Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 509 del 24/10/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 509 Anno 2013
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) LUONGO FRANCESCO N. IL 25/09/1958
avverso la sentenza n. 10850/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
15/02/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/10/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ri PRP o / 2–A-r\cEu-k
che ha concluso per Li NiArtn‘ss tea.DL 1–1C—N

Udito, per la parte civile, l’Avv
UditkiklifensorAvv. rlfsit‘ 0-0-4O

P-or

k e LL 9

Data Udienza: 24/10/2012

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 15 febbraio 2011, la Corte d’appello di Napoli ha
confermato la sentenza del GUP del Tribunale di Napoli del 22 settembre 2010, con la
quale, all’esito di giudizio abbreviato, l’imputato era stato condannato per il reato di
cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, per avere
coltivato, in un terreno di pertinenza della sua abitazione, una pianta di marijuana alta

delle infiorescenze della stessa sostanza stupefacente; con recidiva specifica, reiterata
e infraquinquennale.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo: a) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione con riferimento alla ritenuta recidiva e alle modalità di computo delle dosi
medie giornaliere ricavabili dalla stupefacente sequestrato, essendo stato pesato
l’intero reperto, comprensivo di radici e parti aeree, le quali non possono produrre
stupefacente, ed essendo stati ignorati elementi decisivi, quali le modalità di
coltivazione e conservazione del prodotto; b) la violazione dell’art. 73, comma 5, del
d.P.R. n. 309 del 1990, perché la Corte d’appello avrebbe ritenuto insussistente
l’ipotesi attenuata ivi prevista, sulla scorta del solo dato quantitativo, senza prendere
in considerazione le modalità dell’azione e tutte le altre circostanze del fatto, ed
applicando, invece, il criterio delle dosi medie giornaliere, che mal si concilia con
l’ipotesi in cui lo stupefacente sia ricavabile da piante.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
Deve preliminarmente richiamarsi il principio, costantemente affermato da
questa Corte, secondo cui il controllo sulla motivazione demandato al giudice di
legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione normativa dell’art.
606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., al solo accertamento sulla congruità e
coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel
corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto
posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di
giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti. Ne consegue che, laddove
le censure del ricorrente non siano tali da scalfire la logicità e la linearità della
motivazione del provvedimento impugnato, queste devono ritenersi inammissibili,
perché proposte per motivi diversi da quelli consentiti, in quanto non riconducibili alla
categoria generale di cui al richiamato art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen.
2

120 cm e per avere detenuto illecitamente in un magazzino nello stesso immobile

(ex plurimis, Sez. fer., 2 agosto 2011, n. 30880; Sez. 6, 20 luglio 2011, n. 32878;
Sez. 1, 14 luglio 2011, n. 33028).
Tale principio trova applicazione anche nel caso di specie, perché – al di là della
formale qualificazione dei motivi di gravame – la difesa dell’imputato si è
sostanzialmente limitata a ribadire rilievi in punto di fatto già compiutamente
esaminati e disattesi nel giudizio d’appello, senza, peraltro, svolgere puntuali critiche

dettagliatamente conto delle ragioni della ritenuta responsabilità penale,
evidenziando, in particolare, che: a) la recidiva contestata non può essere esclusa,
perché la stessa attiene, fra l’altro, a due condanne per fatti analoghi, una delle quali
abbastanza recente, da cui emerge con chiarezza la rilevante pericolosità del
soggetto; b) l’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990
non può essere ritenuta sussistente, perché – contrariamente a quanto affermato
dalla difesa – la consulenza di ufficio ha correttamente distinto le parti della pianta
idonee a produrre stupefacente e ha indicato come rilevantissimo il quantitativo di
principio attivo ricavabile anche solo da tali parti, nonché dalle infiorescenze essiccate
sequestrate.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto
conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod.
proc. peri., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della
somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2012.

alla motivazione della sentenza impugnata, la quale dà ampiamente e

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