Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50938 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 50938 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
IACOBINI ROSETTA N. IL 15/10/1945
avverso la sentenza n. 539/2012 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 11/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.A
che ha concluso per -e
Q

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 28/11/2013

13903/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’il ottobre 2012 la Corte d’appello di Catanzaro ha respinto appello
proposto da Jacobini Rosetta avverso sentenza del 12 ottobre 2011 con cui il Tribunale di
l’aveva condannata alla pena di mesi tre di arresto e C 24.000 di ammenda per i reati di cui
agli articoli 44, lettera c), d.p.r. 380/2001 (per aver realizzato un edificio di due piani

95 d.p.r. 380/2001 (capo d) e 181, comma 1, 134, 136 e 140 d.lgs. 42/2004 relazione
all’articolo 44, lettera c, d.p.r. 380/2001 (capo e).
2.

Ha presentato ricorso l’imputata adducendo tre motivi. Il primo denuncia vizio

motivazionale sulla natura dei reati e dei possibili soggetti responsabili, con correlata violazione
degli articoli 44 d.p.r. 380/2001, 6 I. 47/1985 e 29 d.p.r. 380/2001, dal momento che secondo
giudice di merito la responsabilità deriverebbe dalla qualità di proprietario del terreno, ma ciò
non deve ritenersi sufficiente. Il secondo motivo denuncia vizio motivazionale per non essere
stata provata la consapevolezza del vincolo paesistico e per non essersi pronunciato il giudice
al riguardo. Il terzo motivo denuncia violazione degli articoli 157, 158 c.p. e 44 d.p.r.
380/2001, con correlato vizio motivazionale in ordine alla decorrenza del termine di
prescrizione, che si sarebbe completato prima della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato/ w4A-4*-112′

Yrbe/rige.—

Il primo motivo, in sostanza, lamenta che la sentenza impugnata avrebbe fatto discendere la
responsabilità della ricorrente esclusivamente dalla qualità di proprietaria del terreno, il che
sarebbe un dato insufficiente a sostenerla. Ciò non corrisponde al contenuto della motivazione,
dalla quale si evince che la corte territoriale ha fondato la responsabilità per i contestati i reati
non solo sulla qualità di proprietaria della imputata, ma anche sulla sua presenza in loco al
momento dell’accertamento dell’abuso e sulla sua qualità di destinataria dell’ordinanza
amministrativa di demolizione emessa il 4 aprile 2008, così fronteggiando, con una struttura
logica congrua, il motivo d’appello che lamentava non essere stata dimostrata, tra l’altro, la
qualità di committente del manufatto in capo alla imputata. Il motivo risulta dunque
manifestamente infondato.
Il secondo motivo si incentra sull’avere la corte territoriale taciuto nella motivazione in ordine
all’elemento soggettivo relativo all’esistenza del vincolo paesistico. Anche questa doglianza,

abusivamente: capo a), 64 e 71 d.p.r. 380/2001 (capo b), 65 e 72 d.p.r. 380/2001 (capo c),

peraltro, è priva di consistenza, poiché nei motivi d’appello non era stata posta in dubbio come
non sufficientemente provata e motivata la consapevolezza della imputata in ordine al vincolo.
La corte territoriale, quindi, non ha trattato tale profilo, che non le era stato devoluto con il
gravame.
Il terzo motivo adduce la prescrizione dei reati in data anteriore alla sentenza di secondo
grado, ma, a tacer d’altro, si fonda su elementi fattuali dei quali in questa sede è inammissibile
la cognizione. Secondo la ricorrente, infatti, “non sono emersi elementi certi attestanti che la
accertamenti compiuti dagli agenti di polizia municipale del Comune di Cassano allo Ionio e del
verbale di sequestro dell’opera), ricorrendo al contrario molteplici indizi della pregressa
realizzazione dei lavori” (ricorso, pagine 7-8). La doglianza, dunque, si articola nell’esame di
elementi probatori al riguardo, per concludere nel senso della sussistenza di “una notevole
incertezza sulla data di effettiva realizzazione dell’opera in oggetto e, in ogni caso quindi, sulla
data di decorrenza del termine prescrizionale” (ricorso, pagina 9), incertezza che imporrebbe
l’applicazione del principio in dubio pro reo. Risulta, pertanto, manifestamente evidente che il
motivo chiede al giudice di legittimità la valutazione del compendio probatorio e l’accertamento
dell’incertezza dei suoi esiti, quale presupposto dell’applicazione del principio suddetto,
cadendo conseguentemente, per tale natura di merito, nella inammissibilità.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile
(il che impedisce, non consentendo il formarsi di un valido rapporto processuale di
impugnazione, di valutare la presenza di eventuali cause di non punibilità ex articolo 129
c.p.p.: S.U. 22 novembre 2000 n. 32, De Luca; in particolare, l’estinzione del reato per
prescrizione è rilevabile, anche d’ufficio, a condizione che il ricorso sia idoneo a introdurre un
nuovo grado di giudizio, cioè non risulti affetto da inammissibilità originaria come invece si è
verificato nel caso de quo: ex multis v. pure S.U. 11 novembre 1994-11 febbraio 1995 n.21,
Cresci; S.U. 3 novembre 1998 n. 11493, Verga; S.U. 22 giugno 2005 n. 23428, Bracale; Cass.
sez. III, 10 novembre 2009 n. 42839, Imperato Franca), con conseguente condanna della
ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000,
n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza
“versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la
ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

P.Q.M.

realizzazione del manufatto abusivo sia cessata il 19 Marzo 2008 (giorno del sopralluogo, degli

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di €1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 28 novembre 2013

Il Consigliere Estensore

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