Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50922 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 50922 Anno 2013
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PAPA GIUSEPPE N. IL 01/01/1949
avverso l’ordinanza n. 3018/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 08/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI; ,
lette/sentite-le conclusioni del PG Dott. (9„ku`Ao QIQQajuAk ÀJ
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 27/11/2013

Ritenuto in fatto

1.Con l’ordinanza resa 1’8 febbraio 2013 il Tribunale di Sorveglianza di Roma
rigettava il reclamo proposto da Giuseppe Papa -detenuto in esecuzione di condanna
definitiva omicidio aggravato, nonché sottoposto ad altri procedimenti per
associazione di stampo mafioso ed altri delitti, aggravati ai sensi dell’art. 7 d.l.
152/91- avverso il Decreto del Ministro della Giustizia, con il quale, ex art. 41 bis,
comma 2, ord. pen., era stata disposta la proroga per anni due della sospensione nei
suoi confronti di alcune regole di trattamento previste dalla legge n. 354/1975.
1.1 Ad avviso del Tribunale tale proroga della sospensione era giustificata da

nell’associazione denominata clan Lubrano-Ligato, aderente alla più ampia
organizzazione “clan dei Casalesi” ed il suo elevato profilo criminale; b) la matrice
camorristica dell’omicidio aggravato per il quale gli era stata inflitta la pena
dell’ergastolo in espiazione; c) la recente sottoposizione a procedimenti penali
pendenti per il delitto di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, contestato
sino all’anno 2005 ed altri reati fine aggravati ai sensi dell’art. 7 I. 203/91; d) la
sottoposizione a sequestro ai sensi della legislazione antimafia di aziende agricole e
beni strumentali nella sua titolarità o ad esso riconducibili; e) la perdurante
operatività dell’associazione e la sua elevata pericolosità, desumibili da recenti
acquisizioni investigative, nonostante l’avvenuta cattura di suoi esponenti rimasti
latitanti per lungo tempo.
2.Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Papa
tramite il difensore di fiducia.
2.1 Col primo motivo ha dedotto violazione di legge in relazione al disposto del
secondo comma dell’art. 41-bis, in quanto il Tribunale non aveva verificato la
sussistenza dei presupposti per disporre la proroga del regime detentivo differenziato
e non aveva considerato le doglianze difensive relative all’assenza di un titolo di
carcerazione idoneo in senso formale a giustificazione l’applicazione del predetto
regime, incorrendo il provvedimento in omessa motivazione. Inoltre, i principi
costituzionali di proporzionalità ed inviolabilità della libertà personale avrebbero
dovuto impedire di demandare ad altre autorità, diverse da quella giudiziaria,
l’individuazione in senso sostanziale dell’aggravante prevista dall’art. 7 L 203/91.
2.2 Col secondo motivo, formulato in via subordinata per l’eventuale rigetto del
precedente, si è sollevata questione di legittimità costituzionale, per violazione degli
artt. 3, 13 e 27 della Costituzione, dell’art. 41-bis nell’interpretazione offertane dal
provvedimento impugnato, secondo la quale sarebbe sufficiente ravvisare gli estremi
dell’aggravante sopra indicata in senso sostanziale, pur in difetto di esplicita
contestazione con l’accusa e di una specifica motivazione sulla c.d. “intraneità”, per
giustificare la sottoposizione al regime detentivo differenziato, frutto di applicazione
analogica della norma, operata dall’autorità amministrativa in contrasto con la riserva
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plurimi e concreti elementi, quali: a) l’inserimento del condannato in posizione apicale

di legge e la riserva di giurisdizione, che impongono di procedere ad interpretazione
restrittiva di tutte le disposizioni che limitino ulteriormente la già compressa libertà
personale del detenuto in espiazione di pena.
2.3 In via ulteriormente subordinata, col terzo motivo si è dedotta l’omessa
motivazione sulla sussistenza del presupposto normativo per la sottoposizione alla
sospensione delle regole trattamentali ordinarie, in quanto il Tribunale di
Sorveglianza, pur avendo riscontrato che il Papa era detenuto in esecuzione della
pena definitiva dell’ergastolo per fatto di omicidio, accertato nel 1990, ha ritenuto
sussistente la circostanza aggravante dell’art. 7 richiamando “de relato” quanto

ed il precedente provvedimento di convalida della proroga per il biennio precedente e
su tale rilievo ha riconosciuto l’esistenza del presupposto applicativo del regime
speciale.
3. Con requisitoria scritta depositata il 12 luglio 2013 il Procuratore Generale
presso la Corte di Cassazione, dr. Antonio Gialanella, ha chiesto il rigetto del ricorso
per la sua infondatezza.
4. Con successiva memoria depositata 1’8 novembre 2013 i difensori del
ricorrente hanno replicato ai rilievi contenuti nella requisitoria del P.G., illustrando
ulteriormente i motivi di gravame.

Considerato in diritto

L’impugnazione è infondata e non merita accoglimento.
1.E’ noto che l’art. 41-bis, comma 2-bis, della legge n. 354 del 1975, sostituito
dall’art. 2 della legge 23 dicembre 2002 n. 279, stabilisce che i provvedimenti
applicativi del regime di detenzione differenziato “sono prorogabili nelle stesse forme
per periodi successivi, ciascuno pari ad un anno, purché non risulti che la capacità del
detenuto o dell’internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche
o eversive sia venuta meno”. L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di Cassazione
è segnato dal comma 2 sexies del novellato art. 41 bis, a norma del quale il
Procuratore generale presso la Corte d’appello, l’internato o il difensore possono
proporre, entro dieci giorni della sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso
l’ordinanza del Tribunale per violazione di legge.
1.1 Per pacifico arresto giurisprudenziale, la limitazione dei motivi di ricorso alla
sola violazione di legge va inteso nel senso che il controllo affidato al giudice di
legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di specifiche disposizioni di legge
sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, integrante in sé un’ipotesi di
trasgressione, sia del disposto generale dall’art. 125 cod.proc.pen., sia della
prescrizione dell’art. 41 bis ord. pen., comma 2 sexies, secondo la quale il Tribunale
di Sorveglianza “decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli artt. 666 e
678 c.p.p., sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento e sulla
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riportato nella sentenza della Corte di Assise di Napoli, in realtà non acquisita agli atti,

congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 2”.
1.2 Da tali premesse discende che l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza, che
abbia deciso il reclamo avverso il decreto applicativo del regime detentivo
differenziato, oppure quello di proroga, è censurabile col ricorso per cassazione in
caso di motivazione graficamente assente, constando il provvedimento del solo
dispositivo ed in quelli, ben più frequenti, nei quali l’apparato giustificativo del
provvedimento sia privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al
punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidoneo a rendere
comprensibile la “ratio decidendi” perché le relative linee esplicative sono talmente
scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da compromettere l’intelligibilità

sostanzialmente eluse, tutte situazioni nelle quali le argomentazioni giustificative, pur
presenti, in realtà non assolvano alla funzioni cui sono destinate (Sez. Un. 28/5/2003,
ric. Pellegrino, rv. 224611; Sez. I, 9/11/2004, ric. Santapaola, rv. 230203).
1.3 E’, invece, da escludere che la violazione di legge possa ricomprendere il
vizio di insufficienza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, che non può
evidentemente trovare ingresso nel giudizio di legittimità in merito all’applicazione o
alla proroga del regime detentivo differenziato.
1.4 Deve poi ricordarsi, come puntualmente ed efficacemente rappresentato
nella requisitoria del P.G., che per effetto dei principi interpretativi, formulati da
questa Corte dalla sentenza n. 423 del 26/1/2004, Zara, rv. 228049 in poi e ribaditi
dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 417 del 13/12/2004, che ha respinto la
questione di incostituzionalità della norma di cui al comma 2-bis dell’art. 41-bis 0.P.,
nel testo introdotto dall’art. 2 I. n. 279/2002, la conformità alla Costituzione della
disposizione è garantita soltanto a condizione che ogni decreto applicativo o di
proroga sia dotato di congrua e propria motivazione in ordine alla sussistenza o
persistenza dei presupposti per la sottoposizione al regime detentivo differenziato,
non consentendo l’ordinamento giuridico una perpetuazione automatica della
compressione dei diritti del condannato in espiazione di pena, disposta al di fuori del
vaglio giudiziale ancorato alla situazione personale concreta ed alla reale ed attuale
pericolosità sociale nella sua forma specifica della capacità di mantenere collegamenti
con le associazioni criminali di appartenenza.
Al riguardo, tenuto conto della riforma ulteriore del comma 2-bis dell’art. 41-bis
introdotta nel 2009, va ricordato che la proroga del decreto ministeriale postula
l’accertamento della persistenza della capacità del condannato di tenere contatti con
l’associazione di riferimento, verifica da condurre anche utilizzando gli specifici
parametri, ritenuti dal legislatore significativi e non necessariamente compresenti, del
profilo criminale, della posizione rivestita dal soggetto in sendtrganizzazione, della
perdurante operatività del sodalizio, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non
considerate in precedenza, degli esiti del trattamento intramurario e del tenore di vita
dei familiari, in ordine ai quali è necessario che il provvedimento del Tribunale di

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della decisione, ovvero ancora quando non affrontino le tematiche poste col reclamo,

Sorveglianza espliciti la valutazione condotta sulla scorta di circostanze ed elementi
concreti, significanti che il pericolo di contatti del condannato con l’esterno ed i gruppi
criminali di appartenenza, quindi della ripresa dell’attività criminosa, non è cessato
(Cass. sez. 5, n. 40673 del 30/05/2012, Badagliacca, rv. 253713; sez. 5, n. 18054
del 25/01/2012, Russo, rv. 253759; sez. 1, n. 14822 del 03/02/2009, P.G. in proc.
Calabro’, rv. 243736).
1.5 Resta escluso dunque che sussista un onere a carico del condannato di
offrire prova della cessazione di tale pericolo, gravando piuttosto sull’amministrazione
penitenziaria dimostrare che le condizioni giustificanti la sottrazione al regime
ordinario permangono.

giudizio circa la persistenza di detto pericolo alle pregresse esperienze criminali del
Papa, al suo ruolo di vertice della cosca Lubrano-Ligato quale referente per la zona di
Capua, alla perdurante operatività nel territorio d’influenza della stessa
organizzazione, dimostrato da investigazioni protratte sino a tempi molto recenti e
documentate dalle informazione acquisite, dall’erogazione in suo favore di contributi
economici per il suo sostentamento da parte di esponenti del medesimo
raggruppamento criminoso, elementi in sé sufficienti, nonostante il decorso del
tempo, a provare la sua capacità di mantenere contatti con tale organizzazione.
2.1 II Tribunale non si è nemmeno sottratto al confronto con la contestazione
difensiva, secondo la quale il decreto ministeriale di proroga non avrebbe considerato
che il ricorrente non era stato colpito da condanna per reato aggravato ai sensi
dell’art. 7 L. n. 203/91, sicchè il titolo in sé del reato già giudicato non avrebbe
consentito la sottoposizione a regime carcerario differenziato.
2.1.1 Al contrario, il collegio di merito ha affrontato esplicitamente la questione
e rilevato, da un lato che l’omessa contestazione formale della circostanza aggravante
era dipesa dall’essere il testo di legge che la introduceva nell’ordinamento entrato in
vigore in data successiva alla commissione del reato di omicidio con la conseguente
impossibilità di procedere alla sua applicazione retroattiva in “sfavor” dell’imputato,
dall’altro che le caratteristiche del delitto e le spinte motivazionali alla sua
consumazione ne rivelavano la “matrice camorristica”, ossia la connotazione in punto
di fatto ed in senso sostanziale dalle circostanze, che poi sarebbero state contemplate
dall’art. 7 L. n. 203/91. Ma ciò non ha significato applicare di fatto con effetti
retroattivi questa disposizione di legge, né ravvisarne i presupposti operativi.
Sul punto ha richiamato quale parte integrante della sua motivazione le
condivise argomentazioni della precedente ordinanza dello stesso Tribunale del
2/12/2010 di conferma del decreto ministeriale di proroga del regime di cui all’art.
41-bis per il biennio antecedente, ove si era evidenziato come dalla sentenza di
appello del procedimento per l’omicidio Mandesi fosse deducibile l’inserimento
dell’episodio criminoso nel contesto della sanguinosa faida che aveva opposto il clan
dei Casalesi ai Bardelliniani, al quale gruppo la vittima era stata organica, nonché la
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2.Tanto premesso in linea generale, il provvedimento impugnato ha ancorato il

partecipazione attiva del Papa alla fase preparatoria del delitto, la cui ricostruzione
probatoria era stata consentita dalle propalazioni di più collaboratori di giustizia,
soggetti già attivi nell’ambito delle stesse consorterie. Il riferimento “per relationem”
al precedente provvedimento, corredato da puntuali elementi per la sua
identificazione e la verifica del relativo contenuto, consente di ritenere correttamente
valutata la strumentalità dell’omicidio, per il quale il Papa sta scontando la pena
dell’ergastolo, ad avvantaggiare organizzazione di stampo mafioso, alla quale per lo
stesso arco temporale egli è risultato partecipe, come tale indicato in altra pronuncia
giudiziale irrevocabile. Inoltre, dai superiori rilievi si traggono argomenti che
consentono di superare anche quanto contestato dal ricorrente col terzo motivo circa

l’omessa considerazione da parte dei giudici di merito della sentenza della Corte di
Assise di Napoli, relativa all’omicidio Mandesi, perché non prodotta agli atti, dal
momento che oggetto di attenta valutazione era stata la pronuncia di appello di quel
procedimento e gli accertamenti in esso consacrati, che il ricorso comunque non
smentisce con alcun argomento confutativo.
2.1.2 Si osserva che le statuizioni del Tribunale di Sorveglianza si pongono in
consapevole e giustificata continuità con l’orientamento costante della giurisprudenza
di legittimità, secondo il quale la mancata inclusione nell’accusa formalizzata della
contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 7 I. n. 203/91 non esplica
effetti preclusivi dell’applicazione del regime di cui all’art. 41-bis, in quanto la norma,
anche nella sua attuale formulazione a seguito dell’intervento novellatore di cui alla
legge n. 94 del 2009, non richiede che sia contestata la predetta aggravante, ma,
attraverso il riferimento ai reati previsti dall’art. 4-bis ord. pen., prevede la sua
applicabilità a quanti siano raggiunti da titolo esecutivo o custodiale perché
responsabili o indagati in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. ed anche ai
reati che siano commessi, avvalendosi delle condizioni in tale articolo stabilite o per
avvantaggiare le organizzazioni dallo stesso contemplate (Cass. sez. 1, n. 17738 del
23/04/2010, Conte, rv. 247077; sez. 1, n. 374 del 23/11/2004, Bosti, rv. 230539;
sez. 1, n. 29379 del 27/06/2001, Mammoliti, rv. 219593; nonché Cass. sez. 1, n.
29101 del 2.7.2004, Calvano; sez. 1, n. 24151 del 26.5.2004, Belforte; sez. 1, n.
20943 del 4.5.2004, Garonfolo; sez. 1, n. 32795 del 29.8.2005, Gallico, tutte non
massimate).
E’ dunque dalla testuale formulazione dell’art. 4-bis che trae fondamento
l’opinione, sostenuta dalla dottrina e dalla costante giurisprudenza sopra esposta,
secondo la quale è consentita la sottoposizione alla sospensione delle regole detentive
ordinarie di chi sia condannato o indagato anche per reati comuni, purchè si sia
accertata la loro commissione, avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis cod.
pen. oppure a favore dell’associazione da questa disposizione prevista, non quindi
perché aggravati ai sensi dell’art. 7 citato nel senso dell’effettiva e formale
configurazione della relativa circostanza aggravante o della sua concreta operatività
con effetti incidenti sul trattamento sanzionatorio.

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r

A fronte di argomentazioni pregnanti e significative, pienamente condivise da
questo Collegio, il ricorso e la successiva memoria non prospettano ragioni per
discostarsi da tale uniforme e valido orientamento interpretativo e si limitano a
doglianze aspecifiche ed ingiustificate alla luce del percorso giustificativo del
provvedimento impugnato.
3. Non può accogliersi nemmeno il secondo motivo di ricorso, che è frutto dello
stesso fraintendimento già esaminato con riferimento alla prima censura mossa col
ricorso: va quindi ribadito che, né il decreto ministeriale reclamato, né il
provvedimento di rigetto del reclamo hanno proposto l'”identificazione sostanziale

corretta applicazione dei requisiti per l’applicazione della disciplina limitativa dell’art.
41-bis in relazione alla formulazione testuale del richiamato art. 4-bis. Risulta,
pertanto, irrilevante e manifestamente infondata anche la questione di legittimità
costituzionale sollevata dalla difesa.
3.1 Sostiene il ricorrente che qualora si ritenesse insufficiente la mera
ricognizione dei requisiti formali dell’accusa, consacrati in una formale imputazione,
l’applicazione della sospensione delle regole di trattamento sarebbe frutto di
interpretazione analogica o estensiva della previsione di legge: ma in realtà il testo
dell’art. 4-bis ord. pen. non pretende affatto che sia la sola imputazione ad esplicitare
l’addebito di avere commesso il reato per il quale il detenuto abbia riportato condanna
mediante le condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen. o a vantaggio delle
organizzazioni in esso previste, quanto piuttosto che la vicenda criminosa riscontrata
giudizialmente presenti quelle caratteristiche fattuali, che quindi devono emergere
dagli accertamenti contenuti nel titolo giudiziale, considerato nel suo complesso e non
soltanto nel dato formale dell’imputazione. Il che risponde perfettamente alla riserva
di giurisdizione, richiamata nel ricorso, perché è l’autorità giudiziaria ad avere
ricostruito in sede di cognizione le circostanze concrete di consumazione dell’illecito
penale nel procedimento conclusosi con pronuncia irrevocabile ed è sempre l’autorità
giudiziaria che, nel riesaminare in sede di reclamo il provvedimento amministrativo
prescrittivo del regime detentivo, verifica il contenuto del giudicato e ne trae le
conseguenze ai fini dell’applicazione dell’art. 41-bis, dando conto delle ragioni della
propria decisione.
3.2 Né argomenti a favore della pretesa incostituzionalità della norma in
verifica possono trarsi dalla sentenza nr. 57/2013 con la quale la Consulta ha
dichiarato parzialmente incostituzionale la previsione dell’art. 275 cod. proc. pen.
nella parte in cui stabiliva la presunzione relativa di sussistenza di esigenze cautelari e
di adeguatezza della sola misura della custodia in carcere nei confronti degli indagati
per reati aggravati ai sensi dell’art. 7 I. n. 203/91; la questione scrutinata ha
riguardato il solo regime cautelare ed il meccanismo presuntivo generalizzat
introdotto nei riguardi degli indagati sottoposti a misura coercitiva e non già
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della aggravante introdotta nel 1991 dalla I. n. 203″ ma hanno offerto una fedele e

differente istituto dell’art. 41-bis e dell’espiazione della pena detentiva con modalità
specifiche, introdotte per quanti siano connotati da specifica pericolosità sociale.
Per le ragioni esposte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle speseprocessuali.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2013.

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