Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50929 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 50929 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torre
Annunziata e dalle parti civili De Luca Pasqualina, n. il 24/11/1955 a
Castellammare di Stabia e Cascone Raffaellina , n. il 4/12/1954 a
Castellammare di Stabia, nel procedimento nei confronti di :

Angellotto Giovanni, n. il 16/10/1954 a Castellammare di Stabia;
Catapano Pasquale, n. il 13/05/1949 a Castellammare di Stabia;
D’Antuono Rosa, n. il 26/09/1966 a Sant’Antonio Abate;
Di Napoli Pietro, n. il 24/01/1952 a Cava de’ Tirreni;
Elefante Guglielmo, n. il 23/06/1951 a Castellammare di Stabia;
Guarino Eduardo, n. il 30/11/1957 a Castellammare di Stabia;
Longobardi Giuseppe, n. il 19/08/1951 a Castellammare di Stabia;
Mongelli Raffaele, n. il 24/10/1953 a Castellammare di Stabia;
Polimeno Angelo Mario, n. il 17/01/1933 a Torre Annunziata;
Ridente Giovanni, n. il 07/03/1959 a Meta;
Santoro Giovanni Di Dio, n. il 18/06/1961 a Piano di Sorrento;
Scala Ciro, n. il 13/08/1970 a Vico Equense;
Verdoliva Vincenzo, n. il 13/11/1948 a Castelammare di Stabia;

Data Udienza: 14/11/2013

avverso la sentenza del G.i.p. presso il Tribunale di Torre Annunziata in data
29/02/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;

generale E. Delehaye, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della
sentenza;
udite le conclusioni dell’Avv. R. Longobardi, difensore delle parti civili, che si è
riportata ai motivi di ricorso;
udite le conclusioni dei Difensori degli imputati Avv.ti a. Mariconda, anche in
sostituzione dell’Avv. G. Ferraro, A. Zecca, G. Garzo e S. Vitiello che hanno
chiesto il rigetto dei ricorsi;

RITENUTO IN FATTO

1. Il G.i.p. presso il Tribunale di Torre Annunziata ha dichiarato non luogo a
procedere nei confronti di Scala Ciro, D’Antuono Rosa, Catapano Pasquale,
Mongelli Raffaele e Verdoliva Vincenzo in ordine ai reati di cui agli artt. 44 lett. c)
del Dpr n. 380 del 2001 loro ascritti ai capi A e F dell’imputazione perché estinti
ex art. 45 del d. P.R. n. 380 del 2001 per l’intervenuto rilascio in sanatoria del
permesso a costruire, nei confronti di Scala Ciro, D’Antuono Rosa, Catapano
Pasquale, Mongelli Raffaele per il reato di cui all’articolo 181 comma

1 bis del d.

Igs. n. 42 del 2004 loro ascritto al capo D dell’imputazione per essere il fatto
non punibile ai sensi dell’articolo 181 comma 1 ter, nei confronti di Scala Ciro,
D’Antuono Rosa, Catapano Pasquale, Mongelli Raffaele, Angellotto Giovanni, Di
Dio Santoro Giovanni, Ridente Giovanni, Polimeno Angelo Mario, Elefante
Guglielmo, Di Napoli Pietro, Guarino Eduardo e Longobardi Giuseppe in ordine ai
reati di cui agli artt. 64, 65, 71 e 72 del Dpr. n. 380 del 2001; 83 e 95 del Dpr n.
380 del 2001, 481 e 483 c.p; 479 c.p., 323 c.p., 479 c.p. loro ascritti ai capi b,
c, e, g, h, i ed I dell’imputazione perché il fatto non sussiste.

2. Avverso detta sentenza ha presentato ricorso innanzitutto il Procuratore della
Repubblica

presso il tribunale di Torre Annunziata che lamenta

fondamentalmente la violazione dell’art. 425 c.p.p. in relazione alla mancanza,
nelle valutazioni di ordine assolutorio effettuate dal Gup, del necessario giudizio
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udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

prognostico in ordine all’evoluzione del quadro probatorio come richiesto dalla
fase processuale impiegata.

2.1. Segnatamente, con un primo motivo relativo ai capi A e F dell’imputazione,
incentrato sulla erronea applicazione degli articoli 425 c.p.p., 22, 44 e 45 del
d.p.r. numero 380 del 2001, premette che il Gup ha ritenuto errato l’assunto del

era attivabile la procedura concernente le varianti non essenziali ancora da
realizzarsi ex art. 22 comma 2 del d.p.r. 380 del 2001, bensì la procedura di
accertamento di conformità ex art. 36 del d.p.r. 380 del 2001; e ciò perché tale
procedura poteva esperirsi, secondo il giudice, anche se i lavori erano non
ultimati, come previsto dalla lettera del citato articolo e come interpretato dalla
Corte di cassazione. Osserva tuttavia il ricorrente che nella specie si era in
presenza di modifiche dei prospetti e delle dimensioni del sottotetto quali opere
incidenti sulla sagoma dell’edificio, essendo dunque necessario il permesso di
costruire, come affermato dalla corte di cassazione anche in relazione a varianti
in corso d’opera che comportino modifiche volumetriche tanto in aumento quanto
in diminuzione; di qui l’illegittimità del ricorso alla procedura dell’articolo 22
comma 2 cit. Né poteva considerarsi il permesso di costruire in sanatoria ex art.
45 del Dpr n. 380 del 2001 previo accertamento di conformità urbanistica e
compatibilità paesaggistica, avendo il consulente affermato che il permesso nel
suo complesso era da ritenersi illegittimo in quanto non preceduto da istruttoria
e comunque riguardante esclusivamente alcune opere eseguite in parziale
difformità del progetto assentito. Il permesso non poteva inoltre essere rilasciato
posto che le opere da sanare riguardavano un manufatto legittimato da Dia e
successiva integrazione da ritenersi illegittime, sicché il Gup avrebbe dovuto
sindacare in via incidentale l’illegittimità del permesso. Ciò, tanto più dovendo il
giudice dell’udienza preliminare effettuare una prognosi di inutilità del
dibattimento relativa alla evoluzione in senso favorevole all’accusa del materiale
probatorio raccolto.

2.2. Con un secondo motivo, relativo ai capi E 1 e E5 dell’imputazione,
denunciando violazione degli articoli 425 c.p.p., 481,483 e 49 c.p., nonché
contraddittorietà, lacunosità e illogicità della motivazione, lamenta che secondo il
giudice la infondatezza della falsità della dichiarazione resa nella Dia del
30/04/2007 laddove si dichiarava (a fronte del fatto che le opere erano in parte
già eseguite ed altre in corso di esecuzione) che l’esecuzione degli interventi
edilizi avrebbe avuto inizio trascorsi 30 giorni di presentazione al protocollo
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consulente del pm secondo cui, trattandosi di opere in corso di esecuzione, non

comunale deriverebbe dalla circostanza che nella parte finale della stessa Dia
risulta barrata la casella riportante la dizione “variante postuma art. 22 d.p.r.
380/2001” nonché la casella indicante che “i lavori sono in corso di esecuzione”,
da ciò derivando che la dichiarazione falsa non sarebbe stata frutto della volontà
di trarre in inganno l’ente comunale ma solo conseguenza dell’utilizzazione di
una modulistica predisposta dal Comune; deduce tuttavia il ricorrente che tale

allegata alla Dia a firma dei progettisti Mongelli e Catapano e nei grafici allegati.
Quanto alla falsa dichiarazione resa nella variante in corso d’opera depositata il
24/09/2007 deduce che la stessa sarebbe provata dai sopralluoghi effettuati dal
consulente del pm dai quali risultava già realizzata una diversa distribuzione
interna dei locali commerciali, potendo la consistenza delle opere essere
accertata in fase dibattimentale attraverso l’esame testimoniale dei partecipanti
al sopralluogo; né potrebbe versarsi in ipotesi di falso inutile o innocuo in
relazione al fatto che, essendo la procedura prescelta attivabile fino alla
dichiarazione di ultimazione dei lavori, la eventuale falsità sarebbe inutile.
Quanto alle ipotesi di falso relative alla dichiarazione nella Dia del 30 aprile 2007
e contestate nel capo E 2 e E3 dell’imputazione (in relazione al fatto che le opere
concernevano solo modifiche interne), il giudice non avrebbe espresso un
giudizio prognostico di immutabilità del quadro probatorio ma avrebbe
argomentato sulla base dell’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato a
fronte del confronto effettuato dal consulente tra i grafici allegati al progetto
assentito e quelli allegati alla dia; deduce che il reato di falso ideologico non
richiede dolo specifico ma la mera consapevolezza di rendere una dichiarazione
mendace.
Quanto al falso contestato al capo E 4 dell’imputazione, secondo il giudice
smentito dal fatto che le uniche difformità rispetto a quelle rilevate nei
sopralluoghi sarebbero quelle relative all’altezza netta della gronda della falda
del tetto, regolarmente eliminata come da comunicazione dell’8 giugno 2007,
l’impugnata sentenza non valuterebbe il fatto che anche una dichiarazione
parzialmente falsa costituisce reato e inoltre non considererebbe quanto
accertato dal consulente del P.M. in punto di altezze differenti tra quanto
assentito e quanto realizzato.
Quanto al falso, contestato al capo E 6, relativo alla variante del 24 settembre
2007, secondo il giudice la falsità sarebbe insussistente esaminando il
procedimento amministrativo nel suo complesso, atteso che l’accorpamento delle
due unità immobiliari, non dichiarato, sarebbe stato successivamente denunciato
con un’integrazione alla dia presentata in data 24 dicembre 2007; tuttavia tale
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falsa dichiarazione è stata resa anche nella dichiarazione tecnica asseverata

integrazione era stata resa solo dopo i sopralluoghi del consulente nei quali si era
rilevata l’esecuzione di tali opere non dichiarate con conseguente sussistenza
dell’elemento soggettivo del reato.
Quanto al falso di cui al capo E 7, ritenuto dal giudice neppure astrattamente
configurabile, deduce che in ordine ad una variante i grafici devono riportare sia
la situazione assentita sia lo stato dei luoghi come risulta modificato per effetto

corrispondente al progetto approvato per la diversa posizione degli abbaini, dei
pilastri e della copertura del vano scala.
Quanto al falso di cui al capo E 8, il giudice non avrebbe considerato che i grafici
con sezione modificata in corrispondenza del vano scala venivano depositati
soltanto in data 24 dicembre 2007 ovvero a distanza di quattro giorni dal
sopralluogo effettuato dal consulente che rilevava la falsità della dichiarazione in
ordine alla necessità del deposito di ulteriori grafici, prospetti e sezioni.
Quanto alla falsità di cui al capo E 9 richiama le doglianze già formulate in ordine
ai capi E 1 e E 5.
Infine quanto al falso di cui al capo E 10 lamenta che il giudice, giustificando le
differenze delle piante quotate rispetto a quelle allegate, le abbia attribuite alla
evoluzione dei lavori e alla necessità di aggiornare i grafici, in tal modo tuttavia
illegittimamente dando una alternativa interpretazione alla circostanza, come
tale non consentita dall’articolo 425 c.p.p.

2.3. Con un terzo motivo relativo alle falsità del capo G, lamenta la violazione ed
erronea applicazione degli articoli 425 c.p.p. e 479 c.p. nonché contraddittorietà
e lacunosità della motivazione; deduce che il giudice ha definito priva di concreto
fondamento la falsa attestazione, contenuta nel verbale della commissione ex
lege n. 219 del 1981, di insussistenza di variazioni sostanziali dei parametri
edilizi urbanistici dell’edificio e di esclusiva esecuzione di diverse distribuzioni
interne al piano interrato e al vano scala; invece, come accertato dal consulente,
le opere realizzate non sono state soltanto interne ma anche esterne; richiama
inoltre la giurisprudenza di legittimità secondo cui integra il delitto di falso in atto
pubblico la condotta di coloro che, componenti della commissione speciale
suddetta, autorizzino varianti in corso d’opera attestando la presenza di
presupposti la cui inesistenza emerga dai grafici progettuali presentati con la
domanda.

2.4. Con un quarto motivo relativo al capo H lamenta violazione ed erronea
applicazione degli articoli 425 c.p.p., 323 c.p., 27 del d.p.r. 380 del 2001 e 47
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della variante, mentre nella specie il grafico riporta un prospetto non

del decreto legislativo numero 76 del 1990 nonché contraddittorietà e lacunosità
della motivazione. Deduce che secondo il giudice la procedura di cui all’articolo
22 comma 2 del d.p.r. 380 del 2001 sarebbe attivabile anche per opere non
ancora eseguite e quindi sarebbe escluso l’obbligo di sospensione dei lavori
anche in considerazione del fatto che il comparto edilizio in esame rientrerebbe
tra gli interventi di ricostruzione in conseguenza del sisma del 1980 in relazione

controlli vengano esercitati in via successiva. Osserva il ricorrente che tuttavia
tale norma non deroga alla normativa vigente in materia di controlli e vigilanza
sull’attività urbanistica attenendo unicamente al controllo sugli aspetti fiscali
degli atti e delle delibere di stanziamento dei fondi e di erogazione dei contributi.
Di fatto la sospensione dei lavori andava disposta in quanto i grafici allegati alla
dia non riproducevano fedelmente lo stato dei luoghi sostenendosi falsamente
nella relazione che si trattava di opere non ancora eseguite; e di tale falsità
avevano piena contezza il dirigente dell’Utc, il responsabile del procedimento e il
tecnico del servizio controllo sul territorio. Denuncia inoltre la totale mancanza di
motivazione in relazione alle numerose e ulteriori condotte enunciata nel capo
d’imputazione. Il giudice avrebbe omesso di considerare le risultanze delle
indagini, in particolare essendo state appurate numerose omissioni poste in
essere da Guarino Eduardo nell’ambito del procedimento amministrativo, tutte
le poste in essere in violazione di legge e esemplificative, per la macroscopica e
continuità, della sussistenza dell’elemento psicologico del reato di cui all’articolo
323 c.p.

2.5. Con un quinto motivo relativo al capo I lamenta la violazione degli articoli
425 c.p.p. e 479 c.p. nonché contraddittorietà e lacunosità della motivazione.
Deduce che il giudice ha prosciolto Guarino in ordine alla falsa dichiarazione di
cui alla nota del 23 gennaio 2008 sostenendo che lo stesso avrebbe operato una
valutazione complessiva delle opere rilevando la insussistenza dei presupposti
per l’adozione di provvedimenti sanzionatori anche in considerazione
dell’integrazione alla dia del 30 aprile 2007. Sottolinea che invece alla data del
23 gennaio 2008, nella quale Guarino ha asserito falsamente trattarsi di
variazioni interne che non incidono sui parametri urbanistici ed edilizi
dell’edificio, le variazioni non erano affatto interne ma avevano comportato
modifiche ai prospetti, al numero delle unità immobiliari ed alle sezioni del
fabbricato, come emergente dei grafici progettuali depositati e dai sopralluoghi
effettuati dallo stesso Guarino.

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ai quali l’articolo 47 del decreto legislativo numero 76 del 1990 statuirebbe che i

2.6. Con un ultimo motivo relativo al capo L

(con riguardo alla falsa

dichiarazione di altezza di posizionamento della gronda della falda del tetto)
deduce violazione ed erronea applicazione degli articoli 425 c.p. e 479 c.p.
nonché contraddittorietà e lacunosità della motivazione; deduce che secondo il
G.u.p. il falso non sarebbe dimostrato in quanto le misurazioni sono state
necessariamente desunte dal consulente del P.M. con l’uso di una squadretta o di

conseguentemente a soluzioni diverse. Deduce il ricorrente che proprio la
possibilità di soluzioni alternative avrebbe dovuto indurre il giudice a disporre il
rinvio a giudizio.

3. Hanno proposto ricorso a mezzo del difensore anche le parti civili Cascone
Raffaellina e De Luca Pasqualina deducendo vari motivi volti a lamentare
violazione di legge nonché contraddittorietà e illogicità della motivazione. Dopo
aver riepilogato le caratteristiche di delibazione di tipo prognostico della sentenza
di non luogo a procedere in esito all’udienza preliminare con riferimento
all’immutabilità del quadro probatorio nella successiva fase del dibattimento,
lamentano che la sentenza impugnata non ha fatto buongoverno di tali principi
avendo operato una ricostruzione di valutazione unilaterale delle prove tratta
passivamente dalle difese dei dati ed omettendo una completa verifica di tutte le
emergenze istruttorie.
Ciò posto, con un primo motivo lamentano, con riguardo ai capi A e F
d’imputazione, che il giudice abbia illegittimamente ritenuto utilizzabile la
procedura di cui all’articolo 22, comma 2, del d.p.r. n. 380 del 2001, in realtà
prevista per le sole varianti non essenziali, mentre nella specie si versa in opere
comportanti modifica della superficie, dei prospetti e della destinazione d’uso e
dunque essenziali, sicché era necessario, secondo il consulente del P.M. che, non
potendo tali opere costituire oggetto di Dia, i lavori andassero sospesi e
occorresse accertamento di conformità; sempre con riguardo agli stessi addebiti,
denuncia che il ragionamento del giudice secondo cui l’azione penale sarebbe
comunque improcedibile essendo stato rilasciato permesso a costruire in
sanatoria previo accertamento di conformità urbanistica e compatibilità
paesaggistica non avrebbe tenuto conto della illegittimità di tale permesso
secondo quanto accertato sempre dal consulente tecnico del P.M., illegittimità
che avrebbe dunque dovuto condurre alla sua disapplicazione.
Con riferimento ai capi d’imputazione B e C, lamentano che il giudice abbia
ritenuto che dette contestazioni attengano a parti non strutturali dell’edificio,

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altro strumento di misura, la natura incerta del rilievo prestandosi

venendo tuttavia tale conclusione contraddetta dalle osservazioni del consulente
del P.M.
Con riferimento al capo D dell’imputazione deducono che il giudice avrebbe
sostenuto che le varianti apportate al progetto assentito ed inerenti ad opere
esterne sarebbero prive di rilevanza paesaggistica e inidonee ad introdurre
modifiche, peraltro di carattere modesto, recanti pregiudizio ai valori

consulente del P.M. nella propria relazione; né, contrariamente a quanto
affermato in sentenza, la contestata modifica dell’altezza del tetto di copertura
sarebbe stata oggetto di permesso a costruire in sanatoria, in realtà riguardante
altre opere.
Con riferimento al capo E.1 dell’imputazione deducono che la relativa
dichiarazione falsa circa lavori da realizzarsi, è stata resa non soltanto attraverso
la firma del modulo prestampato ma altresì mediante la dichiarazione tecnica
asseverata allegata alla D.i.a. a firma dei progettisti Mongelli e Catapano e
attraverso i grafici allegati.
In relazione al capo E.5 dell’imputazione contestano, richiamando circostanze di
fatto nonché la corretta interpretazione da darsi agli articoli 481 e 483 c.p.,
l’affermazione del giudice secondo cui la falsità sarebbe esclusa in relazione alla
non emersione della consistenza delle opere come accertate nei sopralluoghi e in
relazione all’inutilità della stessa posto che la procedura prescelta era attivabile
fino alla dichiarazione di ultimazione dei lavori.
In relazione ai capi E.2 e E.3 dell’imputazione osservano che il giudice non ha
espresso un giudizio prognostico ma si è pronunciato in termini diretti di
insussistenza dell’elemento soggettivo del reato in contrasto con il raffronto
operato dal consulente tra i grafici assentiti e quelli allegati alla D.i.a. nonché con
le fotografie in atti da cui si evincono la variazione del prospetto e la maggiore
superficie realizzata.
Quanto al falso contestato al capo E.4, che, secondo il giudice, sarebbe smentito
dal fatto che le uniche difformità sarebbero quelle relative all’altezza netta della
gronda della falda del tetto poi irregolarmente eliminata, denunciano ancora una
volta l’avvenuta enunciazione di apprezzamenti riservati al giudice del
dibattimento, per di più in contrasto con gli accertamenti compiuti dal consulente
del P.M., il quale ha accertato che il ripristino non è peraltro avvenuto in
conformità al progetto assentito.
Quanto al falso di cui al capo E.6, ritenuto inconsistente dal Gup per il fatto che
l’accorpamento di due unità immobiliari e la modifica in pianta di altre sarebbero
stati successivamente denunciati con un’integrazione alla D.i.a., deducono la
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paesaggistici, anche in tal caso omettendo di considerare quanto evidenziato dal

prova della ricorrenza dell’elemento soggettivo del reato posto che tale
integrazione è avvenuta solo dopo che il consulente del P.M. aveva rilevato nel
corso di sopralluoghi la esecuzione delle opere non dichiarate.
Quanto al falso di cui al capo E.7, lamentano che il giudice abbia male
interpretato la falsa rappresentazione grafica quanto alla situazione assentita,
senza considerare peraltro la relazione di consulenza ove si accerta che i grafici

Quanto alla falsa dichiarazione di cui al capo E.8, lamentano che il giudice ha
omesso di considerare che i grafici con sezione modificata in corrispondenza del
vano scala allegati all’integrazione della D.i.a. del 30 aprile 2007 venivano
depositati soltanto in data 24 dicembre 2007, ovvero a distanza di quattro giorni
dal sopralluogo effettuato dal consulente del P.M. che rilevava la falsità della
dichiarazione in ordine alla non necessità del deposito di ulteriori grafici,
prospetti e sezioni.
Quanto alla falsità di cui al capo E.9, si richiamano alle considerazioni in ordine ai
capi E.1 e E.5
Circa la falsità di cui al capo E.10, lamentano che il giudice ha immotivatamente
giustificato le differenze tra piante quotate e piante allegate alla D.i.a. in
considerazione dell’evoluzione dei lavori e della conseguente necessità di
aggiornare i grafici in conformità ai lavori già realizzati.
Con riguardo alla falsità di cui al capo E.11, infine, il Gup ha ritenuto
inconsistente l’addebito ritenendo che la falsa dichiarazione di agibilità riguardi il
profilo statico e non le condizioni di sicurezza, igiene e salubrità del fabbricato.
Tuttavia si deduce che non era possibile certificare la staticità di un immobile
nonostante permanessero le accettate difformità dei titoli abilitativi e fossero
pendenti tre accertamenti di conformità.
Quanto alla falsità di cui al capo G dell’imputazione afferente la falsa
attestazione, nel verbale di riunione della commissione comunale, di conformità
delle opere al momento della loro realizzazione e al momento dell’istanza, il
giudice ha sostenuto la inutilità del falso contestato atteso che alla data del 24
dicembre 2007 i tecnici progettisti presentavano una integrazione alla dia;
tuttavia la cosiddetta integrazione ha costituito in realtà un distinto ed autonomo
accertamento di conformità; in ogni caso il consulente del P.M. ha accertato che
le opere realizzate attengono anche a opere esterne, nuovi volumi, nuove
superfici e modifiche alla copertura, alle falde e a tutti i prospetti di fabbricato. È
stata inoltre documentata la realizzazione di opere che vanno ben oltre quelle
dichiarate e che peraltro emergono dagli stessi grafici progettuali allegati alle
predette dia che la commissione aveva l’obbligo di esaminare.
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non riproducono fedelmente il progetto approvato.

Quanto al capo H (relativo al reato di cui all’art. 323 c.p. per omessa
sospensione dei lavori in occasione di presentazione di variante in corso d’opera
e per mancata emenazione di ordinanza di ripristino), deducono che la
sospensione dei lavori andava disposta in quanto i grafici allegati alla D.i.a. non
riproducevano fedelmente lo stato dei luoghi; nella relazione allegata si
sosteneva falsamente trattarsi di opere da realizzarsi e non ancora eseguite e di

del procedimento e il tecnico del servizio controllo sul territorio atteso che nei
sopralluoghi effettuati dagli stessi era emerso che i locali commerciali posti al
piano terra risultavano già diversamente distribuiti. Inoltre, a fronte dell’avvio
del procedimento teso al ripristino dello stato dei luoghi, l’ufficio tecnico era
tenuto a verificare la effettiva esecuzione del dichiarato ripristino senza poter
ritenere sufficiente una falsa dichiarazione dei progettisti; denunciano inoltre sul
punto l’erroneo riferimento del giudice al rigetto della richiesta di sequestro
preventivo, essendo stato quest’ultimo adottato sei mesi prima che il consulente
depositasse la relazione di consulenza tecnica. Denunciano inoltre la totale
mancanza di motivazione in relazione alle specifiche condotte omissive enunciate
nello stesso capo di imputazione.
Quanto al capo I dell’imputazione deducono che il giudice ha prosciolto
l’imputato Guarino sul presupposto che lo stesso avrebbe nella dichiarazione resa
il 23 gennaio 2008 operato una valutazione complessiva delle opere rilevando la
insussistenza dei presupposti per l’adozione di provvedimenti sanzionatori anche
sulla scorta dell’integrazione alla D.i.a. del 30 aprile 2007; tuttavia, nessuna
rilevanza scriminante potrebbe avere tale integrazione, essendo
documentalmente provato che alla data del 23 gennaio 2008 le variazioni,
affermate come interne, non erano affatto tali ma avevano comportato modifiche
dei prospetti, del numero delle unità e delle sezioni del fabbricato, tutto ciò
emergendo dai grafici progettuali depositati nonché dagli stessi sopralluoghi
effettuati .
Quanto infine al capo L di imputazione deducono che la ritenuta incertezza delle
misurazioni avrebbe dovuto indurre il giudice a disporre il rinvio a giudizio onde
verificare nella sede dibattimentale, tra le varie soluzioni, quella corretta.

4. In data 27/03/2013 ha presentato memoria il Difensore di D’Antuono Rosa

lamentando in primo luogo l’inammissibilità del ricorso delle parti civili in quanto
persone danneggiate e non offese dai reati, avendo le stesse assunto di avere
subito pregiudizi da edificazioni eseguite in violazione di norme edilizie e
paesaggistiche, e dovendo considerarsi persona offesa solo la P.A.
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tale falsità avevano piena contezza il dirigente dell’ufficio tecnico, il responsabile

In secondo luogo lamenta l’inammissibilità del ricorso del P.M. che valorizza il
solo elemento della consulenza tecnica del P.M. senza mai porre in dubbio la
riconoscibilità del criterio prognostico adottato, ed è inteso in realtà ad offrire
una diversa lettura degli elementi acquisiti.
Sotto un terzo profilo rileva che la cognizione del procedimento nei propri
confronti è limitata ai soli capi A e H non avendo il P.M. impugnato i capi B, C e

Infine rileva ad ogni buon conto la manifesta infondatezza del ricorso del P.M.
deducendo, tra l’altro, la caratteristica del cantiere come “cellula” in continuo
mutamento, la superficialità e inaffidabilità delle misurazioni effettuate,
l’incompatibilità dell’assunto dell’illegittimità del permesso a costruire con la
documentazione in atti. Contesta inoltre che, come asserito dal P.M. ricorrente,
l’art. 47 del d. Igs n. 76 del 1990 afferisca unicamente agli aspetti fiscali degli
atti.

5. In data 2/5/2013 ha presentato memoria il Difensore di Catapano Pasquale e
Monelli Raffaele con cui si chiede il rigetto dei ricorsi in quanto volti a richiedere
una verifica dibattimentale “al buio”, ovvero senza l’indicazione di ulteriori e
concreti dati di giudizio mediante i quali superare la manifesta insufficienza
dimostrativa nei termini sviluppati dalla sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

6. Quanto anzitutto al ricorso delle parti civili De Luca Pasqualina e Cascone
Raffaellina, ne va preliminarmente vagliata l’ammissibilità, dovendo ricordarsi
che, a norma dell’art. 428, comma 2, c.p.p., il ricorso per cassazione può essere
proposto, testualmente, dalla “persona offesa costituita parte civile”. Questa
Corte ha infatti affermato, esattamente in applicazione di quanto disposto dalla
legge, ed appena ricordato, che la persona danneggiata, pur costituita parte
civile, che non sia anche persona offesa, non è legittimata a proporre ricorso per
cassazione avverso la sentenza di non luogo a procedere, essendo una tale
impugnazione destinata alla tutela esclusiva degli interessi penalistici della
persona

offesa,

cui

il

danneggiato

resta

estraneo

(tra

le altre,

Sez.2, n.12028 del 19/02/2010, p.c., Caletti e altri, Rv. 246728; Sez.5, n. 37114
del 16/04/2009, De Rosa e altri, Rv. 244601; Sez. 5, n. 5698 del 15/01/2007,
Reggiani, Rv. 235863; Sez. 4, n. 26410 del 19/04/2007, Giganti, non massimata
11

D.

sul punto). E’ pur vero, peraltro, che in senso contrario vanno annoverate altre
pronunce di questa Corte (Sez. 5, n. 12902 del 22/02/2008, De Simone e altri,
Rv. 239385 e Sez. 4, n. 11960 del 25/10/2006, p.c. in proc. Martinelli, Rv.
236248) secondo cui il ricorso per cassazione avverso la sentenza di non luogo a
procedere è proponibile, ai sensi dell’art. 428, comma 2, c. p. p., anche dal
soggetto danneggiato dal reato che si sia costituito parte civile, pur quando

impostazione, già di per sé distonica rispetto al dato testuale della norm, sia
stata implicitamente confutata da Sez. U., n. 25695 del 29/05/2008, D’Eramo,
Rv. 239701. Con tale pronuncia la Corte, riconoscendo che il ricorso per
cassazione della persona offesa costituita parte civile contro la sentenza di non
luogo a procedere, emessa all’esito dell’udienza preliminare, può essere
proposto, dopo le modifiche introdotte dalla I. n. 46 del 2006 all’art. 428 c. p. p.,
esclusivamente agli effetti penali, ha evidentemente negato rilievo proprio a
quelle doglianze che, per il fatto di provenire dal mero danneggiato, e, dunque,
attenendo ad interessi di mero rilievo civilistico, sono già di per sé estranee ai
profili di natura penale.
6.1. Quanto appena detto comporta, dunque, in doveroso ossequio al dettato
normativo, che, nella specie, in tanto il ricorso delle parti civili sia ammissibile in
quanto si ritenga che le stesse rivestano, oltre alla qualità di persona
danneggiata, anche quella di persona offesa.
Va allora detto che entrambe le parti civili, costituitesi nel processo lamentando i
danni loro arrecati dai reati di abuso edilizio, di falso in atto pubblico e di abuso
d’ufficio, hanno impugnato avanti a questa Corte la sentenza del G.u.p. in
relazione a tutti e tre i predetti profili di illecito.
Tuttavia, mentre la veste di persona offesa può essere riconosciuta a dette parti
con riguardo al delitto di falso in atto pubblico, la stessa deve essere invece
negata con riguardo alle contravvenzioni urbanistiche e al delitto di abuso
d’ufficio.
Va infatti puntualizzato, quanto anzitutto alle contravvenzioni, che il bene
specifico tutelato dalle norme che sanzionano le violazioni in questione deve
essere individuato nel territorio il cui assetto urbanistico viene ad essere
pregiudicato dall’intervento abusivo, da ciò derivando che persona offesa dei
detti reati è innanzitutto il Comune quale ente nella cui sfera detto bene va
ricondotto (cfr. Sez. 3, n. 29667 del 14/06/2002, Arrostuto, Rv. 222116; vedi
anche Sez, 3, n. 26121 del 12/04/2005, Rosato, Rv. 231952). Di contro, ai
privati può fare capo unicamente l’interesse diffuso all’osservanza delle norme

12

faccia in lui difetto la qualità di “persona offesa”, ma deve reputarsi che una tale

urbanistiche sì che, se pure agli stessi possa riconoscersi un danno patrimoniale
laddove la realizzazione dell’abuso edilizio violi le norme che impongono limiti al
diritto di proprietà, nonché quelle che stabiliscono distanze, volumetria ed
altezza delle costruzioni, previste dal codice civile e dai piani regolatori (cfr., con
riguardo a quest’ultimo punto, Sez. 3, n. 21222 del 04/04/2008, Chianese,
Rv. 240044), continua, tuttavia, a difettare in esse la veste di persona offesa

legittimazione, come già detto, a proporre ricorso per cassazione avverso la
sentenza di non luogo a procedere.
Parimenti, come già anticipato, deve essere esclusa la veste di persona offesa in
capo al privato danneggiato allorché si versi in ipotesi di abuso finalizzato, come
nella specie da contestazione, unicamente a procurare a sé o ad altri un ingiusto
vantaggio patrimoniale; questa Corte ha infatti costantemente specificato che ha
natura plurioffensiva solo il reato di abuso d’ufficio finalizzato ad arrecare ad altri
un danno ingiusto in quanto idoneo a ledere, oltre all’interesse pubblico al buon
andamento e alla trasparenza della P.A., il concorrente interesse del privato a
non essere turbato nei suoi diritti dal comportamento illegittimo e ingiusto del
pubblico ufficiale (tra le altre, Sez. 6, n. 13179 del 29/03/2012, p.o. in proc.
Picaro e altro, Rv. 252570; Sez. 6, n. 17642 del 10/04/2008, p.o. in proc.
Cortellino ed altri, Rv. 239648; Sez. 6, n. 20399 del 22/03/2006, p.o. in proc.
Tundo e altro, Rv. 234728); nella prima ipotesi, viceversa, interesse tutelato
resta, come già più volte affermato, soltanto quello costituito dal buon
andamento, dalla imparzialità, e dalla trasparenza del comportamento dei
pubblici ufficiali (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 3499 del 03/11/1999, Cambi, Rv.
214919; Sez.6, n. 1236 del 13/5/1999, Vitalone, Rv. 213479; Sez. 6„ n. 1106
del 13/03/1997,Pugliese, Rv. 207933; Sez. 6, 11/11/1998, Messineo, Rv.
212318).
Resta, ovviamente, ferma, in conseguenza del profilo del danno che si assume
subito, la legittimazione delle persone offese a costituirsi, come del resto già
avvenuto, quali parti civili.
Al contrario, non sussistono ostacoli a che la veste di persona offesa sia
riconosciuta al privato con riguardo ai reati di falso.
In proposito va infatti ribadita l’affermazione resa da questa Corte a Sezioni
Unite secondo cui i delitti contro la fede pubblica tutelano direttamente non solo
l’interesse pubblico alla genuinità materiale e alla veridicità ideologica di
determinati atti, ma anche quello del soggetto privato sulla cui sfera giuridica
l’atto sia destinato a incidere concretamente, con la conseguenza che egli, in tal
caso, riveste la qualità di persona offesa dal reato (Sez. U., n. 46982 del
13

quale componente necessaria, in aggiunta a quella di parte civile, per la

25/10/2007, Pasquini, Rv. 237855); il medesimo principio è stato, del resto,
significativamente ripetuto con riferimento al proprietario del fondo frontista
laddove il soggetto attivo abbia indotto l’ufficio tecnico comunale a rilasciare il
permesso di costruire attestando falsamente la conformità del fabbricato
erigendo alla disciplina urbanistica (Sez. 3, n. 39839 del 14/10/2008, p.o. in
proc. Ciaravola e altri, Rv. 241725).

inammissibili con riferimento all’impugnazione presentata avverso i capi
d’imputazione A), B), C), D) F) ed H), dovendo invece, quanto ai restanti capi,
essere ritenuti ammissibili.

7. Premesso quanto sopra, i ricorsi del Pubblico Ministero e delle parti civili, nei
limiti, per queste ultime, rappresentati da quanto già detto, sono fondati.
La regola decisoria attinente i diversi epiloghi dell’udienza preliminare in
relazione ai casi che risultino allo stato degli atti aperti a soluzioni alternative è
stata definita in termini ormai stabili dalla giurisprudenza di legittimità. Le
Sezioni unite, in coerenza con le linee tracciate del resto dalla Corte
costituzionale, hanno affermato che nonostante l’obiettivo arricchimento,
qualitativo e quantitativo, dell’orizzonte prospettico del giudice, rispetto
all’epilogo decisionale, apportato dalla legge n. 479 del 1999 all’ad 425 c.p.p.,
non per questo è attribuito allo stesso “il potere di giudicare in termini di
anticipata verifica della innocenza-colpevolezza dell’imputato, poiché la
valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità
degli elementi probatori, secondo il dato letterale del novellato terzo comma
dell’art. 425, è sempre e comunque diretta a determinare, all’esito di una
delibazione di tipo prognostico, divenuta oggi più stabile per la tendenziale
completezza delle indagini, la sostenibilità dell’accusa in giudizio e, con essa,
l’effettiva, potenziale, utilità del dibattimento in ordine alla regiudicanda”; in altri
termini, il radicale incremento del poteri di cognizione e di decisione del giudice
dell’udienza

preliminare,

pur

legittimando

quest’ultimo

a

muoversi

implicitamente anche nella prospettiva della probabilità di colpevolezza
dell’imputato, non lo ha tuttavia disancorato dalla fondamentale regola di
giudizio per la valutazione prognostica (Sez. U., n. 39915 del 30 ottobre 2002,
Vottari, Rv. 222602, nonché, successivamente, Sez. U., n. 25695 del
29/05/2008, D’Eramo, non massimata sul punto); sicché, in altri termini, il
giudice dell’udienza preliminare ha il potere di pronunziare la sentenza di non
luogo a procedere non quando effettui un giudizio prognostico in esito al quale
pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato, bensì in tutti quei casi
14

Ne consegue, in definitiva, che i ricorsi delle parti civili vanno dichiarati

nel quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa
pervenire ad una diversa soluzione (Sez. 4, n. 43843 del 06/10/2009, P.C. in
proc. Pontessilli e altri, Rv. 245464; Sez. 5, n. 22864 del 1505/2009, P.G. in
proc. Giacomin, Rv. 244202). E tale ricostruzione non è smentita neppure dal
testo del nuovo terzo comma dell’art. 425 c.p.p. secondo cui il giudice
“pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi

l’accusa in giudizio” posto che una tale disposizione conferma, anzi, che il
parametro di giudizio non è l’innocenza ma l’impossibilità di sostenere l’accusa in
giudizio:l’insufficienza e la contraddittorietà degli elementi devono quindi avere
caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente considerate superabili
nel giudizio (da ultimo, tra le altre, Sez. 6, n. 10849 del 12/01/2012, P.M. in
proc. Petramala, Rv. 252280; Sez. 6, n. 33921 del 17/07/2012, P.C. in proc.
Rolla, Rv. 253127).
Ciò posto, la sentenza impugnata non appare avere fatto corretta applicazione
dei principi sin qui ricordati, posto che, in luogo di limitarsi a considerare, per
quasi tutti gli addebiti formulati, che le conclusioni del consulente del P.M. in
senso decisamente sfavorevole agli imputati non potevano non essere già di per
sé idonee a sostenere l’accusa in giudizio, ne ha operato, oltrepassando gli
anzidetti limiti cognitivi fissati per legge, una valutazione approfondita non
tenendo conto del fatto che scopo del dibattimento è precipuamente quello di
valutare gli elementi di prova acquisiti tanto più ove, come nella specie,
l’elemento accusatorio sia certamente suscettibile di sviluppi per il fatto che in
esso può farsi luogo all’esame del consulente tecnico; ed è proprio nel
dibattimento, infatti, che eventuali incompletezze o ambiguità possono trovare,
sia in senso favorevole sia in senso sfavorevole all’imputato soluzione
permettendo di giungere, attraverso una valutazione, nel contraddittorio delle
parti, del complessivo compendio probatorio, ad una definizione del processo
rispondente ai canoni del “giusto processo” ex art. 111 Cost.
L’ errore di impostazione del giudice è reso dunque, nella specie, evidente dalla
circostanza che, nella sentenza, ed in contrasto con la

regula iuris sopra

ricordata, alcuna valutazione prognostica viene fatta sulla possibilità di superare,
nel dibattimento, quello che è stato ritenuto, sulla base di una motivazione, per
di più caratterizzata, in più tratti, da illogicità, un quadro di insufficienza delle
prove e sulla idoneità o inidoneità dei ricordati elementi a sostenere l’accusa in
giudizio.
E tale errore appare avere coinvolto l’analisi effettuata dalla sentenza impugnata
in ordine a tutti i capi d’imputazione coinvolti dai ricorsi.
15

acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere

7.1. Così, quanto ai capi A e F dell’imputazione, attinti dal primo motivo dei
ricorsi, le conclusioni della sentenza in ordine alla non necessità del permesso a
costruire si fondano sul presupposto che le varianti poste in essere nel corso
dell’esecuzione dei lavori fossero riconducibili alle cosiddette varianti “leggere” ex
art. 22, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 che consentono la presentazione di

tale analisi sarebbe corretta in quanto si versi effettivamente, nella specie, nelle
ipotesi considerate tassativamente dal citato art. 22, comma 2; sennonché,
come esattamente rilevato anche dai ricorrenti, già la sola elencazione delle
opere, non poste in discussione, descritte nel capo A) dell’imputazione,
indicativa, per alcune di esse (ed in particolare le modifiche dei prospetti e delle
dimensioni del sottotetto), di varianti suscettibili di presentare le caratteristiche
di varianti “essenziali” (come tali escluse dalla procedura dell’art. 22, comma 2 :
cfr. Sez.3, n. 41752 del 17/10/2010, P.M. in proc. Ruperto e altri, Rv. 248702;
Sez.3, n. 9922 del 20/01/2009, Gelosi, Rv. 243103), avrebbe dovuto, tanto più
a fronte di conclusioni del consulente del P.M., che escludevano comunque il
possibile ricorso alla procedura “semplificata”, escludere la possibilità di una
proscioglimento già in sede di udienza preliminare. Né appare linearmente
motivata la ragione per cui a tale esito potesse comunque giungersi per effetto
dell’intervenuto rilascio di permesso a costruire in sanatoria, a fronte delle
considerazioni del consulente del P. M. secondo cui lo stesso doveva ritenersi
illegittimo sia perché riguardante alcune opere eseguite in parziale difformità sia
perché, in ogni caso, operante su interventi preceduti da d.i.a. illegittimamente
poste in essere : di tali valutazioni del consulente, infatti, del tutto suscettibili,
nella prospettiva prognostica propria dell’ epilogo dell’udienza preliminare, di
sviluppi dibattimentali in senso diverso rispetto alle argomentazioni del G.i.p., la
sentenza non reca traccia.

7.2. Con riguardo ai capi E 1 ed E 5 d’imputazione, la sentenza appare essersi
limitata a prendere atto del fatto che quanto emergente dagli atti (segnatamente
l’utilizzo, nella procedura di dichiarazione di variante, di una modulistica già
predisposta dal Comune e presente sul sito web) non consentirebbe di accertare
l’effettiva volontà di trarre in inganno la pubblica amministrazione, senza avere
considerato, d’altro canto, ai fini della possibilità di una diversa conclusione
all’esito dell’approfondimento dibattimentale, l’oggettiva presentata dichiarazione
di lavori ancora da iniziare ma, in realtà, già in corso di esecuzione. Quanto alla

16

D.i.a. anche prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori. Ma in tanto una

considerazione, formulata in via subordinata, circa l’inutilità del falso (posto che
in ogni caso la procedura prescelta avrebbe potuto comunque essere attivata
fino alla dichiarazione di ultimazione dei lavori) va ricordato che ricorre il
cosiddetto “falso innocuo” solo nei casi in cui l’infedele attestazione o
l’alterazione siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto, non
esplicando effetti sulla funzione documentale dell’atto stesso di attestazione dei

con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto (tra le altre, Sez. 5, n.
35076 del 21/04/2010, Immordino, Rv. 248395; Sez. 3, n. 34901 del
19/07/2011,Testori, Rv. 250285).
7.3. Con riguardo ai capi E2 e E 3 d’imputazione la sentenza impugnata ha
illogicamente svalutato, con riguardo alla falsa dichiarazione contenuta nella
d.i.a. del 30/04/2008, il confronto tra grafici allegati al progetto e grafici di cui
alla d.i.a. stessa, quale elemento che, invece, aveva condotto il consulente del
P.M. a conclusioni sfavorevoli agli imputati.
7.4. In relazione al capo E4, appare poi, come esattamente lamentato dal P.M.
ricorrente, del tutto obliterato, sul punto del contestato falso circa il mancato
ripristino dello stato dei luoghi conformemente al progetto assentito, il
contenuto, sicuramente decisivo, tanto più ai fini del rinvio a giudizio, della
consulenza del P.M., secondo cui, invece, detto falso conseguiva alle differenze
riscontrate tra quanto assentito e quanto realizzato.
7.5.

Con riguardo al capo E 6 d’imputazione, va poi osservato che le

argomentazioni della sentenza impugnata non appaiono disconoscere la
sussistenza della falsa dichiarazione contestata ma interpretano il modus agendi
degli imputati, in cui difetterebbe la volontà di dichiarare il falso, sulla base di
una valutazione (segnatamente, l’esame del complesso del procedimento
amministrativo) già di per sé del tutto compatibile con un provvedimento di
rinvio a giudizio, stanti i possibili sviluppi dibattimentali.
7.6. Anche con riguardo al capo E 7 d’imputazione, sulla base di una
interpretazione che pare arrestarsi ad una lettura formale della consulenza, per
di più fondata su una distinzione tra “situazione assentita” e “prospetto
assentito” che non toglie comunque rilievo al fatto di una non veritiera
rappresentazione grafica, si oblitera, in sentenza, il nucleo di quest’ultima, come
tale del tutto idoneo ad imporre il rinvio a giudizio.

17

dati in esso indicati, con la conseguenza che l’innocuità non deve essere valutata

7.7. In relazione ai capi E 8 ed E 9 la falsità, formalmente presente e non
smentita come tale neppure dalla sentenza, viene tuttavia illogicamente
superata, a fronte della natura formale del reato, attraverso la valorizzazione di
elementi ricavati non dall’atto ma da condotte esterne, anteriori o successive,
inidonee però ad escludere la necessità di un vaglio dibattimentale. Va aggiunto
quanto già detto sopra sub § 7.2. circa il fatto che il cosiddetto “falso innocuo”

irrilevanti ai fini del significato dell’atto, non esplicando effetti sulla funzione
documentale dell’atto stesso di attestazione dei dati in esso indicati, con la
conseguenza che l’innocuità non deve essere valutata con riferimento all’uso che
dell’atto falso venga fatto. Né, con riferimento al capo E 10, una mera diversa
lettura delle conclusioni del consulente del P.M. (tale essendo la ragione delle
conclusioni assolutorie sul punto) consentiva, evidentemente, di poter escludere
il vaglio del dibattimento.
7.8. In relazione al capo E 11, investito dall’impugnazione delle sole parti civili,
va osservato che la motivazione in ordine alla ritenuta palese insussistenza del
falso contestato non appare dar conto della ragione per la quale, quand’anche,
come ritenuto dal giudice, la certificazione rilasciata attenesse al profilo statico e
non di sicurezza, igiene e salubrità, le accertate difformità dai titoli abilitativi e
la pendenza di tre accertamenti di conformità non fossero tali da impedire, in
linea logico – giuridica, una attestazione siffatta, difettando dunque, sul punto, la
sentenza di ogni motivazione anche con riguardo ai possibili sviluppi
dibattimentali.
7.9. In relazione alla motivazione della sentenza impugnata, quanto alla seconda
parte del capo G d’imputazione, dal P.M. sul punto della falsa dichiarazione in
ordine alla mancata determinazione di aumento di superfici e di volumi e di
cambio di destinazione d’uso, premesso che integra il delitto di falso ideologico in
atto pubblico la condotta di coloro che, in qualità rispettivamente di Presidente e
di membro della Commissione speciale di cui all’art. 14 della I. n. 219 del 1981,
autorizzino varianti in corso d’opera, attestando la presenza di presupposti la cui
inesistenza emerga dai grafici progettuali presentati con la domanda,
contrastanti con la normativa urbanistica e la autorizzazione stessa (cfr. Sez.5,
n. 42009 del 24/09/2007, Vertullo e altri, Rv. 238213), il G.u.p. non ha
considerato rilevante che le opere di natura diversa emergevano dagli stessi
grafici progettuali allegati alle D.i.a. che la Commissione aveva l’obbligo di
esaminare; e tuttavia, se, come affermato dallo stesso giudice, la Commissione
18

ricorre solo nei casi in cui l’infedele attestazione o l’alterazione siano del tutto

aveva consapevolezza della reale consistenza delle opere, ciò avrebbe dovuto, in
linea logica, comprovare anche la sussistenza dell’elemento soggettivo ancora
una volta essendo stato dunque indebitamente negato ingresso alla verifica
dibattimentale. Analoghe considerazioni vanno espresse poi, stante la natura
formale del reato di falso, con riferimento alla doglianza delle parti civili
relativamente alla prima parte del capo G d’imputazione afferente la falsa

realizzazione ed al momento dell’istanza in data 24/12/2007.
7.10. In relazione al capo d’imputazione sub H, la sentenza si sofferma
sull’inesistenza di norme che imponessero la sospensione dei lavori ma trascura
di considerare che le stesse anomalie di cui gli amministratori dovevano avere
conoscenza (giacché quanto meno alle date del 30/03/2007 e 2/04/2007 i locali
commerciali del piano terra risultavano già diversamente distribuiti) avrebbero
dovuto imporre la sospensione a norma dell’art. 27 del d. P.R. n. 380 del 2001;in
ogni caso, una tale situazione non poteva comportare, ancora una volta, sic et
simpliciter la sentenza di non luogo a procedere senza esperire il vaglio
dibattimentale; e ciò anche in relazione alle numerose omissioni partitamente
elencate nel ricorso del P.M. (pag. 18) e sulle quali la sentenza manca di
argomentare.
7.11. Con riguardo al capo I, la motivazione della sentenza impugnata non
appare in realtà confutare la sussistenza del falso ma ne dà una spiegazione
sostanzialmente giustificatrice ed appare, dunque, illogica quanto alla ritenuta
non integrazione del fatto addebitato ancor prima di ogni valutazione a seguito
del dibattimento.
7.12. Infine, con riguardo al capo L, le stesse considerazioni operate dalla
sentenza in ordine all’opinabilità degli strumenti di misurazione usati dal
consulente del P.M. e alla non sicura attendibilità dei risultati così ottenuti, lungi
dall’escludere, come ritenuto dal giudice, imponevano, anzi, il vaglio
dibattimentale, tanto più necessario in presenza di dati diversamente
interpretabili e perfettibili, da ciò derivando l’illogica pretermissione del rinvio a
giudizio degli imputati.
8. Deriva, in definitiva, da quanto detto, che la sentenza impugnata va annullata
limitatamente ai capi d’imputazione A), E), F), G), H) I) e L) con rinvio al
Tribunale di Torre Annunziata per nuovo giudizio.

19

dichiarazione in relazione alla conformità delle opere al momento della loro

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai capi d’imputazione A), E), F),
G), H) I) e L) e rinvia al Tribunale di Torre Annunziata per nuovo giudizio;
dichiara inammissibile il ricorso delle parti civili relativamente ai capi
d’imputazione A), B), C), D), F), H).

Il Conllier est.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2013

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