Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 50909 del 26/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 50909 Anno 2013
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI PIACENZA
nei confronti di:
VACCARI FRANCESCO N. IL 11/12/1956
avverso l’ordinanza n. 2663/2011 GIP TRIBUNALE di PIACENZA,
del 05/12/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERA MARIA
SEVERINA CAPRIOGLIO;
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lette/sentite le conclusioni del PG 12att. à,:

Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 26/11/2013

ritenuto in fatto

A seguito di intervenuta esecuzione della pena sostituita con lo svolgimento
di lavoro di pubblica utilità consistito in mansioni di supporto all’archivio della
Provincia, con ordinanza del 5.12.2012 il gip del tribunale di Piacenza rigettava
l’istanza formulata da VACCARI Francesco diretta ad ottenere l’ estinzione del
reato di cui all’art. 186 cod. strad., osservando che l’attività da lui svolta non
rientrava tra quelle previste in via prioritaria dall’art. 186 c. 9 bis cod. strad. cioè

stessa ordinanza il gip dava mandato al P.M. di verificare in concreto se il Vaccari
avesse svolto lavoro di pubblica utilità nel settore della sicurezza e
dell’educazione stradale, così come era stato previsto con la sentenza del gip del
Tribunale di Piacenza 22.5.2012 .

Avverso tale decisione interponeva ricorso il PM presso il tribunale di
Piacenza per dedurre erronea applicazione della legge penale, posto che il
Vaccari risultava essere stato inserito presso il centro per l’impiego di Piacenza,
svolgendo mansioni di supporto all’archivio. Quindi, secondo il P.M. ricorrente,
poiché la prestazione non retribuita doveva essere ritenuta a favore della
collettività, anche se non inerente al settore della sicurezza e dell’educazione
stradale, la stessa doveva ritenersi rientrante nel novero dei lavori di pubblica
utilità e tale da poter fare conseguire gli effetti estintivi del reato.

Il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto.

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
Il problema di diritto che questa Corte deve affrontare e risolvere è se il
reato c.d. “stradale”, previsto dal d.lgs 30.4.1992, n. 285, debba essere
dichiarato comunque estinto se la pena pecuniaria o detentiva inflitta sia stata
sostituita con quella del lavoro di pubblica utilità consistente in attività non
retribuita a favore della collettività svolto dal condannato in un settore diverso
da quello della sicurezza e dell’educazione stradale.
Il caso del Vaccari è emblematico, visto che il medesimo risulta dagli atti
essere stato inviato all’ente Provincia di Piacenza, dove venne collocato al
centro per l’impiego, con mansioni di supporto all’archivio, rientrante nel settore
Welfare, lavoro e formazione professionale dell’amministrazione provinciale, dal
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attività da svolgersi nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale. Con la

20.8.2011 e fino al 4.9.2012.
La decisione del giudice a quo di rigetto dell’istanza di estinzione del reato
per avere l’interessato svolto il lavoro di pubblica utilità, non rientrante tra quelli
previsti in via prioritaria dall’art. 186 c. 9 bis Cod. strada, non è corretta, perché
frutto di interpretazione eccessivamente rigida, che risulta non conforme alla
voluntas legis
La clausola contenuta al c. 9 bis dell’art. 186 decreto menzionato
nell’inciso ” in via prioritaria”,

deve sicuramente essere letta nel senso che il

pubblica utilità da svolgere nel campo “della sicurezza e dell’educazione
stradale “, a carattere però non esclusivo, lasciando cioè aperta la strada a
inserimenti lavorativi in altri ambiti di pubblica utilità.
Non può essere sottovalutato che non risulta affatto che il Vaccari abbia
scelto il settore in cui svolgere il lavoro sostitutivo, essendo stato avviato alla
amministrazione provinciale, dove venne collocato nel settore che necessitava
maggiormente di apporto, di talché non può essere a lui imputato di aver svolto
il lavoro sostitutivo in un campo diverso da quello “preferito” dal legislatore, in
quanto ritenuto maggiormente finalizzato alla rieducazione del condannato.
Come sottolineato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza 43/2013, la
norma in discorso rinvia per la disciplina della misura, all’art. 54 del d.lgs. 28
agosto 2000, n. 274, con conseguente applicabilità del decreto ministeriale 26
marzo 2001, adottato dal Ministro della giustizia che prevede che sia il giudice
ad individuare, con la sentenza di condanna, il tipo di attività, nonché
l’amministrazione, l’ente o l’organizzazione presso il quale questa deve essere
svolta, avvalendosi dell’elenco degli enti convenzionati (art. 3); il medesimo
decreto ministeriale stabilisce altresì, che le apposite convenzioni, stipulate dagli
enti interessati con il Ministro della giustizia o, per sua delega, con il presidente
del tribunale, debbano indicare “specificamente le attività in cui può consistere il
lavoro di pubblica utilità”, oltre ai soggetti incaricati di coordinare la prestazione
lavorativa del condannato e di impartire a quest’ultimo le relative istruzioni (art.
2). Sarebbe quindi del tutto irragionevole fare ricadere sul condannato le
conseguenze di opzioni a lui non riportabili, così come altrettanto irragionevole
sarebbe ritenere che il lavoro di pubblica utilità comunque svolto con diligenza,
non possa fare godere all’interessato i vantaggi ricollegati al positivo svolgimento
di tale incombente, sol perché fatto svolgere al di fuori del campo indicato in via
prioritario nella previsione normativa.
Tale modus opinandi

si profila assolutamente vincolante, se solo si

consideri la portata e la finalità del lavoro sostitutivo, così come la Corte
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legislatore ha indicato una opzione di maggiore gradimento per il lavoro di

Costituzionale ha avuto cura di tratteggiarlo, come misura “paradentiva”,
costituente un segno ed un’apertura fiduciaria verso i condannati ( sent.
157/2010), esaltandone le finalità rieducative per il recupero sociale del
soggetto, perseguito attraverso la scelta di lavoro a titolo gratuito
dell’interessato a favore della collettività offesa, quale evidente segno di
riconciliazione sociale. E’ stato scritto nella recente sentenza n. 179/2013
sempre della Corte Costituzionale, a proposito del lavoro di pubblica utilità , che
“la finalità rieducativa della pena, stabilita dall’art. 27, terzo comma, Cost., deve

deve prevedere modalità e percorsi idonei a realizzare l’emenda e la
risocializzazione del condannato, secondo scelte de/legislatore, le quali, pur nella
loro varietà tipologica e nella loro modificabilità nel tempo, devono convergere
nella valorizzazione di tutti gli sforzi compiuti dal singolo condannato e dalle
istituzioni per conseguire il fine costituzionalmente sancito della rieducazione
(sentenza n. 79 del 2007). Tali principi, benché riferiti alla legislazione
penitenziaria, ben si adattano anche a fattispecie come quelle in esame, nelle
quali le finalità rieducative della pena e il recupero sociale del soggetto sono
particolarmente accentuati e sono perseguiti mediante la volontaria prestazione
di attività non retribuita a favore della collettività”.
Attesa la “ratio” dell’istituto in esame non è logico considerare tamquam
non esset il lavoro svolto dal Vaccari, sol perché compiuto in un campo diverso
da quello a cui avrebbe dovuto essere avviato, secondo il provvedimento del
giudice. Ad opinare in tale senso induce del resto la flessibilità di cui è permeato
il testo della previsione normativa in discorso, che nell’ultima parte del c. 9 bis
dell’art. 186 CdS configura le ipotesi di violazione degli obblighi connessi allo
svolgimento del lavoro di pubblica utilità, rimettendo al giudice la valutazione,
tenendo conto dei “motivi, dell’entità e delle circostanze della violazione”; tale
impostazione impone di bandire qualsivoglia tipo di automatismo e quindi, a
“fortiori”, preclude di sottovalutare, fino al punto da annullarne gli effetti, la
portata di un lavoro comunque prestato regolarmente, seppure non nel campo
che era stato indicato nella sentenza di cognizione.
L’ordinanza impugnata deve quindi essere annullata con rinvio per nuovo
esame al gip del Tribunale di Piacenza, che dovrà uniformarsi al principio di
diritto sopra espresso.

p.q.m.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al gip del
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riflettersi in modo adeguato su tutta la legislazione penitenziaria. Quest’ultima

Tribunale di Piacenza.

Così deciso in Roma, addì 26 Novembre 2013.

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