui medesimi elementi della precedente – si deve rimarcare
come i motivi di ricorso non dimostrino affatto la manifesta illogicità della
motivazione: in effetti, l’ordinanza nega il vincolo della continuazione sul dato
pregnante delle dichiarazioni rese dallo stesso richiedente, interpretate nel senso
che egli aveva deciso di ricorrere nuovamente all’attività di spaccio dopo essere
stato arrestato per il primo episodio, in conseguenza del debito maturato nei
confronti di chi aveva ceduto la droga sequestrata in quell’occasione.
In sostanza, il Giudice ha rinvenuto la prova dell’inesistenza della
continuazione: di fronte a tale rilievo, il ricorrente si limita a richiamare gli indici
sintomatici dell’istituto e a tentare di collegare i due episodi alla luce della
carcerazione intercorsa tra gli stessi, senza in alcun modo intaccare la
valutazione espressa nell’ordinanza.

2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte
Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso 1’11 dicembre 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

erroneamente presa in esame, rigettandola.

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