Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50912 del 26/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 50912 Anno 2013
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ZACCARIA FABIO N. IL 09/03/1976
avverso l ‘ordinanza n. 250/2013 GIP TRIBUNALE di BRINDISI, del
16/01/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
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Data Udienza: 26/11/2013

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza resa in data 16 gennaio 2013, il G.I.P. presso il Tribunale di Brindisi
convalidava l’arresto di Zaccaria Fabio, eseguito alle ore 14.20 del 12 gennaio 2013 dai
Carabinieri di Villa Castelli nella flagranza del reato di detenzione illegale di parti di armi,
costituite da quattro serbatoi per pistola semiautomatica calibro 7,65, contestato al capo A)
della rubrica.
2. Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione lo Zaccaria, per ministero del

Deduce, sostanzialmente, il ricorrente che, a seguito delle modifiche legislative
apportate dal D. L.vo n. 204/2010 all’art. 19 L. n. 110/75, i caricatori destinati alle armi
comuni da sparo non rientrano più tra le “parti di arma” .
In forza di tale innovazione normativa, determinata dalla necessità di adeguamento
dell’ordinamento interno a disposizioni europee (Convenzione Internazionale di Strasburgo del
1978, Direttiva del 1991) e internazionali (Protocollo ONU, L. n. 146/06), il fatto ascritto al
ricorrente non è più previsto dalla legge come reato, sicché l’arresto subìto dallo Zaccaria deve
considerarsi illegale e l’ordinanza di convalida impugnata illegittima.
3. Il Procuratore Generale, citando la sentenza n. 4050/2012 emessa da questa Corte,
conclude nella sua requisitoria scritta per l’accoglimento del ricorso, ritenendo la detenzione di
parti di arma non più prevista come reato a seguito della citata modifica legislativa.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.
2. La tesi del ricorrente, secondo la quale, a seguito delle modifiche legislative apportate
dal D. Lgs. n. 204/2010 all’art. 19 L. n. 110/75, i caricatori destinati alle armi comuni da sparo
non rientrerebbero più tra le “parti di arma”, è stata disattesa dal G.I.P. presso il Tribunale di
Brindisi, la cui motivazione, scandita da puntuale ricognizione normativa e giurisprudenziale sul
tema, è approdata alla conclusione per cui né dalla direttiva 2008/51/CE in materia di armi, né
dalle norma introdotte dal D. L.vo n. 204/2010 (con il quale il Governo aveva dato esecuzione
alla delega attribuitagli per l’attuazione della citata direttiva comunitaria), potevano ricavarsi
argomenti per sostenere che le norme incriminatrici in materia di armi comuni da sparo
avessero ormai ad oggetto esclusivamente le “parti essenziali” delle medesime, giacché era
evidente che ogni riferimento all’essenzialità di tali componenti – sia esso contenuto nella
normativa comunitaria o in quella nazionale – era dettato al limitato fine di disciplinare
l’attività di immatricolazione (che impone che la “marcatura” delle armi da fuoco avvenga,
appunto, solo sulle “parti essenziali” la cui distruzione renderebbe l’arma inutilizzabile).
Doveva, quindi, ritenersi integrato a carico dell’indagato odierno ricorrente, il reato di
cui al capo A) della rubrica (detenzione illegale di quattro serbatoi per pistola semiautomatica).

difensore di fiducia, denunciando violazione dell’art. 606 lett. b), c) ed e) c.p.p.

3. E’ noto che, sino all’entrata in vigore del D.L.vo n. 204/2010, una precisa definizione
normativa di parte di arma era assente nell’ordinamento giuridico, nonostante l’elencazione,
contenuta nell’art. 19 della L. 18 aprile 1975, n. 110, recante “Norme integrative della disciplina
vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi”, con riferimento all’obbligo
dell’avviso all’autorità di pubblica sicurezza, imposto in caso di “trasporto di singole parti di armi
da guerra e tipo guerra, nonché di canne, carcasse, carrelli, fusti, tamburi, bascule e caricatori
di armi comuni”.

qualunque oggetto nel quale potesse suddividersi l’arma stessa, senza differenziazioni legate
alla funzione propria di ciascun componente. La giurisprudenza di questa Corte, a fronte di una
nozione indistinta ed onnicomprensiva, che produceva effetti irrazionali, sottoponendo a
punizioni condotte, prive di reale offensività, perché relative ad oggetti privi di rilevanza, aveva
avvertito l’esigenza di introdurre un criterio di definizione più preciso, che giustificasse
l’applicazione alle parti di arma del severo regime punitivo applicabile all’arma quale insieme
completo. A tal fine aveva affermato che, per la configurabilità dei delitti di cui agli artt. 2 e 4
Legge 2/10/1967 n. 685, costituisce parte di arma da fuoco non solo ciò che è strettamente
necessario a rendere lo strumento idoneo allo sparo, ma anche quanto contribuisce a renderlo
concretamente più pericoloso, più efficace, oppure più insidioso per volume di fuoco, rapidità di
sparo o precisione di tiro, con esclusione soltanto delle componenti di mera rifinitura, tali da
agevolare l’utilizzo per la maggiore comodità assicurata, si pensi al treppiedi, ai contrappesi, al
cannocchiale, oppure di ornamento dell’aspetto esteriore dell’arma senza comunque incidere,
nemmeno indirettamente, sul funzionamento e sugli effetti prodotti dall’arma nel suo insieme.
3.2. In tal modo si era fatto rientrare nella nozione di parte di arma non qualsiasi suo
elemento costitutivo, compresi quelli del tutto secondari, non qualificanti per il meccanismo
dello sparo e quindi ininfluenti sulla pericolosità dello strumento (come, ad esempio, viti o
molle), ma soltanto quelli che, in sé considerati, fossero dotati di rilevante importanza
strutturale, rivestissero una propria funzione autonoma e consentissero la rapida ed agevole
ricostituzione di un’arma efficiente (Cass. sez. 1, n. 17105 del 22/9/1989, Piva, rv 182752;
sez. I, n. 2542 del 15/11/1988, Libanori, rv 183449; sez. 1, n. 41704 del 24/10/2002, Frittelli,
rv. 218080; sez. 1, n. 39740 del 22/9/2005, Brenna, rv. 232942); l’individuazione di tale
concetto di parte di arma trovava avallo nella comune finalità, perseguita dalle diverse
disposizioni normative incriminanti le condotte aventi ad oggetto “parti di armi” e consistente
nel contrasto della possibilità di elusione dei divieti concernenti le armi integre mediante lo
smembramento dei loro componenti, la loro ripartizione tra più soggetti, oppure la collocazione
in luoghi diversi, con modalità tali da consentire comunque l’assemblaggio in un successivo
momento e la ricostituzione dell’intero dispositivo vero e proprio.
3.3. I medesimi concetti, nonostante le dissenzienti opinioni dottrinali, erano stati
costantemente riferiti dalla giurisprudenza di legittimità anche al caricatore di arma da fuoco,
2

3.1. Tale omissione definitoria aveva indotto gli interpreti ad individuare le parti di arma in

nei casi in cui la condotta di detenzione, porto, trasporto o vendita avesse avuto ad oggetto
solo tale componente disgiuntamente dall’arma cui ineriva o quando si fosse trattato di un
caricatore aggiuntivo rispetto a quello in dotazione; si era ritenuto che il caricatore costituisse
parte essenziale dell’arma, non un mero accessorio, anche quando si fosse trattato di un
serbatoio di munizioni supplementare o di riserva, perché “indispensabile al funzionamento
dell’arma” (sez. 3, n. 5329 del 12/12/2007, Cagnin ed altro, rv. 238860; sez. 1, n. 5857 del
7/12/ 2000, Chiuppi, rv 218080; sez. 1, n. 6191 del 15/5/1997, Pagella, rv. 207935; sez. 1, n.
5162 del 29/11/1993, Pellicane, rv. 198629; sez. 1, n. 701 del 14/3/1988, Uberti, rv. 180228;

Silvestro, rv. 171041).
3.4. L’entrata in vigore della direttiva del Consiglio delle Comunità Europee n.
91/477/CEE, con la quale erano state introdotte norme volte al “controllo dell’acquisizione e
della detenzione di armi”, non aveva indotto alcun mutamento nell’orientamento interpretativo
sopra esposto.
3.4.1. La direttiva, in vista dell’instaurazione entro il 31/12/1992 del mercato unico ove
assicurare la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali in uno spazio territoriale
privo di frontiere interne e di controlli, aboliti anche a fini di rinvenimento di eventuali armi
detenute dai cittadini in movimento, aveva dichiaratamente inteso rafforzare il controllo
all’interno degli stati membri dell’acquisizione e della detenzione di armi da fuoco, nonché del
loro trasferimento in un altro stato membro, mediante la parziale armonizzazione delle singole
legislazioni nazionali e l’introduzione della definizione di categorie di armi da fuoco, delle loro
parti e munizioni, la cui acquisizione e detenzione da parte di privati doveva essere vietata in
ogni caso, oppure subordinata ad autorizzazione o a dichiarazione, senza con ciò pregiudicare la
facoltà degli stati aderenti di adottare normative anche più severe per prevenire il traffico
illecito di armi.
3.4.2. In particolare, l’allegato I della direttiva, dopo avere fornito la classificazione delle
armi, delle parti e delle munizioni, aveva specificato: ” Le parti essenziali delle
suddette armi da fuoco: il meccanismo di chiusura, la camera e la canna delle armi da
fuoco, in quanto oggetti distinti, rientrano nella categoria in cui è stata classificata l’arma da
fuoco di cui fanno o sono destinati a fare parte”, senza con ciò inserire nell’elenco i caricatori
delle armi da fuoco. Al riguardo, del tutto fondatamente la Corte di Cassazione aveva rilevato
come l’inclusione nel catalogo delle parti “essenziali” delle armi da fuoco soltanto di alcune
componenti non aveva valore definitorio e carattere tassativo, tanto da poterne desumere che
gli oggetti esclusi dall’elenco non costituissero parti di arma e quindi fossero oggetto di libera
detenzione e commercio, ma era funzionale ad assoggettare le parti indicate, ovvero il
meccanismo di chiusura, la camera e la canna delle armi da fuoco, alla stessa disciplina
dell’arma di appartenenza secondo l’introdotta catalogazione nei quattro distinti gruppi delle
armi vietate (categoria A), delle armi soggette ad autorizzazione (categoria B), delle armi
soggette a dichiarazione (categoria C) e delle altre armi non rientranti nelle categorie

sez. 6, n. 2632 del 16/12/1986, Melidoni, rv. 175243; sez. 1, n. 10592 del 25/9/1985,

precedenti e quindi estranee all’osservanza di alcun obbligo (categoria D) (Cass. sez. 3, n. 5329
del 12/12/2007, Cagnin ed altro, rv. 238860; sez. 1, n. 5857 del 7/12/ 2000, Chiuppi, rv
218080).
3.4.3 La direttiva, che aveva inteso conciliare l’impegno a garantire una certa libertà di
circolazione per alcune armi da fuoco nello spazio intracomunitario e l’esercizio dei diritti
individuali pur nella garanzia della sicurezza pubblica, ha ricevuto attuazione nell’ordinamento
italiano con la legge 19/12/1992, n. 489, attributiva all’esecutivo della delega per l’emanazione

con il D.Lgs. 30/12/1992, n. 527, che ha introdotto modifiche alla legge n. 110/75 e ha
realizzato la carta europea d’arma da fuoco per agevolare la circolazione delle armi destinate
all’attività venatoria ed a quella sportiva.
3.5 In tale contesto normativo è intervenuta la successiva direttiva del Consiglio della
Comunità europea 2008/51/CE, la quale ha operato la revisione mediante modifiche ed
integrazioni della precedente del 1991, apprestando la disciplina fondamentale sulle armi in
ambito comunitario in attuazione dell’adesione, avvenuta il 16/1/2002 da parte della Comunità
europea, al protocollo del 15/11/2000 contro la fabbricazione ed il traffico illeciti di armi da
fuoco, loro parti e componenti e munizioni, allegato alla convenzione delle Nazioni Unite contro
la criminalità transnazionale organizzata, allo scopo dichiarato di “garantire un’applicazione
coerente, efficace e rapida degli impegni internazionali aventi incidenza su tale direttiva”, di
contrastare fenomeni criminosi in espansione nel territorio comunitario, connessi all’uso delle
armi trasformate, da ricomprendere nelle categorie ridefinite di arma da fuoco e di
fabbricazione e traffico illeciti di armi da fuoco, loro parti e munizioni, nonché di dare attuazione
concreta alla nozione di tracciabilità di tali dispositivi, introdotta dalla direttiva 91/477/CEE.
La direttiva n. 51/20078 ha ricevuto attuazione da parte del governo italiano con il D.Lgs.
26/10/2010, n. 204 (pubblicato in Gazz. Uff. n. 288 del 10 dicembre 2010), che ha dato
esecuzione alla delega attribuitagli dall’art. 36 della legge 7/7/2009, n. 88, entrato in vigore a
far data dal 10 luglio 2011.
3.5.1 Per quanto rileva ai fini del presente giudizio, va detto che il nuovo testo normativo,
dopo avere dettato la nozione di arma da fuoco, all’art. 2 ha introdotto nel D.Lgs. 527/1992
l’art. 1-bis, il quale alla lett. b) ha testualmente stabilito la seguente definizione di parte di
arma: “qualsiasi componente o elemento di ricambio specificamente progettato per un’arma da
fuoco e indispensabile al suo funzionamento, in particolare la canna, il fusto o la carcassa, il
carrello o il tamburo, l’otturatore o il blocco di culatta, nonché ogni dispositivo progettato o
adattato per attenuare il rumore causato da uno sparo di arma da fuoco”, mentre alla
successiva lett. c) ha dettato l’ulteriore nozione di “parte essenziale” di arma, intendendo per
tale “il meccanismo di chiusura, la camera e la canna di armi da fuoco che, in quanto oggetti
distinti, rientrano nella categoria in cui è stata classificata l’arma da fuoco di cui fanno parte o
sono destinati a farne parte”.

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di un decreto legislativo di recepimento dei criteri della disciplina comunitaria, cosa avvenuta

3.5.2. E’ dunque testuale la previsione contenuta nell’art. 1-bis della necessaria
sussistenza di due requisiti per considerare un componente parte di arma da fuoco, ossia la
progettazione specifica per essere inserito in detta arma e l’essere indispensabile al suo
funzionamento; la norma contiene subito dopo un’elencazione di elementi, ritenuti costituire “in
particolare” parti di arma da fuoco, ossia “la canna; il fusto; la carcassa; il carrello; il tamburo;
l’otturatore; il blocco di culatta”, senza menzionare il caricatore.
3.5.3. I primi interventi interpretativi si sono espressi per l’avvenuto declassamento del
caricatore, da parte indispensabile a mero accessorio dell’arma da sparo e quindi per la

all’acquisizione del possesso, di giustificazione della cessazione della disponibilità, di avviso per
il trasporto. In tal senso milita la Circolare del Ministero dell’Interno del 24/6/2011 n.
557/AS/10900(27)9, la quale ha esplicitamente affermato come il caricatore, alla stregua delle
nuove definizioni fornite dall’art. 1-bis, non sia più considerato parte d’arma, per cui a far data
dal 1 luglio 2011 “qualunque attività concernente i caricatori, compresa la mera detenzione dei
medesimi, non sarà più subordinata alle autorizzazioni di polizia sinora rilasciate ai sensi della
normativa vigente” e si è espressa anche la sentenza, resa da questa sezione della Corte di
Cassazione n. 4050 del 17/10/2012, Canovari, rv. 254190 – citata dal P.G. a sostegno delle
conclusioni rassegnate nel presente giudizio – secondo la quale tale oggetto, così come
disposto per il cannocchiale, i variatori di strozzatura, il freno di bocca, i contrappesi, i visori
notturni, non è più sottoposto ad alcuna limitazione dalla vigente normativa sulle armi, per cui
“conformemente alla normativa sulla successione di leggi penali di cui all’art. 2 cod. pen.,
secondo la quale la modifica di un elemento normativo di natura extrapenale assume effetto
retroattivo se il medesimo integri la fattispecie penale, in tal modo venendo a partecipare della
natura di questa (Sez. U, n. 2451 del 27/09/2007, dep. 16/01/2008, Magera, Rv. 238197; Sez.
3, n. 15481 del 11/01/2011, dep. 18/04/2011, Guttà, Rv. 250119), deve affermarsi che la
detenzione di caricatori di arma da fuoco non è più prevista come reato”.
4. A seguito di approfondita e più matura riflessione sul tema, previa corretta analisi del
testo di legge nella parte d’interesse (art. 2 lett. b), D. Lgs n. 204/2010), questa stessa
Sezione è pervenuta, con convinzione, alla diversa conclusione della punibilità della condotta
ascritta al ricorrente anche a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 204/2010, dovendosi
ancora considerare il caricatore, pure nella sua singola individualità (benché non inserito
nell’arma),

parte di arma (si vedano: Sez. 1, sent. n. 27814 del 23/4/2013, Ferrari, Rv.

255877; Sez. 1, sent. n. 36648 del 14/6/2013, Ferrari, Rv. 255802; Sez. 1, sent. n. 39209 del
24/6/2013, Zaccaria, non massimata).
4.1. Valgono, dunque, le seguenti considerazioni, posto che nella categoria in esame
(parte di arma), come già detto, rientra, a tenore letterale della norma citata, prima parte,
“qualsiasi componente o elemento di ricambio specificamente progettato per un’arma da fuoco
e indispensabile per il suo funzionamento”:

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liberalizzazione delle condotte che lo riguardino, non più soggette all’obbligo di denunzia quanto

a) un caricatore (serbatoio mobile per un’arma da fuoco), attesi gli aspetti morfologici
che lo contraddistinguono (dimensioni, consistenza, elementi di aggancio o di inserimento
etc.), è progettato specificamente per essere utilizzato in tale sua funzione, quale elemento di
un’arma da fuoco, eventualmente di ricambio (in sé, isolatamente considerato, non avrebbe
altra funzione);
b) il fatto stesso che la legge comprenda nella categoria parti di armi non solo i
componenti, ma anche gli elementi di ricambio, convalida l’interpretazione qui sostenuta, posto
che un caricatore, che si inserisce proprio in ricambio di un altro, rappresenta tipico – e per

dizione qualsiasi (sempre che sia indispensabile per il funzionamento, su cui v.

infra) che

impone di escludere pretese limitazioni oggettive;
c) il caricatore soddisfa anche il secondo requisito (richiesto in via congiunta dalla
norma) dell’indispensabilità per il funzionamento dell’arma, atteso che è del tutto evidente che
il concetto di funzionamento, ai fini in parola, non può essere inteso in astratto, ma con
riferimento alla specifica funzione per cui quel componente è stato progettato; tale
interpretazione viene imposta, già in via semplicemente letterale, dalla congiunzione “e” che
lega in un senso compiuto la specifica progettazione al funzionamento; un caricatore che sia
stato progettato per una pistola semiautomatica consente di sparare colpi a ripetizione,
diventando, così, indispensabile per il funzionamento di un’arma da fuoco di quella categoria;
ed invero, se pure potesse ammettersi che una tale arma possa anche funzionare a colpo
singolo, con caricamento manuale, da ciò trarre la conclusione che la legge abbia considerato il
caricatore parte non indispensabile significherebbe presupporre che il legislatore abbia
considerato normale un uso anomalo e del tutto sporadico ed eventuale (nonché abbia avuto
un’idea antiquata delle armi), il che in sede interpretativa non può ammettersi;
d) l’elencazione (in particolare, la canna, il fusto etc.) che segue l’indicazione di cui alla
prima parte deve intendersi meramente esemplificativa e non tassativa; in tal senso milita il
costrutto logico-sintattico, posto che la locuzione in particolare segue una definizione di
carattere generale

(qualsiasi componente o elemento di ricambio…indispensabile al

funzionamento); se tale elencazione avesse voluto avere, nell’intenzione del legislatore, valore
tassativo, essa sarebbe stata espressa in termini di pura elencazione, autonoma ed in sé
completa (sono parti di arma…), senza previa definizione generale, che dunque è quella che
determina la delimitazione del concetto nella sua valenza giuridica; è, poi, evidente che se tale
elencazione fosse tassativa, sarebbe gravemente manchevole (lasciando fuori elementi
indispensabili per il funzionamento, quali il grilletto e il percussore, che non si ritrovano
neppure nell’indicazione delle parti essenziali); deve, allora, concludersi che si tratta (pur
nell’ambito di una discutibile tecnica legislativa) di un’elencazione esemplificativa, non
esaustiva, volta a dirimere eventuali dubbi su elementi che avrebbero potuto ingenerare
incertezze;

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dato di comune esperienza – usuale elemento intercambiabile; l’argomento è rafforzato dalla

e) risulterebbe, poi, davvero incomprensibile, nella pretesa lettura tassativa, che la
norma comprenda tra le parti di arma il tamburo (che è il serbatoio per i revolver), che dunque
rimane parte di arma ad ogni effetto, e non il caricatore (serbatoio per le pistole): si
tratterebbe di una differenziazione del tutto irragionevole, posta l’identica funzione (consentire
colpi ripetuti);
f) risulterebbe, poi, ancora incomprensibile, sempre nell’ottica qui contrastata, che il
caricatore sia rimasto parte di arma per quanto attiene alle armi da guerra (non essendovi
stata in tal senso immutazione normativa), e non lo sia più per le armi comuni da fuoco,

guerra è res illicita per i privati in toto, ma l’oggetto singolo, in sé considerato, ove lo si
dovesse ritenere parte non essenziale, dovrebbe essere ritenuto irrilevante anche in relazione
alle armi da guerra;
g) del tutto inammissibile, infine, risulterebbe che debba essere considerato parte di
arma – perché positivamente indicato come tale – il silenziatore (dispositivo per attenuare il
rumore di uno sparo) e non il caricatore che è determinante per lo sparo stesso.
Conforta, poi, l’interpretazione qui sostenuta la

ratio della legge che si muove nella

direzione di rendere più stringente il controllo sulle armi e meno facile la loro diffusione
incontrollata, ratio che sarebbe facilmente elusa qualora si ritenesse i caricatori, ove esclusi
dalla categoria di parti di armi, non più soggetti a denuncia e ad ogni altra connessa
regolamentazione, con l’inaccettabile conseguenza che ne sarebbero consentiti acquisto e
possesso senza limiti, così accordando maggiore ed incontrollata potenzialità di fuoco ai
possessori (legittimi o abusivi) di armi da sparo. In particolare, le diffuse e devastanti
conseguenze sul piano della moltiplicazione della potenzialità di fuoco dei gruppi criminali,
senza poter intervenire con salvifici atti di sequestro e di arresto per il possesso dei soli
caricatori, così riducendo in modo significativo la doverosa attività statale di prevenzione dei
reati, specie per i più gravi (quelli associativi e di sangue), rendono evidente che non può
essere corretta un’interpretazione che attribuisca tale – invero sconcertante –

voluntas alla

riforma in esame (che, di contro, come si è già rilevato, è improntata a ben altro rigore).
Le contrarie indicazioni offerte dalla circolare del Ministero dell’Interno, per la sua natura
di atto amministrativo, pur di autorevole provenienza, non possono ritenersi vincolanti in sede
giudiziale, anche perché prive di una penetrante disamina del dato testuale e teleologico delle
disposizioni del D.Lgs. n. 204/2010 e della direttiva comunitaria presupposta.
Tanto ritenuto, risulta agevole considerare l’infondatezza della contraria tesi che si basa
sull’esclusione del caricatore dall’elenco di cui all’art. 19 L. n. 110/75 come risultante dalla
modifica apportata dall’art. 5, comma 1, lett. I, cit. D. L.vo n. 204/2010: ed invero, una volta
ritenuto che il caricatore sia

parte di arma perché rientrante direttamente nella definizione di

cui alla prima parte della norma sopra citata (qualsiasi componente o elemento di ricambio
specificamente progettato per un’arma da fuoco ed indispensabile per il suo funzionamento),
ed una volta ritenuto ancora che l’elencazione di cui alla seconda parte (in particolare…etc.)
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trattandosi dello stesso oggetto con la medesima funzione; ed infatti, è sì vero che un’arma da

non sia tassativa, e dunque non escludente il caricatore dalla categoria, la cancellazione del
caricatore dall’art. 19 cit., come modificato, perde significato a questi fini. Il citato art. 19 L. n.
110/75, invero, non pone la definizione di parte di arma, a differenza dell’art. 2 D. L.vo n.
204/2010, ma si limita ad indicare le parti di arma per le quali, in caso di loro trasporto, si
impone il previo avviso all’autorità di P.S.. E’ vero che, prima del D. L.vo n. 204/2010,
l’indicazione fornita dall’art. 19 era considerata di significato sostanzialmente definitorio, ma ciò
semplicemente perché la specifica normativa non comprendeva ancora un’esplicita definizione

dunque, trarsi conclusione escludente in via generale, posto che ora la definizione della
categoria sussiste nell’art. 2 D. L.vo n. 204/2010, come sopra motivato. L’abolizione
dell’obbligo di previo avviso all’autorità di P.S. per la condotta di trasporto di caricatori resta,
dunque, un’incongruenza, rispetto agli obblighi generali di denuncia ed altro relativi alle parti di
armi, ma non è argomento per superare l’evidente inclusione dei caricatori nella categoria parti
di armi, come qui sostenuto e deciso sulla base del testo normativo.
Peraltro, a ben vedere, la rilevata incongruenza è solo relativa, posto che l’obbligo in
concreto gravava solo su chi avesse denunciato l’arma (o una sua parte), mentre il detentore
abusivo, versando in illicito ab origine, non si sarebbe certo autodenunciato avvisando l’autorità
di P.S. del trasporto: dunque non vi è incongruenza sul piano dell’attività repressiva delle
posizioni illegali (per le quali è sufficiente, per sequestro ed arresto, acquisto, possesso e porto,
e quest’ultimo, in tal caso, coincide con il trasporto), mentre l’esclusione del trasporto dei
caricatori per i possessori leciti (che abbiano denunciato il possesso dell’arma o di una sua
parte) ben può rientrare nella plausibile discrezionalità del legislatore, atteso che in caso di
trasferimento permane comunque l’obbligo di nuova denuncia secondo gli artt. 38 TULPS e 58
del relativo Regolamento, così rendendosi possibile la continua tracciabilità dell’arma o della
sua parte.
In conclusione, deve affermarsi che il caricatore per arma da fuoco, seppure inteso nella
sua individualità, disgiunto dall’arma cui può inerire, costituisce “parte di arma” anche ai sensi
della vigente normativa, con la conseguenza che la vendita, la detenzione ed il porto di esso
sono punibili ai sensi della L. n. 895 del 1967.
Il ricorso va, pertanto, rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese
processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 26 novembre 2013

DEPOSITATA

di parte di arma. Dall’avvenuta cancellazione della parola caricatori dal citato art. 19 non può,

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