Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50924 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 50924 Anno 2013
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FIDA MASSIMO RINUNCIANTE N. IL 21/11/1973
avverso l’ordinanza n. 76/2013 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 03/04/2013

Boni/J(4
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONI
1″e/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 27/11/2013

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa 1’8 maggio 2013 il Tribunale di Reggio Calabria, costituito ai sensi
dell’art. 310 cod. proc. pen., rigettava l’appello proposto nell’interesse dell’imputato Massimo
Fida avverso l’ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria del 29 novembre
2012, che aveva rigettato l’istanza di revoca o sostituzione della misura della custodia
cautelare in carcere, già applicatagli in quanto gravemente indiziato del delitto di cui all’art.
416-bis cod. pen..

per il quale il Fida era stato sottoposto a misura custodiale e per il quale aveva riportato
condanna alla pena di anni otto di reclusione all’esito del giudizio di primo grado, oltre che per
l’assenza dell’allegazione di nuovi elementi di valutazione, del principio della non rivalutabilità
della gravità indiziaria in sede di appello cautelare; quindi rilevava l’assenza dei presupposti
per l’invocata applicazione della disposizione dell’art. 275 cod. proc. pen., comma 4, atteso che
la necessità della moglie dell’imputato di dedicarsi ad attività lavorativa onde provvedere così
al mantenimento della prole di età inferiore ai sei anni non costituiva impedimento assoluto
alla loro cura, ben potendo fare ricorso all’aiuto di congiunti o affidare i figli minori ad istituti
scolastici o assistenziali a sostegno della genitorialità.
2. Avverso detto provvedimento ha interposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo
del suo difensore, il quale deduce:
-la nullità dell’ordinanza impugnata per violazione di legge in relazione al disposto dell’art. 299,
125 e 546 lett. e) cod. proc. pen. e per vizio di motivazione in tema di sussistenza delle
esigenze cautelari, ritenute attenuate o insussistenti per lo stato avanzato del procedimento, il
tempo trascorso dall’applicazione della misura e la condanna già intervenuta in primo grado,
argomenti ignorati dal Tribunale che alcuna motivazione aveva reso al riguardo in contrasto
con le indicazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 57 del 2013 che aveva
espressamente riconosciuto l’illegittimità costituzionale della presunzione assoluta di
adeguatezza della sola misura custodiale nei riguardi di indagati per reati aggravati ai sensi
dell’art. 7 I.n. 203/91.
-vizio di motivazione in relazione all’art. 275 cod. proc. pen. per carenza ed illogicità: la
situazione familiare dell’istante era stata documentata, ma il Tribunale non ha considerato la
necessità per l’imputato di prestare assistenza ai figli di età minore onde consentire alla moglie
di svolgere attività lavorativa per procurare i mezzi di sostentamento al nucleo familiare e ha
preteso un impedimento assoluto del genitore in libertà, che, invece, avrebbe dovuto valutare
in relazione alle situazioni concrete.
3. Con nota pervenuta il 20 novembre 2013 il difensore ha dichiarato di rinunciare
all’impugnazione.

Considerato in diritto
I

1.1 Fondava la propria decisione sul rilievo dell’operatività, in relazione al titolo del reato

Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
1.Va premesso che la nota depositata dal difensore nelle more della trattazione del
procedimento all’odierna udienza non estrinseca una valida manifestazione della volontà di
rinunciare all’impugnazione proposta, atteso che l’unico firmatario, l’avv.to lana, non risulta
dagli atti del procedimento munito di procura speciale, non rilevando a tal fine che egli abbia
proposto e sottoscritto l’atto di gravame (Cass. sez. 1, n. 44612 del 16/10/2008, Frioni e altri,
Rv. 241569; sez. 6, n. 42181 del 27/11/2006, Ferrieri Caputi, rv. 235302).

Tribunale con motivazione sintetica, ma rispettosa del dato normativo di riferimento e priva dei
denunciati vizi di illogicità ed insufficienza.
2.1 Premesso che il ricorrente all’esito del giudizio di primo grado ha riportato condanna
in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., il Tribunale ha considerato implicitamente
irrilevante il decorso del tempo rispetto al momento di sottoposizione alla misura in esecuzione
e l’avvenuta definizione del procedimento di cognizione in primo grado, valutando tali elementi
insufficienti a dimostrare l’insussistenza della pericolosità sociale, oggetto di presunzione
relativa in ragione del titolo del reato, per il quale è stato ravvisato in modo non più
contestabile il requisito della gravità indiziaria.
2.2 In tal modo i giudici dell’appello cautelare hanno dato applicazione al caso del
principio di diritto, oggetto di costante affermazione da parte della giurisprudenza di
legittimità, secondo il quale i criteri di adeguatezza e proporzionalità, i quali presiedono
all’applicazione delle misure coercitive in relazione alle specifiche esigenze cautelari del caso,
non possono essere riferiti all’indagato sottoposto alla custodia cautelare in carcere per il
delitto di associazione di tipo mafioso, in quanto l’art. 275 cod.proc.pen., comma 3, in
presenza di gravi indizi di responsabilità pone una presunzione di pericolosità sociale e di
adeguatezza della sola più afflittiva misura, che può essere superata solo quando sia acquisita
la prova contraria, fornita da fatti dimostrativi dell’impossibilità che il soggetto possa protrarre
le condotte criminose ascrittegli. Ciò implica la dimostrazione che il partecipe in futuro non
continuerà a fornire il suo contributo all’organizzazione per conto della quale ha operato e ciò
per effetto della sua dissociazione, oppure della disgregazione del sodalizio (Sez. 6, n. 46060
del 14/11/2008, Verolla, Rv. 242041; sez. 2 n. 305 del 15/12/2006, Comisso, rv. 235367; sez.
2, n. 45525 del 20/10/2005, PM in proc. Russo, rv. 232781; sez. 5, n. 48430 del 19/11/2004,
Grillo, rv. 231281). Pertanto, in mancanza di tale certa acquisizione, la presunzione persiste
anche nel periodo successivo alla fase iniziale della prima applicazione della misura (Cass.
S.U., n. 34473 del 19/7/2012, Lipari, rv. 253186), opinione giustificata in forza della chiara
formulazione testuale dell’art. 275 cod. proc. pen., il quale impone l’adozione della misura
custodiale e consente la sua revoca soltanto a fronte dell’esclusione delle esigenze cautelari,
della finalità di inasprimento del regime cautelare nei riguardi di quanti siano raggiunti da
gravità indiziaria per i reati più seri ed allarmanti in deroga ai principi generali, dettati dal

2

2. Ciò posto, il primo motivo di gravame ripropone questione già affrontata e risolta dal

primo comma dell’art. 275 stesso, e della natura residuale della custodia in carcere, massima
forma di restrizione della libertà personale ed applicabile quale “extrema ratio”, nonché del
profilo sistematico legato alla previsione del secondo comma dell’art. 299 cod. proc. pen., il
quale esclude espressamente che in tale situazione un mero affievolimento delle esigenze
cautelari possa consentire la sostituzione della custodia in carcere con misure diverse.
2.3 Non giova dunque al ricorrente lamentare l’omessa valutazione di circostanze
oggettive, in sé non indicative di un allontanamento dall’organizzazione di appartenenza e della
rescissione dei legami con gli altri sodali. Inoltre, altrettanto non decisivo è il richiamo alla

Costizuonale con sentenza nr. 57/2013, che ha riguardato soltanto la presunzione di
pericolosità e di adeguatezza della misura custodiale sancita nei confronti degli indagati per
reati aggravati ai sensi dell’art. 7 I. n. 203/2013. Per contro, il Fida deve rispondere ed è stato
già condannato per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., per il quale vige ancora la duplice
presunzione stabilita dalla norma dell’art. 275, che sotto questo profilo ha superato indenne lo
scrutinio della Consulta.
3. Il ricorso è privo di fondamento anche con riferimento al diverso profilo dedotto
dell’esigenza per la moglie del Fida di dedicarsi ad attività lavorativa per il sostentamento
proprio e della prole minore di età. Richiama al riguardo l’esigenza di dare supporto materiale
ed affettivo alla moglie ed ai figli per essere la stessa costretta ad assentarsi da casa onde
svolgere l’attività di bracciante agricola con la quale provvedere al mantenimento della famiglia
nell’assenza forzata del marito.
3.1 Premesso che dei figli della coppia, soltanto uno ha età inferiore ai sei anni e soltanto
per esso potrebbe operare la disposizione di cui all’art. 275 cod. proc. pen., comma 4, il quale
pone il divieto di applicazione e di mantenimento della custodia in carcere nei confronti
dell’indagato, pure se debba rispondere di uno dei gravi delitti di cui all’art. 51 cod. proc. pen.,
comma 3-bis e 3-quater, quando si tratti di donna incinta o madre di prole convivente di età
non superiore ai sei anni, oppure di padre quando la madre sia deceduta o assolutamente
impedita dal prestare assistenza ai figli infraseienni, fatto salvo il caso che ricorrano esigenze
cautelari di eccezionale rilevanza.
3.2 Ciò nonostante, la statuizione del Tribunale appare corretta, logica, rispettosa del
dettato normativo e dell’interpretazione offertane da questa Corte, in quanto ha rilevato come
l’eventuale impegno lavorativo cui dovesse dedicarsi la moglie del ricorrente non potrebbe
costituire quell’impedimento assoluto all’assistenza dei figli, richiesto per l’applicazione della
disposizione in esame. Infatti, l’assenza della madre per una fascia oraria limitata nel corso
della giornata potrebbe essere supplita dall’affidamento dei minori a strutture pubbliche o
private convenzionate, oppure ad altri prossimi congiunti, non diversamente da quanto accade
in quei nuclei familiari, nei quali uno o entrambi i genitori siano dediti ad attività lavorativa
all’esterno dell’abitazione, senza che uno di essi sia detenuto (Cass. sez. 5, n. 27000 cl

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/)

pronuncia di incostituzionalità parziale dell’art. 275 cod. proc. pen., comma 4, resa dalla Corte

Trasmessa copia ex art. 23
n. 1 ler L. 8-8-95 n. 332
eraro, rv. 242082; sez. 6 n.
R 290 ,diel—
ì W
-4 /12/2008, Calida—28/5/2009, P., rv. 244485; sez. 1, n. 46on13
31772 dell’8/7/2009, Chianchiano rv. 245196).
3.3 Il che è tanto più valido nel caso in esame, nel quale la stessa relazione della dr.ssa
Morabito, richiamata nel provvedimento impugnato, attesta la capacità della moglie del
ricorrente di far fronte ai bisogni primari dei figli, mentre non si è dedotto, né dimostrato
l’inesistenza di qualsiasi opportunità di collocare i minori in scuole, asili, presso i nonni o altri
parenti stretti per il tempo strettamente necessario a consentire alla loro madre di dedicarsi al
lavoro.

proponente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone
trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’istituto
penitenziario, ai sensi dell’art. 94, co. 1-ter, disp. att. c.p.p..
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2013.

Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del

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