Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50930 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 50930 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CHECCHI LIVIANA N. IL 08/09/1958
avverso la sentenza n. 945/2005 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
28/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del DottA
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 28/11/2013

23453/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28 marzo 2012 la Corte d’appello di Brescia, a seguito di appello
proposto dal Procuratore Generale presso la suddetta Corte avverso sentenza del 15 febbraio
2005 con cui il g.u.p. del Tribunale di Bergamo aveva assolto Checchi Liviana dal reato di cui
agli articoli 81 c.p. e 73-80, lettera a), d.p.r. 309/1990 per non aver commesso il fatto, in
parziale riforma della sentenza impugnata dichiarava l’imputata colpevole limitatamente ad
alcune cessioni di stupefacente (in particolare, a cessioni di hashish a tale Ruggeri William) e,

le attenuanti generiche come prevalenti, la condannava alla pena di mesi otto di reclusione e €
3000 di multa.
2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo due motivi: il primo denuncia vizio
motivazionale rispetto alla testimonianza resa da Michele Pesenti ai carabinieri con il verbale di
s.i.t. del 12 novembre 2003, che dimostrerebbe l’estraneità della imputata allo spaccio di
droga; il secondo denuncia ancora vizio motivazionale rispetto alla deposizione di Marco
Venanzio Galizzi, resa nelle indagini difensive il 26 giugno 2004, da cui risulterebbe che
l’imputata accompagnava sua figlia e il di lei fidanzato in discoteca alcuni venerdì sera con la
propria auto perché la figlia non poteva entrare in discoteca senza essere accompagnata da
persona maggiorenne e il suo fidanzato non aveva un mezzo proprio.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato/ um..A4,14.a.gLIm-etk—

ritenuta sussistente la fattispecie del quinto comma dell’articolo 73 d.p.r. 309/1990 e concesse

A

Premesso che il giudice di merito non è tenuto, nella sua motivazione, ad analizzare
specificamente ogni elemento probatorio ed ogni argomento difensivo, qualora costruisca in
essa una struttura logico-giuridica congruamente accertartiva e idonea ad assorbire gli
elementi così implicitamente valutati come non decisivi (trattasi del principio generale, proprio
sia della motivazione penale sia della motivazione civile, della motivazione implicita, ovvero
dello strumento logico dell’assorbimento dell’incompatibile, che esonera appunto il giudicante
dal redigere la propria motivazione come un minuzioso elenco a riscontro di ogni argomento
difensivo, al di là del suo concreto rilievo: v. ad esempio Cass. sez. IV, 13 maggio 2011 n.
26660, per cui “la sentenza di merito non è tenuta a compiere un’analisi approfondita di tutte
le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali,
essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e
risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che
ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese
le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente

incompatibili con la decisione adottata”; conformi, tra i più recenti arresti, Cass. sez. II,.. \.1

/

febbraio 2013 n.9242; Cass. sez. VI, 19 ottobre 2012 n.49970; Cass. sez. VI, 4 maggio 2011
n. 20092), i due motivi possono essere vagliati congiuntamente, poiché, in sostanza,
censurano la motivazione per non avere considerato due testimonianze che sarebbero state
decisive nel senso della non colpevolezza della imputata. In realtà, la motivazione con la quale
la corte territoriale ha esternato il suo percorso decisionale non ha omesso l’esame di elementi
decisivi che potessero scardinare l’impostazione del compendio probatorio sfociata nella
condanna. In particolare, proprio dalla testimonianza di Michele Pesenti, segnala la corte,
risulta corroborato il coinvolgimento della imputata nell’attività di spaccio di stupefacente

14 dicembre 2003 di aver visto William Ruggeri salire sull’auto di Ivan Ronzoni, fidanzato di
Sara Donadoni, figlia della imputata, e, dopo esserne disceso, mostrare la droga o fumarsi uno
spinello, mentre nella vettura “erano presenti spesso anche una signora di nome Lia e una
ragazza… fidanzata di Ivan”), nel senso che l’imputata stessa non si limitava ad accompagnare
i due giovani alla discoteca, bensì contribuiva al compimento dell’illecito traffico
accompagnando il coimputato nel luogo designato per le cessioni dello stupefacente.
Logicamente la corte evidenzia, infatti, che il fidanzato della figlia della imputata fu così da lei
aiutato in plurime cessioni al Ruggeri, “cui presenziò personalmente l’odierna imputata, su cui
il coimputato sapeva di poter contare, confidando sull’utilizzo del di lei mezzo, sul fatto che
personalmente lo accompagnasse e anzi permettesse lo svolgimento degli illeciti traffici
nell’abitacolo del veicolo, lei presente, che evidentemente sapeva avrebbe mantenuto il
silenzio” (motivazione, pagina 6). Che questo accertamento possa dare esito positivo ad una
prova di resistenza rispetto alla deposizione del Galizzi, nel senso che la donna accompagnava
la figlia e il di lei fidanzato alla discoteca, è inequivoco, dal momento che l’accompagnamento
alla discoteca è compatibile con ulteriori attività durante l’utilizzo dell’automobile svolte,
appunto, dal coimputato con il concorso della Checchi. Nessuna omissione motivazionale,
dunque, è ravvisabile nella sentenza impugnata.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile (il
che impedisce, non consentendo il formarsi di un valido rapporto processuale di impugnazione,
di valutare la presenza di eventuali cause di non punibilità ex articolo 129 c.p.p.: S.U. 22
novembre 2000 n. 32, De Luca; in particolare, l’estinzione del reato per prescrizione è
rilevabile d’ufficio a condizione che il ricorso sia idoneo a introdurre un nuovo grado di giudizio,
cioè non risulti affetto da inammissibilità originaria come invece si è verificato nel caso de quo:
ex multis v. pure S.U. 11 novembre 1994-11 febbraio 1995 n.21, Cresci; S.U. 3 novembre
1998 n. 11493, Verga; S.U. 22 giugno 2005 n. 23428, Bracale; Cass. sez. III, 10 novembre
2009 n. 42839, Imperato Franca), con conseguente condanna della ricorrente, ai sensi
dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto
della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato
che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella

svolta dal fidanzato di sua figlia (motivazione, pagine 5-6: il Pesenti dichiarava nel verbale del

determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali

Così deciso in Roma il 28 novembre 2013

Il Consigl e Estenso

Il Presidente

e della somma di €1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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