Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50932 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 50932 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CUCINA VINCENZO N. IL 21/10/1959
avverso la sentenza n. 3950/2010 TRIBUNALE di PALERMO, del
01/07/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore G,rale in persona del DottA „ eo
che ha concluso per
\

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 28/11/2013

7

RITENUTO IN FATTO

3417/2013

1. Con sentenza del r luglio 2011 il Tribunale di Palermo ha condannato Cucina Vincenzo alla
pena di C 450 di ammenda per i reati di cui agli articoli 269 e 279 d.lgs. 152/2006 (capo a),
269, comma quinto, e 279 n.3 d.lgs. 152/2006 (capo b) e 8, 58, lettera a, d.p.r. 303/2006.
2. Ha presentato appello il difensore chiedendo l’assoluzione perché la ditta di cui l’imputato
era titolare non aveva dipendenti, onde non sarebbero sussistenti i reati o comunque non
sarebbe sufficientemente provata la loro sussistenza per quanto concerne i capi a) e b),

nel minimo edittale con tutti i benefici di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile.
La conversione dell’appello in ricorso, correttamente espletata nel caso di specie, ha reso
peraltro inammissibile il concreto contenuto della impugnazione, perché non può chiedersi al
giudice di legittimità di espletare valutazioni fattuali come quelle richieste nell’impugnazione in
esame. Questa, infatti, si fonda sulla pretesa mancanza di dipendenti della ditta, che a suo
dire inciderebbe sul piano probatorio nel senso di condurre alla assoluzione dell’imputato.
Sempre basata su valutazioni fattuali in questa sede inammissibili è l’ulteriore, gradata
richiesta di riduzione della pena al minimo edittale e di applicazione di ogni beneficio di legge.
Il fatto che il ricorso debba, quindi, essere dichiarato inammissibile impedisce, non
consentendo il formarsi di un valido rapporto processuale di impugnazione, di valutare la
presenza di eventuali cause di non punibilità ex articolo 129 c.p.p. (S.U. 22 novembre 2000 n.
32, De Luca; in particolare, l’estinzione del reato per prescrizione è rilevabile d’ufficio a
condizione che il ricorso sia idoneo a introdurre un nuovo grado di giudizio, cioè non risulti
affetto da inammissibilità originaria come invece si è verificato nel caso de quo: ex multis v.
pure S.U. 11 novembre 1994-11 febbraio 1995 n.21, Cresci; S.U. 3 novembre 1998 n. 11493,
Verga; S.U. 22 giugno 2005 n. 23428, Bracale; Cass. sez. III, 10 novembre 2009 n. 42839,
Imperato Franca). Alla inammissibilità consegue, altresì, la condanna del ricorrente, ai sensi
dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto
della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato
che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

mentre non costituisce reato quanto contestato al capo c); in subordine, viene richiesta la pena

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di €1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 28 novembre 2013

stensore

Il Presidente

Il Consiglier

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